Il cristianesimo è contro la proprietà privata?

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1 • «Il papa è comunista!» (?)

Ogni tanto sento discorsi che seguono questa traiettoria:

  • «Gesù amava i poveri! E nella Chiesa delle origini si metteva tutto in comune!»
  • «La prima comunità cristiana aveva realizzato il comunismo con 2000 anni d’anticipo!»
  • «Però poi la Chiesa si è persa per strada…e oggi ormai è una banda di ladri!»
  • «Ratzinger è di destra!»
  • «Papa Francesco invece è di sinistra!»
contare fino a dieci

«Però, scusami, Sale… come fai a non dire che papa Francesco è di sinistra? …cioè, senti qui cosa ha detto:»

Il principio della subordinazione della proprietà privata alla destinazione universale dei beni e, perciò, il diritto universale al loro uso, è una “regola d’oro” del comportamento sociale, e il «primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale». La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata.

(PAPA FRANCESCO, Lettera enciclica Laudato si’, n.93)

«Il papa dice che la proprietà privata è meno importante della destinazione universale dei beni! Più comunista di così!!»

«Sale, non rispondi?»

«Sale?»

*UNO*

*DUE*

*TRE*

2 • Il settimo comandamento: non rubare

Dunque: rubare è un peccato.

E voi mi direte: «Grazie capitan Ovvio!».

E direste bene.

Ma… che significa «rubare»?

No, non intendo la definizione della parola «rubare» sulla Treccani.

Mi riferisco a ciò che dice la Chiesa a riguardo.

Si dà il caso che nel Catechismo della Chiesa Cattolica siano spiegati – uno per uno – i dieci comandamenti.

«Non rubare» è il settimo comandamento (cfr. Es 20,15; Dt 5,19; Mt 19,18).

Nel Catechismo c’è una parte (sezione seconda, capitolo secondo, articolo 7) che parla del «rispetto dei beni altrui»… che inizia così:

Il settimo comandamento proibisce il furto, cioè l’usurpazione del bene altrui contro la ragionevole volontà del proprietario.
[…]

(Catechismo della Chiesa Cattolica, n.2408)

E direi che fin qui siamo tutti d’accordo.

Il paragrafo poi prosegue in questo modo:

[…]
Non c’è furto se il consenso può essere presunto…
[…]

(Catechismo della Chiesa Cattolica, n.2408)

rubare presumere consenso

No…

…il consenso può essere presunto quando (ad esempio) sei a dormire da un amico; il giorno dopo, lui esce presto da casa per andare a lavoro; tu ti svegli due ore dopo di lui; vai in cucina per fare colazione; apri il frigo, prendi il latte, i cereali e una pesca, senza chiedergli il permesso, perché sai che avrebbe detto di «sì»

…o episodî simili a questo…

…insomma, non fate i furbetti… Dio non ci casca!

…ma torniamo al paragrafo sul Catechismo:

[…]
Non c’è furto se il consenso può essere presunto o se il rifiuto è contrario alla ragione e alla destinazione universale dei beni.

(Catechismo della Chiesa Cattolica, n.2408)

Oddio, ma come è possibile?

Non solo papa Francesco…

…adesso anche il Catechismo è diventato comunista!?!

3 • La destinazione universale dei beni

Eccallà!

Abbiamo scoperchiato il vaso di Pandora!

La famigerata «destinazione universale dei beni».

Che poi questa parolaccia è usata un sacco di volte nel Catechismo (cfr. CCC n.2401, n.2403, n.2408, n.2452).

Maaa… che significa?

Allora.

Un paio di mesi fa, parlavamo del bene comune.

Si dà il caso che nel Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, uno dei sotto-paragrafi del capitolo sul bene comune sia intitolato proprio «destinazione universale dei beni» (quello che contiene i punti che vanno dal 171 al 184).

In soldoni, «destinazione universale dei beni» significa questo:

Dio ha destinato la terra con tutto quello che in essa è contenuto all’uso di tutti gli uomini e popoli, sicché i beni creati devono pervenire a tutti con equo criterio, avendo per guida la giustizia e per compagna la carità.

(Costituzione pastorale Gaudium et spes, n.69)

E da quando in qua la Chiesa insegna questo?

Beh, «da Adamo ed Eva»

…in che senso?

Nel senso che, tra i fodamenti biblici a sostegno della destinazione universale dei beni, uno dei più significativi è quello contenuto nel libro della Genesi: Dio ha creato la terra per l’uomo (Gen 1,28-29); gli ha esplicitamente dato il compito di:

  • prendersene cura;
  • coltivarla;
  • godere dei suoi frutti.

Nel primo capitolo della Genesi troviamo la radice dell’universale destinazione dei beni della terra: la terra «in ragione della sua stessa fecondità e capacità di soddisfare i bisogni dell’uomo, è il primo dono di Dio per il sostentamento della vita umana» (GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Centesimus annus, 31; cfr. anche Catechismo della Chiesa Cattolica, n.2402).

Anche il Compendio della D.S.C. dice qualcosa di simile:

Il principio della destinazione universale dei beni invita a coltivare una visione dell’economia ispirata a valori morali che permettano di non perdere mai di vista né l’origine, né la finalità di tali beni, in modo da realizzare un mondo equo e solidale, in cui la formazione della ricchezza possa assumere una funzione positiva.

(Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, punto 174)

Quali sarebbero i «beni» che dovrebbero essere destinati universalmente?

Sicuramente i beni di prima necessità: il cibo, l’acqua, le materie prime…

…lo sguardo della D.S.C. però ha un raggio molto più ampio: la riflessione che propone la Chiesa riguarda anche “i nuovi beni”, cioè le conoscenze tecniche e quelle scentifiche.

Questi beni, troppo spesso, si trovano nelle mani di un ristretto gruppo di persone; la conseguenza di ciò è che migliaia (milioni?) di uomini sono lasciati ai margini dello sviluppo, e sono privi di tanti beni che a noi occidentali sembrano scontati, ma che in molte parti del mondo non lo sono affatto: assistenza sanitaria, vaccini, istruzione, brevetti scientifici, etc. (cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Centesimus annus, 35).

A questo punto, qualcuno potrebbe obiettare: «Ma scusa, Sale: che differenza c’è tra questo è l’abolizione della proprietà privata?»

fuoco amico

Comunque… no!

Il Compendio della D.S.C. a tal proposito è molto chiaro:

Destinazione ed uso universale non significano che tutto sia a disposizione di ognuno o di tutti, e neppure che la stessa cosa serva o appartenga ad ognuno o a tutti.
Se è vero che tutti nascono con il diritto all’uso dei beni, è altrettanto vero che, per assicurarne un esercizio equo e ordinato, sono necessari interventi regolamentati, frutto di accordi nazionali e internazionali, ed un ordinamento giuridico che determini e specifichi tale esercizio.

(Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, punto 173)

La proprietà privata, infatti, è una delle “gambe dello sgabello” su cui sta in piedi la democrazia.

Già papa Leone XIII, nel 1891, quando scrisse la sua socialissima enciclica sulla questione operaia, esaminando le varie proposte politiche che erano sul tavolo, escludeva la possibilità di ricorrere a forme di «comune e promiscuo dominio» (LEONE XIII, Lettera enciclica Rerum novarum, 7).

Anche il Catechismo della Chiesa Cattolica specifica che la proprietà privata «è legittima al fine di garantire la libertà e la dignità delle persone, di aiutare ciascuno a soddisfare i propri bisogni fondamentali e i bisogni di coloro di cui ha la responsabilità» (CCC n.2402).

La proprietà privata però «deve consentire che si manifesti una naturale solidarietà tra gli uomini» (ibidem).

Che vuol dire?

Vuol dire che la proprietà privata deve essere subordinata all’originaria donazione della terra che Dio ha fatto all’intera umanità: la proprietà privata deve facilitarne – e non intralciarne – la realizzazione (cfr. PAOLO VI, Lettera enciclica Populorum progressio, n.22; cfr. anche CCC n.2403).

A tal proposito, il Catechismo utilizza un’espressione molto bella:

La proprietà di un bene fa di colui che lo possiede un amministratore della provvidenza.

(Catechismo della Chiesa Cattolica, n.2404)

In altre parole: il diritto alla proprietà privata è un «mezzo» e non un fine: non è un «assoluto», non è «intoccabile», e deve essere sempre orientato al bene comune e allo sviluppo dell’intera umanità (cfr. Compendio della D.S.C., n.177).

In sintesi:

La Chiesa difende sì il legittimo diritto alla proprietà privata, ma insegna anche con non minor chiarezza che su ogni proprietà privata grava sempre un’ipoteca sociale, perché i beni servano alla destinazione generale che Dio ha loro dato.

(GIOVANNI PAOLO II, in un incontro con gli indios messicani, Cuilapan, 29 gennaio 1979)

4 • L’opzione preferenziale per i poveri

Non se ci avete mai fatto caso, ma a Gesù i poveri stanno veramente a cuore:

  • dice di essere venuto a portare ai poveri il «lieto annuncio» (cfr. Lc 4,18);
  • racconta parabole che hanno a tema la miseria dei poveri e l’indifferenza dei ricchi (cfr. Lc 16,20);
  • invita le persone che lo seguono a vendere i proprî beni per darli ai più sfortunati (cfr. Mt 19,21)…
  • …e anzi, a volte – senza che Lui dica nulla – alcune persone che vogliono stargli più vicino, si fanno un esame di coscienza e decidono di condividere le proprie ricchezze con i poveri (cfr. Lc 19,8);
  • fa complimenti ai poveri, che sanno essere più generosi dei ricchi (cfr. Mc 12,42);
  • addirittura chiama i poveri «beati», perché a loro appartiene il Regno di Dio (cfr. Lc 6,20).

E se a Gesù stavano così a cuore, come potrebbe la Chiesa ignorare la questione?

E infatti, non la ignora…

…ecco cosa dice il Compendio della D.S.C.:

Il principio della destinazione universale dei beni richiede che si guardi con particolare sollecitudine ai poveri, a coloro che si trovano in situazioni di marginalità e, in ogni caso, alle persone a cui le condizioni di vita impediscono una crescita adeguata.

(Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, punto 182)

C’è un termine che descrive molto bene questo atteggiamento, che è stato usato più volte dai papi del ‘900.

I papi hanno parlato di «opzione preferenziale per i poveri».

Che significa questa espressione?

Lo spiega Giovanni Paolo II:

È, questa, una opzione, o una forma speciale di primato nell’esercizio della carità cristiana, testimoniata da tutta la Tradizione della Chiesa.
Essa si riferisce alla vita di ciascun cristiano, in quanto imitatore della vita di Cristo, ma si applica egualmente alle nostre responsabilità sociali e, perciò, al nostro vivere, alle decisioni da prendere coerentemente circa la proprietà e l’uso dei beni.
Oggi poi, attesa la dimensione mondiale che la questione sociale ha assunto, questo amore preferenziale, con le decisioni che esso ci ispira, non può non abbracciare le immense moltitudini di affamati, di mendicanti, di senzatetto, senza assistenza medica e, soprattutto, senza speranza di un futuro migliore.

(GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Sollicitudo rei socialis, n.42)

A questo punto qualcuno potrebbe domandare: ma cosa vuole ottenere la Chiesa occupandosi dei poveri?

scrooge mc duck papa francesco

No.

La Chiesa non rincorre utopismi:

Il realismo cristiano, mentre da una parte apprezza i lodevoli sforzi che si fanno per sconfiggere la povertà, dall’altra mette in guardia da posizioni ideologiche e da messianismi che alimentano l’illusione che si possa sopprimere da questo mondo in maniera totale il problema della povertà.
Ciò avverrà soltanto al Suo ritorno, quando Lui sarà di nuovo con noi per sempre.
Nel frattempo, i poveri restano a noi affidati e su questa responsabilità saremo giudicati alla fine (cfr. Mt 25,31-46).

(Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, punto 183)

Insomma, ricapitolando:

  • Non sta a noi sconfiggere la povertà – anzi, sarebbe un’illusione pensare di riuscirci…

MA

  • …nondimeno siamo chiamati a prenderci cura, accudire, immischiarci ovunque la povertà sia un problema.

E quando parla di povertà, la Chiesa non intende solo quella materiale (che già di per sé è drammatica); lo sguardo è molto più ampio, e riguarda anche qualsiasi altra forma di povertà – sociale, culturale o di qualsiasi altro genere (cfr. D.S.C. n.184), passando per tutte le opere di misericordia – corporali o spirituali che siano.

Il “principio” è il medesimo:

«In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me».

(Mt 25,40)

Tra l’altro, visto che vale il principio per cui se qualcuno cerca il regno di Dio, gli arrivano addosso una serie di altre grazie senza che neanche le cerchi (cfr. Mt 6,33), prendersi cura dei poveri è uno dei modi più efficaci per guarire dall’egoismo e dall’attaccamento del cuore a tante cose (soldi, fama, cazzatine varie… ai più coraggiosi, suggerisco di leggere Gc 5,1-6).

Insomma.

Prendersi cura dei poveri non è un optional: è un atto di giustizia.

E badate bene: non ho detto che è un atto «di carità», ma «di giustizia».

Giovanni Crisostomo (344/354-407), vescovo e teologo greco antico, scriveva che:

Non condividere con i poveri i propri beni è defraudarli e togliere loro la vita. […] Non sono nostri i beni che possediamo: sono dei poveri.

(GIOVANNI CRISOSTOMO, In Lazarum, concio 2, 6: PG 48, 992)

E un paio di secoli dopo, il 64º papa Gregorio Magno (540-604), diceva che:

Quando doniamo ai poveri le cose indispensabili, non facciamo loro delle elargizioni personali, ma rendiamo loro ciò che è loro.
Più che compiere un atto di carità, adempiamo un dovere di giustizia.

(GREGORIO MAGNO, Regula pastoralis, 3, 21, 45: SC 382, 394 (PL 77, 87))

5 • Gesù era il primo dei comunisti?

Ci sono molte persone che dicono che «Gesù è stato il primo comunista della storia».

A partire dalla generazione di mia nonna, questa frase è stata ripetuta tante di quelle volte che ormai si sarà perso il conto.

gesu primo dei comunisti

Ora.

Io, grazie a Dio, non ho mai avuto problemi economici…

Sono un porcellino grasso con la pancia piena…

…quindi credo di non essere abbastanza credibile per affrontare questo tema.

Pertanto, per parlare del comunismo lascio la parola a Madeleine Delbrêl (1904-1964), che ho già citato qui sul blog.

Per chi non se la ricorda, Madeleine è stata una mistica e assistente sociale francese, che per 30 anni si è spaccata la schiena ad Ivry-sur-Seine, nell’estrema periferia sud di Parigi, per amore dei poveri.

Ivry-sur-Seine era chiamata “la città delle 300 fabbriche”: un contesto in cui si mescolavano lotte sociali, tensioni, sfruttamento di operai, ritmi di lavoro assurdi, ingiustizie, etc.

Ed è lì che, confrontandosi con tanta povertà (economica e culturale), Madeleine ha maturato la sua opinione sul comunismo:

Il comunismo afferma di volere l’amore per il prossimo rifiutando l’amore a Dio.
Il comunismo vuole pagare ciò che per esso è amore all’uomo con il prezzo dell’odio a Dio.
Il comunismo vuol dare agli uomini ciò che chiama felicità; ma la condizione fondamentale che esige è la morte di Dio.
Questo rifiuto di Dio e questo culto dell’Uomo, questo odio a Dio e questa devozione all’uomo, questo trionfo dell’uomo e questa condanna a morte di Dio sono proposti, esplicati, esaltati con tutta un’orchestrazione di propaganda ideologica, e rischiarati dai fuoci incrociati di illuminazioni abbaglianti.
[…]
Il comunismo non lascia intatto il secondo comandamento della carità. Anche qui, noi siamo indotti in tentazione. In quanto è carità, l’amor fraterno supera tutte le nostre misure umane.
[…]
La carità fraterna è come un ponte che unisce con un sol arco Dio e gli uomini. Quest’arco non si può spezzare in andata e ritorno. Esso è uno.
[…]
Per vivere la carità del Signore ci occorre soltanto la fede, tutta la fede.
La fede, questo tesoro che abbiamo ricevuto, tesoro che manca al mondo e che noi dobbiamo portare con noi dentro il mondo.

(MADELEINE DELBRÊL, da una nota personale scritta a proposito d’un incontro interconfessionale sulla presenza del cristiano in ambienti atei, 1959, da La gioia di credere, Gribaudi, Torino 2012, p.183)

E ancora:

Io penso – ed è forse un’eresia sociologica – che il comunismo sia il prodotto di un cristianesimo tradito da noi.
Io penso anche – ed è forse un’altra eresia sociologica – che il comunismo, se pure è una risposta parziale alle aspirazioni scientifiche, tecniche, sociali d’un mondo, sia ancor prima una risposta fittizia alle aspirazioni che Dio ha messo nel cuore dell’uomo e il Cristo ha portato in piena luce e in piena vista.

(MADELEINE DELBRÊL, da una nota scritta in vista di una conferenza per i sacerdoti tenuta a Champrosay nel giugno 1964, da La gioia di credere, Gribaudi, Torino 2012, p.210)

Ripeto.

Queste sono le parole di una donna che ha vissuto gomito a gomito per 30 anni nella “banlieue” parigina.

[…] io vorrei tanto parlarLe del problema del marxismo.
È così grave e rischioso essere con il Cristo in mezzo a loro.
È così difficile amarli non per ciò che hanno, ma per ciò di cui mancano; e, altre volte, difficile è non fuggirli fuggendo il male.
Essi hanno estremo bisogno che il Vangelo gli sia portato integralmente: con quanto ci rende amabili, con quanto ci rende odiosi e ridicoli.

(MADELEINE DELBRÊL, lettera a Jean Guéguen, 15 gennaio 1953)

Conclusione

La proprietà privata è una cosa buona, SE garantisce:

  • condizioni di vita migliori;
  • sicurezza;
  • opportunità per il futuro;
  • un’equa distribuzione delle ricchezze.

Ma…

…chi possiede ricchezze si espone ad un enorme rischio.

Quale?

Quello di attaccare il cuore ad un’illusione.

La ricchezza, infatti, ha un “potere” enorme: quello di sostituirsi a Dio.

Possedere dei beni (di qualsiasi natura essi siano) non lascia mai indifferenti:

  • c’è sempre il rischio di assolutizzarli;
  • c’è sempre il rischio di cadere in schiavitù;
  • c’è sempre il rischio dell’idolatria;
  • c’è sempre il rischio di chiedere la vita a cose che oggi ci sono, domani boh;
  • c’è sempre il rischio che noi diventiamo tanti piccoli Gollum;

…e, non so se ci avete fatto caso, ma tutte le volte che Gesù mette in guardia i suoi discepoli nei confronti di questo rischio, usa parole durissime e piene di preoccupazione (cfr. Mt 6,24; 19,21-26; Lc 16,13).

Perché è così severo?

Perché chi attacca il cuore a ciò che possiede, finisce inevitabilmente posseduto.

Ma allora, come si fa a possedere beni, senza chiedere loro la vita?

Solo riconoscendone la dipendenza da Dio Creatore e finalizzandoli conseguentemente al bene comune, è possibile conferire ai beni materiali la funzione di strumenti utili alla crescita degli uomini e dei popoli.

(Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, punto 181)

Riducendo all’osso la questione, la Chiesa insegna una cosa molto semplice: tutto quello che possiedi è per amare.

Il senso della proprietà privata è amare.

O è così.

Oppure sei posseduto dalle cose.

sale

(Autunno 2022)

Fonti/approfondimenti

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