Cos’è il peccato?

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1 • Ma che peccato!

La parola “peccato“, ai nostri giorni, credo che faccia un po’ ridere e un po’ vergognare.

Se esce fuori per sbaglio in una conversazione con un non credente, ti dà una sensazione di disagio, come se avessi detto qualcosa di sbagliato

peccato pomodori in faccia

Esempio concreto: un paio di mesi fa, mi sono fatto con un amico “l’imbarcata” per andare a Lucca Comics.

Chiacchierando del più e del meno (da Roma sono quattro ore di macchina), a un certo punto esce fuori l’argomento “religioni” (giuro che non l’ho tirato fuori io! Di queste cose parlo solo sul blog, quando sono in giro faccio finta di essere una persona normale!).

L’amico in questione (agnostico), parlando del cristianesimo, commenta:

«Boh, a me la “spiritualità cristiana” non mi dice niente di che. Tanto per dire: la storia del “mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa …ma che significa? “Colpa” de che?»

Dato che mi ha colto un po’ a bruciapelo, e non sapevo da dove partire… niente, l’ho guardato con un’espressione vacua, un po’ rintronato di sonno, e ho dovuto abbozza’ in silenzio…

2 • Il peccato nel terzo millennio: “fate l’amore con il sapore”

Fino alla generazione di mia nonna, la parola “peccato” suscitava tra le persone un che di “moralistico“: qualcosa che era meglio non fare se non volevi incorrere nel biasimo pubblico

peccato esecuzione capitale

Nella nostra epoca invece, nell’immaginario collettivo, il termine “peccato” ha a che fare con qualcosa di bello ma proibito, qualcosa di intrigante che “ti strizza l’occhio”, che “sarà il nostro piccolo segreto”, che “chi vuol esser lieto sia, di doman non c’è certezza”.

A formare quest’idea ha contribuito (tra le tante cose) un discreto numero di pubblicità, nelle quali l’inferno è rappresentato come un luogo a metà tra una confraternita studentesca e una discoteca con l’happy hour dopo le 21:00, in cui gente spensierata balla, flirta e si diverte…

…mentre il paradiso è la quintessenza della noia: vecchiette un po’ svampite che cantano l’Osanna a Dio («Ma poi che cacchio significa “Osanna”?»), angeli annoiati che suonano l’arpa …e degustazioni di caffè Lavazza:

paradiso dante

3 • Il peccato nella tradizione ebraico-cristiana

Per i latini la parola “peccato” significava “inciampare, fare un passo falso” (cfr. Orazio, Epistole, 1, 1, 8-9).

Il senso era analogo nella cultura ebraica; tant’è che, nel libro dei Proverbi, Dio dice:

«Chi pecca contro di me, danneggia sé stesso» (Prv 8,36)

Al popolo d’Israele (prima ancora che ai cristiani) era chiaro il fatto che il peccato (oltre ad essere un’offesa a Dio) era un male per l’uomo.

Certamente, agli israeliti stava a cuore la lealtà al Signore, la fedeltà alle Tavole della Legge e il rispetto dei Suoi precetti… ma sapevano bene che questa sequela non consisteva nell’“assecondare i dettami di una divinità capricciosa”!

peccato nyogtha

Nella cultura ebraica, la Legge era (ed è) sempre e comunque un bene per il popolo:

«La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima»
(Sal 19,8)

«Bene per me è la legge della tua bocca,
più di mille pezzi d’oro e d’argento»
(Sal 119,72)

La letteratura sapienziale dell’Antico Testamento è intrisa della saggezza del Popolo eletto, che fa memoria del fatto che ogni volta che ha agito diversamente rispetto a quanto Dio indicava – ogni volta che ha peccato, insomma – le conseguenze sono state spiacevoli…

…ma non perché “Dio era infame e jaa faceva paga’ salata”. Molto più semplicemente, perché (come dice pure il catechismo della chiesa cattolica):

«Il peccato è una mancanza contro la ragione, la verità e la retta coscienza»
(CCC 1849)

In alcuni contesti, questo è più evidente: se rubo, sto togliendo soldi a qualcuno (qualcun altro); se uccido, faccio del male a qualcuno (qualcun altro).

C’è poi un male meno visibile: quello che faccio a me stesso. Che non si vede, ma non per questo è meno male.

È curioso che Dio (ammesso che si sia rivelato nel carpentiere galileo di cui parliamo sempre) chiami “peccato” anche questo male.

terence hill peccato

(Su questo però ci torniamo quando parleremo di sessualità, sennò domani mattina stiamo ancora qua).

Comunque, l’aspetto fondamentale della cultura ebraico-cristiana riguardo “la morale” è questo: le Leggi di Dio sono per una umanizzazione della vita.

Non sono “obblighi” calati dall’alto.

Sono un invito a vivere qualcosa che è un bene per te.

4 • Cinquanta sfumature di peccato: veniale, mortale, etc.

Non serve il “diploma da catechista” per riconoscere che alcuni peccati sono più gravi di altri: parlare alle spalle di qualcuno, prenderlo a sassate o accoltellarlo non sono proprio la stessa cosa, no?

Non so se avete ancora ricordi di quando, da ragazzini, siete stati costretti dai vostri genitori ad andare a catechismo, «sennò la Playstation finisce nel cassonetto!».

catechismo

Non so se vi ricordate la differenza tra peccato mortale e peccato veniale… se non vi ricordate:

  • il peccato mortale è “quello grave”
  • il peccato veniale no

Una cosa che mi ha sempre “colpito” sono le condizioni affinché un peccato possa essere considerato mortale.

Oltre a dover esserci “materia grave” – termine tecnico per dire che “stai a sgara’ coi dieci comandamenti” (*) – ci sono altri due requisiti che un peccato deve avere per essere “mortale”.

(*) (o se preferite, “stai a sgara’ contro la legge morale naturale”, di cui abbiamo parlato il mese scorso)

Ovvero:

  • deliberato consenso: ciò che fai deve essere frutto di una scelta libera (non sottoposta a costrizioni);
  • piena avvertenza: cioè bisogna avere coscienza del fatto che ciò che si sta facendo è un male

Sembreranno cose scontate…

…ma la conseguenza “dirompente” di queste premesse è che il peccato ha una dimensione fortemente personale.

Mi spiego meglio con un esempio.

L’atto in sé di rubare è un disordine morale… è così per i sumeri, gli assiri, i babilonesi, gli ebrei, i greci, i cristiani, gli indù, i buddisti, etc. (come ho scritto sopra, se volete tornare su ‘sta cosa della legge morale naturale, ne avevamo parlato qui)

…ma…

…l’atto di rubare non è necessariamente un peccato!

Ad esempio:

  • Se io che sono un viziatello con la pancia piena vado al mercato e rubo una mela per goliardia, commetto un peccato mortale (sarei infatti ben consapevole di fare un torto al fruttivendolo e privarlo dei soldi che gli spettano).
  • Immaginiamo invece che un ragazzino di una gang di “Tor Bella Monaca” / “Scampia” / “Quarto Oggiaro” (**) entri in un negozio e rubi qualcosa…
    Forse quand’era piccolo sua nonna (che non c’è più) gli diceva che rubare è sbagliato; probabilmente ha ancora un vago ricordo di lei. Però è solo un’eco lontana…
    Aggiungici l’ambiente in cui è cresciuto, le dinamiche di gruppo, il timore di fare la figura del “cacasotto” davanti agli amici, che “scommetto che nun t’aregge a rubba’”
    Insomma, in tutti i casi in cui la coscienza non è completamente formata (vuoi per una famiglia problematica, vuoi per un contesto sociale caotico, vuoi per quel che ti pare) si può parlare di peccato veniale.
tor bella monaca
  • Come terzo esempio, immaginiamo una donna senzatetto che non ha soldi per comprare da mangiare a suo figlio affamato; preoccupata per la salute di questo, va al mercato, e ruba del cibo per nutrirlo. In questo caso, la donna non sta commettendo peccato, neanche veniale! Infatti «in caso di necessità tutto è comune. Quindi non è peccato se uno prende la roba altrui, resa comune per lui dalla necessità» (*)

(*) (Se qualcuno crede che “‘sta fesseria” me la sia inventata io in un attacco di originalità, può andare a controllare la Summa Theologiae di San TommasoS.Th. II-II, Q 66, art. 7…tutto magistero della Chiesa 😉)

5 • Il peccato nelle altre religioni

Le cose che ho scritto nell’ultimo paragrafo (sulla responsabilità che abbiamo nelle azioni che compiamo) sembrano tanto scontate ai nostri occhi… ma in molti contesti non lo sono affatto (anzi!).

Nel confronto con altre tradizioni (soprattutto con quelle lontane dal giudeo-cristianesimo) emerge una differenza di non poco conto.

In molte culture (antiche e moderne), il peccato è percepito come qualcosa di oggettivo: se compio un’azione, ne sono moralmente responsabile, a prescindere dal fatto che io agisca in maniera cosciente (o meno) e che sia consapevole (o no) di ciò che faccio.

Questa concezione della “colpa” non coglie l’aspetto personale del peccato, ma solo l’oggettività dell’azione compiuta.

Provo a chiarire con due esempi, uno proveniente dal passato, ed uno dai nostri giorni.

5.1 • Esempio antico: cultura greca

Non so se vi ricordate dal liceo l’Edipo Re, la tragedia di Sofocle (496 a.C. – 406 a.C.)…

critica testuale

Per chi da adolescente non avesse cacato sangue sulla storia dell’eroe greco «campione in carica di poraccitudine», ecco il riassunto:

Edipo è abbandonato in fasce in una foresta dai suoi genitori, perché l’oracolo di Delfi aveva profetizzato che avrebbe ucciso suo padre, sposato sua madre, e portato alla rovina la discendenza.

Trovato da un pastore, viene allevato alla corte del re di Corinto. Anni dopo, Edipo scopre “di essere stato adottato”. Decide allora di mettersi in viaggio, per scoprire la verità sul suo passato.

Lungo il cammino, tra le tante disavventure, viene alle mani con un uomo e lo uccide (spoiler: alla fine si scopre che è il padre). Giunto a Tebe, libera la città da una sfinge (che opprimeva gli abitanti, divorando chi non riusciva a risolvere i suoi indovinelli), diventa re, sposa la regina Giocasta (spoiler: alla fine si scopre che è la madre) e da lei ha quattro figli.

Nonostante Edipo sia un re amato dal popolo, dopo un periodo felice di regno la città è sconvolta da gravi calamità, ultima tra tutte una grave epidemia di peste. Si viene a scoprire che gli dei stanno punendo la città per i peccati commessi dal re. Edipo non capisce.

Alla fine però “la verità viene a galla”: Edipo ha ucciso il padre, sposato la madre e avuto figli in un rapporto incestuoso. Sconvolto dalla scoperta, si cava gli occhi, disperato.

I tebani lo ripudiano.

La tragedia si chiude con il suo esilio dalla città, per ristabilire la pace.

(E visse per sempre “poraccio e colpevole”)

Insomma, la colpa di Edipo non è minimamente attenuata dalla sua ignoranza. Egli è – inconsapevolmente – un miasma per Tebe.

Il solo fatto di aver compiuto quei gesti, qualifica Edipo come «colpevole» agli occhi degli dei e del popolo.

5.2 • Esempio moderno: cultura indiana

Una rapida consultazione dei rotoli della perduta biblioteca interrata del Visakhapatnam (a.k.a. Wikipedia) vi permetterà di scoprire che il saṃsāra è il ciclo di vita, morte e rinascita delle religioni indiane (buddhismo, induismo e via dicendo).

In pratica, secondo questa credenza, l’anima di una persona che ha condotto un’esistenza virtuosa si reincarna nella vita successiva in una casta superiore rispetto a quella in cui ha vissuto (nella speranza di uscire, prima o poi, dal ciclo delle reincarnazioni e raggiungere il nirvana, ovvero la libertà dai desideri, che sono fonte di infelicità).

Al contrario, una persona che ha avuto un comportamento malvagio si reincarna in una casta inferiore… o addirittura in un animale, nei casi peggiori.

marsupilami

Nella società indiana, se un bramino (un appartenente alla casta più alta, quella più vicina alla purezza e al nirvana) abita nello stesso edificio di un paria (un impuro, che si trova fuori dal sistema delle caste), «scende di casta», diventando anche lui un paria.

A prescindere dal fatto che ne sia consapevole, o che ciò sia dovuto a cause contingenti come il sovraffollamento urbano.

Insomma, a meno che un bramino “progressista” non subisca l’influsso del pensiero occidentale, non violerà mai questo tabù.

bramino

6 • Il peccato secondo Gesù

Ma torniamo a noi.

Al cristianesimo, alla Chiesa… a Gesù!

Cosa pensa il “nostro” carpentiere galileo del peccato?

Molte persone, quando pensano al rapporto tra Gesù, la Chiesa e il perdono dei peccati, hanno in mente qualcosa del genere:

  • Gesù = buono
  • Chiesa = cattiva

Anzi!

A detta di qualcuno, il concetto di “peccato” non c’entra proprio nulla con la predicazione di Gesù! È un’invenzione della Chiesa, che si serve della vergogna e del senso di colpa per sottomettere le coscienze delle persone, e mantenere il suo bieco potere sul mondo!

Fosse stato per Gesù, l’unica regola sarebbe stata: «Tra adulti consenzienti vale tutto!»

Ora.

Senza stare a fare troppi voli pindarici ed esegesi sessantottine, apriamo il Vangelo.

A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, vi è una piscina, chiamata in ebraico Betzatà, con cinque portici, sotto i quali giaceva un grande numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. Si trovava lì un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù, vedendolo giacere e sapendo che da molto tempo era così, gli disse: «Vuoi guarire?». Gli rispose il malato: «Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di me». Gesù gli disse: «Àlzati, prendi la tua barella e cammina». E all’istante quell’uomo guarì: prese la sua barella e cominciò a camminare.

[…]

Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco: sei guarito! Non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio»

(Gv 5, 2-9a.14)

C’è un paralitico «malato da trentotto anni» (Gv 5,5).

E Gesù che – dopo averlo guarito – gli dice: «Non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio» (Gv 5,14).

Non credo che serva un biblista per constatare che per Gesù il peccato è peggio di una paralisi fisica di trentotto anni.

6.1 • Gesù che perdona i peccati

Temo che questo sia un aspetto della persona di Gesù che viene spesso trascurato: Gesù che perdona, che «rimette i peccati».

Alcuni credono che sia un dettaglio da quattro soldi, tipo “il colore delle iridi” o “quanto portava de ciavatte” (che «a una certa stica’»)…

Torniamo al Vangelo:

  • Ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati (Mt 1,21)
  • Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?» (Lc 7,48-49)
  • Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Figlio, ti sono perdonati i peccati». Erano seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?». E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate queste cose nel vostro cuore? Che cosa è più facile: dire al paralitico «Ti sono perdonati i peccati», oppure dire «Àlzati, prendi la tua barella e cammina»? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te – disse al paralitico -: àlzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua». Quello si alzò e subito presa la sua barella, sotto gli occhi di tutti se ne andò (Mc 2,5-12)
  • Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati (Mt 26,28)

Ho riportato solo alcuni esempi, ma parola “peccato/i” compare 75 volte nei Vangeli (domanda: quali sono le parole più frequenti, nei testi di Marco, Matteo, Luca e Giovanni?).

Perché tanta insistenza?

Spesso si trascura un aspetto fondamentale del “deposito della fede”.

Quale?

Riprendiamo la definizione di “peccato” che ho scritto prima (quella del “Catechismo della chiesa cattolica”)… sta volta però per intero (prima avevo tagliato un pezzo):

«Il peccato è una mancanza contro la ragione, la verità, la retta coscienza; è una trasgressione in ordine all’amore vero, verso Dio e verso il prossimo, a causa di un perverso attaccamento a certi beni.

Esso ferisce la natura dell’uomo e attenta alla solidarietà umana»

(CCC 1849)

Il peccato è una ferita nel cuore dell’uomo.

Ferisce la sua natura.

Gesù ha compassione per i peccatori perché – come un medico – riconosce questa ferita.

Nel peccato non c’è solo una dimensione “sociale”, del tipo: “Ops! Ho fatto un torto a Camillo! Ora gli chiedo scusa e tutto torna a posto!”.

C’è anche una dimensione “personale”, qualcosa che tocca profondamente le corde dell’uomo, le mie corde, e mi fa del male.

Una ferita che necessita di un medico.

voldemort

6.2 • “Chi di loro dunque lo amerà di più?”. Simone rispose: “Suppongo sia colui al quale ha condonato di più” (Lc 7,42-43)

In tutti gli episodi del Vangelo in cui Gesù perdona emerge un’altra verità sulla natura umana, che spesso passa in sordina: la bontà non ce l’abbiamo già in tasca! Lasciati alle nostre forze, siamo capaci di ben poco.

Scriveva san Paolo a Tito:

«Anche noi un tempo eravamo insensati, disobbedienti, corrotti, schiavi di ogni sorta di passioni e di piaceri, vivendo nella malvagità e nell’invidia, odiosi e odiandoci a vicenda» (Tt 3,3)

bloodborne

È lo stesso Paolo però che in un’altra lettera ricorda ai romani:

«Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia» (Rm 5,20)

In che senso?

Banalmente, Paolo racconta la sua esperienza.

Ovvero: solo attingendo al perdono di Dio, Paolo può ricevere la grazia che gli spalanca il cuore (cfr. anche Lc 7,40-50)

Solo ricevendo misericordia da Dio, Paolo può avere uno sguardo dolce sugli altri, che non li giudichi, che non li privi della loro dignità, nonostante le loro cadute (*).

(*) (Un tempo si diceva: «bisogna odiare il peccato ed amare il peccatore»; senza il Suo sguardo, si finisce inevitabilmente per amare il peccato insieme al peccatore, e giustificare la qualunque… o, al contrario, odiare i peccatori più dei loro peccati)

Solo chiedendo scusa a Dio per il male che Paolo ha fatto agli altri, poi può avere in dono quell’empatia che gli permette di essere clemente con gli altri quando sbagliano.

Altrimenti è la solita “ernia spirituale” che gli antichi chiamavano pelagianesimo (di cui Papa Francesco ha abbondantemente parlato nell’esortazione apostolica “Gaudete et Exsultate”, punti 47-62).

…che – alla lunga – porta ad avere un atteggiamento mentale del tipo:

  • «Ma come cavolo fai ad essere così egoista! Sono allibito! Ancora non hai capito che devi essere buono?!»
  • «Sono indignato dal tuo comportamento!» (cfr. Lc 15,28)
  • «Ok, dai! Ora basta co’ ‘ste cazzatine della preghiera e della confessione! Abbiamo capito che bisogna fare del bene agli altri! Sforziamoci di farlo

Come la chiama Papa Francesco: «una volontà senza umiltà».

sale

(Autunno 2019)

Fonti/approfondimenti

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