1 • Cani che corrono dietro alla lepre… e cani che corrono dietro ad altri cani
Da quando sono bambino, ho sempre sentito dire:
- che i cattolici in Italia sono la maggioranza;
- che il 71,1% dei cittadini italiani si dichiara cattolico;
- che in Italia ci sono 43,2 milioni di cattolici.
Ebbene… questi numeri mi sono sempre sembrati una mezza fregnaccia.
Per spiegarvi il perché, vi trascrivo un apoftegma dei padri del deserto che ho letto qualche anno fa:
Un giovane monaco andò un giorno a trovare un vecchio monaco, carico di anni e di esperienza e gli disse: «Padre mio, spiegami come mai tanti vengono alla vita monastica e tanto pochi perseverano, tanti tornano indietro».
Il monaco rispose: «Vedi, succede come quando un cane ha visto la lepre.
Si mette a correre dietro la lepre e abbaia forte.
Altri cani sentono il cane che abbaia correndo dietro alla lepre e anch’essi si mettono a correre: sono in tanti che corrono insieme, abbaiando, però uno solo ha visto la lepre, uno solo la segue con gli occhi.
E a un certo punto, uno dopo l’altro, tutti quelli che non hanno veramente visto la lepre e corrono solo perché uno l’ha vista, si stancano, si sfiancano.
Colui che invece ha fissato gli occhi sulla meta in maniera personale, arriva fino in fondo e acchiappa la lepre».
E diceva: «Vedi, ai monaci accade così. Soltanto quelli che hanno fissato gli occhi veramente sulla persona di Gesù Cristo, nostro Signore crocefisso, arrivano fino in fondo».
(dagli apoftegmi dei Padri del deserto; citato in CARLO MARIA MARTINI, È il Signore! Questa è la nostra fede, In dialogo, Milano 2012)
In questo aneddoto si parla della vita monastica…
…a me però fa pensare alla fede cristiana in generale.
Ci sono molte persone che dicono di essere cristiane, ma quello che intendono è che:
- sono stati battezzati perché i nonni ci tenevano tanto;
- hanno fatto il catechismo per la prima comunione perché «sennò pareva brutto»;
- hanno fatto la cresima perché «così mi tolgo il pensiero se un giorno mi dovrò sposare»;
- sono cresciuti in famiglie in cui i nonni frequentavano la chiesa «per tradizione»…
Per rimanere sull’analogia che ho scritto sopra, molti cristiani in Italia non sono «cani che hanno visto la Lepre», ma «cani che seguono altri cani».
Sono persone che – spesso in modo ingenuo e senza una vera e propria presa di coscienza – seguono il gregge, spinti dalla tradizione popolare, dalle usanze di paese, dalle pressioni familiari.
Sono uomini e donne che dicono di credere in Dio, ma lo fanno “per sentito dire”.
Sono persone di buona volontà che – per quanto possibile – cercano di comportarsi bene, seguono gli insegnamenti della Chiesa e – perché no – pensano che essere gentili con il prossimo sia una bella cosa.
…
Oh, intendiamoci.
Le persone che fanno queste cose, non sono cattive persone.
Conosco tanta gente “di buona volontà” che corrisponde a queste descrizioni.
Però c’è una cosa che manca:
- l’esperienza personale dell’incontro con Dio;
- l’aver toccato con mano in prima persona il fatto che Dio non è una «ipotesi esplicativa della realtà», ma Qualcuno che realmente agisce nella tua vita;
- il poter dire con Giovanni: «quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita […], quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi» (1Gv 1,1.3);
- il passaggio dal «dio dei filosofi» al «Dio che entra a gamba tesa nella mia vita in modo inequivocabile».
Ecco.
Secondo me, cristiano (per davvero!) è chi ha fatto questa esperienza.
Cristiano (per davvero!) è «il cane che ha visto la Lepre».
La sua vita ha tutto un altro sapore.
Chi crede in Dio “per sentito dire”, è come se stesse leggendo un libro in cui è narrata una storia d’amore…
…un cristiano, invece, è chi ha fatto esperienza in prima persona di cosa voglia dire essere innamorato.
2 • Elogio degli «incoerenti»
Secondo me, la coerenza è una virtù sopravvalutata.
Anzi, a volte penso che non sia affatto una virtù.
A me le persone tutte d’un pezzo fanno salire un brividino di inquietudine lungo la schiena.
Al contrario, le persone che non sono all’altezza del proprio «io ideale» mi stanno molto simpatiche.
E mi stanno ancor più simpatiche le persone che cambiano idea.
Quelle che si sono lasciate interrogare pesantemente dalla vita.
Quelle che a un certo punto della loro vita hanno avuto un giro di boa.
Tra queste persone – neanche a dirlo – ci sono i convertiti.
Quando parliamo dei convertiti, penso che non ci rendiamo mai veramente conto dell’enormità della questione.
Cioè.
Provate a pensarci.
Non stiamo parlando di qualcuno che cambia idea sulla serie tv preferita…
O sul suo lavoro…
O sulla città in cui vuole vivere…
…stiamo parlando di qualcuno che cambia idea sulla vita in modo radicale; stiamo parlando di un cambio di prospettiva ontologico.
Magari prima eri un ateo materialista… e poi… *SBEM*…
…rimani folgorato sulla via di Damasco: scopri che il Mistero ha un volto…
…e il Suo sguardo ti trafigge il cuore.
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Una delle prime persone convertite in cui mi sono imbattuto a vent’anni – quando avevo iniziato a leggere libri per capire se il cristianesimo fosse una fandonia – è Vittorio Messori, giornalista e scrittore italiano (classe ’41).
Nell’introduzione ad uno dei suoi libri più belli che io abbia letto, Messori ha scritto queste righe:
Sono tra coloro che non sanno abituarsi al cristianesimo.
Mai mi riuscì di dare per scontato che la verità sull’uomo e sul mondo, sulla storia e sull’eternità, sia celata nella persona e nelle parole di quel “piccolo ebreo”, come Friederich Niezsche chiamava Gesù di Nazareth […].
Il fatto è che ciascuno porta il peso della sua piccola storia.
La mia, nella sua prima parte – la decisiva, quella della formazione – fu segnata da un laicistico razionalismo che mi impedì di installarmi poi senza problemi nell’edificio della cristianità, dove, all’improvviso, sarei stato sospinto.
In quelle sale antiche di venti secoli, dei quali mostrano gli splendori ma anche le miserie, sempre mi sono aggirato non da tranquillo cittadino, ma da ospite inquieto che si chiede se la costruzione non sia per caso abusiva, se le fondamenta ci siano davvero.
[…]
Quanto a me, ancora ho sulla pelle il marchio indelebile di quella cultura “critica”, della “ragione” (vera o presunta che sia) che pensavo sarebbe stata per sempre la mia e dalla quale fui invece sradicato; senza mia colpa o merito.
[…]
Ho cominciato a interrogarmi (e a interrogare, sino alla petulanza, chi mi trovavo intorno) mentre entravo nella piena giovinezza, nella mia stanza di studente, a Torino; […].
Da più di vent’anni (pur tra errori, deviazioni, arresti, accidie, rivolte) il meglio delle energie e il più del tempo sono andati per viaggiare dentro me stesso, dentro le biblioteche, dentro il vasto mondo, inseguendo e vagliando le tracce, le orme, i segni di un Dio che, se c’è, ha scelto di nascondersi.
Capisco bene l’esclamazione del profeta Isaia: «Davvero tu sei un Dio nascosto, Dio d’Israele, salvatore»; e non mi è certo estraneo quel «cercare Dio come a tentoni, per specchi ed enigmi» di cui parla Paolo di Tarso («Benché – aggiunge subito dopo, a conferma del paradosso della fede – non sia lontano da ciascuno di noi»).
(VITTORIO MESSORI, Inchiesta sul cristianesimo: sei tu il Messia che deve venire?, Società editrice internazionale, Torino 1987, p. 9-10)
Vittorio Messori è uno dei rari esempî italiani di apologetica fatta come si deve (*).
(*) (Non faccio nomi per carità cristiana, ma ho letto libri di autori che – per “difendere” la fede – ricorrevano ad argomenti fantoccio, argomenti ad hominem, cherry picking ed altre fallacie logiche)
Alcuni libri di Messori, come «Ipotesi su Gesù» o «Inchiesta sul cristianesimo» dovrebbero essere un prerequisito per poter ricevere il battesimo…
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Tornando indietro di un paio di secoli, un altro incoerente del quale mi sono innamorato qualche anno fa è stato lo scrittore e filosofo russo Fëdor Dostoevskij (1821-1881).
Ecco cosa scriveva in una lettera del 1854:
Vi dirò di me stesso che sono un figlio di questo secolo, un figlio dell’incredulità e del dubbio fino ad oggi e forse fino alla tomba.
Quali spaventose torture mi è costata anche ora questa sete di credere, tanto più forte nella mia anima quanto più ci sono in me argomenti contrari.
E tuttavia, Dio mi invia talvolta dei momenti in cui tutto mi è chiaro e sacro.
È in quei momenti che ho composto un credo: credere che non c’è niente di più bello, di più profondo, di più amabile, di più ragionevole e di più perfetto che il Cristo, e che non solo non c’è niente, ma, lo dico con un amore geloso, che non si può avere niente.
E più ancora, se qualcuno mi avesse dimostrato che Cristo è fuori dalla verità, avrei preferito senza esitare restare con Cristo piuttosto che con la verità.
(FËDOR DOSTOEVSKIJ, dalla lettera indirizzata alla signora N. Von Visine, datata 20 febbraio 1854, FËDOR DOSTOEVSKIJ, «Pis’ma, Sobranie Sočinenij», vol. 28, I, Moskva 1985, p.176)
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Le persone incoerenti sono così belle che se non esistessero, bisognerebbe inventarle…
…e a proposito di invenzioni, nei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni (1785-1873) è narrata la storia di uno degli incoerenti più affascinanti della letteratura mondiale: l’Innominato.
Il dialogo post-conversione tra l’Innominato e il cardinale Federico Borromeo dovrebbe essere letto le domeniche a messa, al posto di tante inutili omelie:
L’innominato stava attonito a quel dire così infiammato, a quelle parole, che rispondevano tanto risolutamente a ciò che non aveva ancor detto, né era ben determinato di dire; e commosso ma sbalordito, stava in silenzio.
«E che?» riprese, ancor più affettuosamente, Federigo: «Voi avete una buona nuova da darmi, e me la fate tanto sospirare?»
«Una buona nuova, io? Ho l’inferno nel cuore; e vi darò una buona nuova? Ditemi voi, se lo sapete, qual è questa buona nuova che aspettate da un par mio».
«Che Dio v’ha toccato il cuore, e vuol farvi suo» rispose pacatamente il cardinale.
«Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov’è questo Dio?»
«Voi me lo domandate? voi? E chi più di voi l’ha vicino? Non ve lo sentite in cuore, che v’opprime, che v’agita, che non vi lascia stare, e nello stesso tempo v’attira, vi fa presentire una speranza di quiete, di consolazione, d’una consolazione che sarà piena, immensa, subito che voi lo riconosciate, lo confessiate, l’imploriate?»
«Oh, certo! ho qui qualche cosa che m’opprime, che mi rode! Ma Dio! Se c’è questo Dio, se è quello che dicono, cosa volete che faccia di me?»
Queste parole furon dette con un accento disperato; ma Federigo, con un tono solenne, come di placida ispirazione, rispose: «cosa può far Dio di voi? cosa vuol farne? Un segno della sua potenza e della sua bontà: vuol cavar da voi una gloria che nessun altro gli potrebbe dare».
(ALESSANDRO MANZONI I promessi sposi, Newton Compton Editori, Roma 2010, versione Kindle, 42%)
L’Innominato è un personaggio immaginario – ma spesso, lungo la storia, è capitato che Dio abbia toccato il cuore a uomini e donne che erano suoi acerrimi nemici…
…e come scriveva il filosofo e teologo Vladimir Solov’ëv (1853-1900), a volte sono proprio queste persone a diventare i discepoli più fecondi:
Per i tempi che corrono persone così sono una rarità e non so spiegarvi con quale particolare piacere guardi a un evidente nemico del cristianesimo. Riesco quasi a vederci un futuro apostolo Paolo, mentre in tanti devoti del cristianesimo mi sembra che si nasconda, sebbene forzatamente, un Giuda traditore.
(VLADIMIR SOLOV’ËV, I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo, Fazi, Roma 2017, versione Kindle, 78%)
3 • Clive Staples Lewis
Non posso non dedicare un paragrafo a quello che (probabilmente) è il mio convertito preferito: lo scrittore, saggista e teologo britannico Clive Staples Lewis (1898-1963).
Lewis è nato in una famiglia protestante…
…ma già alla fine dell’estate del 1913 all’età di 15 anni (quando ha vinto una borsa di studio per il Malvern College) dichiarava di essere diventato ateo.
Durante la frequentazione del college, la sua posizione filosofica e il suo sguardo sul mondo si sono tinti di una vena di pessimismo (cfr. l’introduzione di LUCIANO SQUIZZATO all’epistolario tra CLIVE STAPLEWS LEWIS e DON GIOVANNI CALABRIA, Una gioia insolita, lettere tra un prete cattolico e un laico anglicano, Jaca Book, Milano, 2017, p.21).
Nel 1916, Lewis viene accettato all’University College di Oxford. In quell’anno, un mese prima di compiere 18 anni, scrive questa lettera all’amico Arthur Greeves:
Mi chiedi le mie opinioni religiose: sai, immagino, che io non credo in nessuna religione.
Non ci sono nella maniera più assoluta prove per alcuna di loro, e da un punto di vista filosofico il cristianesimo non è neppure la migliore.
È così, tutte le religioni, tutte le mitologie per chiamarle col loro nome appropriato, sono solo invenzioni dell’uomo stesso – Cristo tanto quanto Loki.
Gli uomini primitivi si trovarono circondati da ogni sorta di terrori che non riuscivano a comprendere – tuono, pestilenza, serpenti, ecc. -; niente di più naturale che crederli animati da spiriti maligni che cercavano di torturarli.
Li tenevano lontani servendoli, cantando e compiendo sacrifici ecc.
Gradualmente, dai semplici spiriti della natura questi esseri immaginari furono elaborati in idee più elevate, come gli dei antichi: e quando l’uomo divenne ancora più raffinato, pretese che questi spiriti fossero tanto buoni quanto potenti.
Così la religione, che sarebbe meglio chiamare mitologia, crebbe.
Spesso, a loro volta, grandi uomini vennero considerati divinità dopo la loro morte – come Eracle oppure Odino: allo stesso modo dopo la morte del filosofo ebreo Yeshua (il cui nome venne poi corrotto in Gesù) egli venne ritenuto un dio, si diffuse un culto, che fu più tardi legato all’antica venerazione ebraica di Jahweh, e così nacque il cristianesimo – una mitologia fra tante, ma l’unica nella quale ci è capitato di essere stati educati.
(CLIVE STAPLES LEWIS, da una lettera ad Arthur Greeves del 12 ottobre 1916, in Ibid., Prima che faccia notte: Racconti e scritti inediti, BUR, Milano 2012, versione Kindle, 57%)
Nel 1922, Lewis si iscrive alla facoltà di inglese, e fa amicizia con uno studente cristiano – Nevill Coughill.
In quegli anni, si accorge del fatto che «gli amici più cari e di cui stimava l’intelligenza [erano] tutti cristiani» (LUCIANO SQUIZZATO, introduzione all’epistolario tra CLIVE STAPLEWS LEWIS e DON GIOVANNI CALABRIA, Una gioia insolita, lettere tra un prete cattolico e un laico anglicano, Jaca Book, Milano, 2017, p.22)
Nel maggio del 1925, ottiene la cattedra di Lingue e Letteratura Inglese al Magdale College di Oxford – cattedra che ha mantenuto fino al 1954.
L’ambiente di Oxford ammorbidisce la sua posizione filosofica e teologica; nel corso degli anni ’20, Lewis inizia ad ammettere l’esistenza di uno «Spirito» e di un «Assoluto», e scivola dall’ateismo pessimista verso una sorta di “spiritualismo” (in voga ad Oxford in quegli anni).
Man mano che gli anni passano però, questo Assoluto impersonale comincia pian piano «a sembrargli pericolosamente personale» (cfr. Ibidem, p.23).
Un giorno (tra il 1927 e il 1928) racconta che salendo sull’autobus percepisce «chiaramente che il Sovrannaturale gli chiedeva tutto senza dargli la minima garanzia. Accettò il rischio e decise di fare il salto nel buio» (cfr. Ibidem):
[Da allora in poi] avvertivo su di me, ogniqualvolta la mia mente si distraeva anche un attimo dal lavoro, la ferma, inesorabile stretta di Colui che mi rifiutavo ostinatamente di conoscere.
Ciò che avevo più temuto si era alla fine impadronito di me.
Durante il trimestre della Trinità del 1929 mi arresi, ammisi che Dio era Dio e mi inginocchiai per pregare: fui forse, quella sera, il convertito più disperato e riluttante d’Inghilterra.
(CLIVE STAPLES LEWIS, Sorpreso dalla gioia. I primi anni della mia vita, Jaca Book, Milano 1981, p.255)
In realtà, quella che Lewis descrive è la sua conversione al teismo – e non al cristianesimo: in quell’anno infatti egli intuisce la presenza di Dio, ma ancora non riesce a dargli un volto:
Mi stanno accadendo cose terribili.
Lo «Spirito» o «Io, il Reale» sta mostrando una tendenza allarmante a diventare sempre più personale e sta prendendo l’offensiva, e agisce proprio come Dio.
Faresti meglio a venire lunedì al massimo, o potrei essere entrato in un monastero.
(CLIVE STAPLES LEWIS, da una lettera ad Owen Barfield del 3 febbraio 1930, in Ibid., Prima che faccia notte: Racconti e scritti inediti, BUR, Milano 2012, versione Kindle, 58%)
Nel giro di poco tempo “la situazione precipita”… un paio di anni dopo, durante una gita con suo fratello Warren Hamilton allo zoo di Whipsnade, Clive racconta che:
Quando partimmo non credevo che Gesù Cristo fosse Figlio di Dio, ma quando raggiungemmo lo zoo ne ero convinto.
(CLIVE STAPLES LEWIS, Sorpreso dalla gioia. I primi anni della mia vita, Jaca Book, Milano 1981, p.264-265)
L’anno successivo, Lewis scrive queste righe ad Arthur Greeves:
Sono passato da poco dal credere in Dio al credere in maniera definitiva in Cristo, nel cristianesimo.
Cercherò di spiegartelo un’altra volta.
La mia lunga conversazione con Tolkien e Dyson ha avuto una grossa parte in questo.
(CLIVE STAPLES LEWIS, da una lettera ad Arthur Greeves del 2 ottobre 1931, in Ibid., Prima che faccia notte: Racconti e scritti inediti, BUR, Milano 2012, versione Kindle, 58%)
Nello stesso anno, Lewis scrive queste righe in un’altra lettera ad Arthur Greeves, dove spiega quelli che erano stati i suoi dubbî teologici prima di convertirsi:
Quello che mi ha trattenuto (perlomeno durante l’anno passato, all’incirca) non è stata tanto una difficoltà a credere, ma piuttosto a sapere cosa la dottrina volesse significare: non puoi credere a una cosa mentre ignori cosa questa sia.
La mia difficoltà era la Dottrina della Redenzione nella sua interezza, in che modo la vita e morte di Cristo «avessero salvato» o «spalancato la salvezza» per il mondo.
Capivo come una salvezza miracolosa potesse essere necessaria: uno può vedere dall’esperienza di tutti i giorni come il peccato (per esempio nel caso di un alcolizzato) possa portare l’uomo a un punto tale che egli sia destinato a raggiungere l’Inferno (la completa degradazione e miseria) in questa vita, a meno che un qualche aiuto o sforzo non semplicemente naturale prenda l’iniziativa.
E potevo bene immaginare un mondo intero nella stessa condizione, e in maniera simile la necessità di un miracolo.
Quello che non riuscivo a capire era come la vita e la morte di Qualcun Altro (chiunque questi fosse) duemila anni fa potesse aiutare noi adesso – se non nella misura in cui poteva esserci utile il suo esempio.
E la questione dell’esempio, sebbene tanto vera e importante, non è il cristianesimo: proprio al centro del cristianesimo, nei Vangeli e in san Paolo, trovi qualcosa di completamente diverso e misterioso, espresso in quelle frasi di cui io mi sono fatto gioco spesso («propriziazione», «sacrificio», «il sangue dell’Agnello»), espressioni che riuscivo a interpretare solo in modi che mi parevano o sciocchi o scandalosi.
Ora, quello che Dyson e Tolkien mi hanno mostrato era questo: che se io incontro l’idea del sacrificio in un racconto pagano questa non mi crea alcun problema: anzi, che se mi trovo davanti un dio che si sacrifica, ne sono attratto e misteriosamente commosso: ancora, che l’idea del dio che muore e risorge (Balder, Adone, Bacco) mi colpisce così tanto a condizione che io la trovi ovunque tranne che nei Vangeli.
La ragione è che nei racconti pagani io sono stato preparato a percepire il mito nella sua profondità e suggestione di significati oltre ogni mia capacità di comprensione, anche se poi nella freddezza della prosa io non riesco a dire «cosa significhi».
Ora la storia di Cristo è semplicemente un mito vero: un mito che agisce su di noi come gli altri, ma con la tremenda differenza che questo è davvero avvenuto.
[…]
Cioè, le storie pagane sono Dio che esprime Sé stesso attraverso la mente dei poeti, facendo uso delle immagini che vi ha trovato, mentre il cristianesimo è Dio che esprime Sé stesso attraverso quello che chiamiamo «realtà».
(CLIVE STAPLES LEWIS, da una lettera ad Arthur Greeves del 18 ottobre 1931, in Ibid., Prima che faccia notte: Racconti e scritti inediti, BUR, Milano 2012, versione Kindle, 59-60%)
Come è potuto avvenire tutto questo?
Come mai quest’uomo è cambiato in modo così radicale?
- Si è trattato di un bias cognitivo?
- Di una suggestione?
- Di un abbaglio?
- La storiella dell’esistenza di Dio sembrava così consolante, che alla fine ha voluto crederci?
- La religione come oppio dei popoli?
In realtà, da ciò che racconta Lewis, sembra si avvenuto l’esatto opposto:
Allora, ci si può chiedere, come raggiungere o evitare Dio?
L’evitarlo, in diverse epoche e luoghi, si è dimostrato così difficile, che gran parte della razza umana ha fallito in questo tentativo.
Nella nostra epoca e nel nostro Paese, invece, è molto facile.
Evitate il silenzio, la solitudine, ogni tipo di pensiero fuori dall’ordinario.
Concentratevi sui soldi, il sesso, la condizione sociale, la salute e (soprattutto) sulle vostre pene.
Tenete la radio accesa. Vivete tra la folla. Usate molti sedativi.
[…]
Per raggiungerlo, sono una guida molto meno adatta.
E questo è dovuto al fatto che non ho mai provato l’esperienza di cercare Dio.
La realtà era proprio l’opposto: Egli era (o a me sembrava) il cacciatore, ed io il cervo.
Come un pellerossa mi ha teso un agguato, ha puntato con precisione, e sparato.
E sono molto grato che questa sia stata la modalità con cui è avvenuto il nostro primo incontro (consapevole).
Premunisce dai timori che seguono sul fatto che l’intero incontro non sia stato altro che un desiderio soddisfatto.
Non è possibile che sia così, visto che non lo desideravo.
(CLIVE STAPLES LEWIS, Riflessioni cristiane, Gribaudi, Milano 1997, p.226)
4 • Alexis Carrel
Passiamo ad un’altra storia assurda: quella di Alexis Carrel (1873-1944), chirurgo e biologo francese, vincitore del Premio Nobel per la medicina nel 1912.
Anche Alexis – come Lewis – è cresciuto in un ambiente vicino al cristianesimo, dal quale si è poi allontanato…
…anzi, non solo si è allontanato: durante il periodo degli studî universitarî, guardava con disgusto la propria infanzia e il tentativo di indottrinamento che aveva subito (cfr. THEODORE I. MALININ, Surgery and life, the extraordinary career of Alexis Carrel, Harcourt Brace Jovanovich, New York 1979, p.4):
Durante gli studî scientifici, Carrel rimane affascinato dal positivismo e dal razionalismo.
In una pagina autobiografica (in cui parla di sé stesso con lo pseudonimo di Lerrac), descrive il proprio percorso di vita, diametralmente opposto rispetto a quello di un suo amico d’infanzia: entrambi da giovani avevano ricevuto una educazione religiosa, ma Alexis ha rinnegato tutto ciò che gli era stato insegnato:
E Lerrac pensava alla sua propria evoluzione, così diversa. Educati nello stesso collegio, essi avevano ricevuto una identica formazione religiosa. Ma la vita, con la sua dura legge, li aveva gettati su strade opposte.
Lerrac, assorbito dagli studi scientifici, affascinato nello spirito dalla critica tedesca, s’era convinto, a poco a poco, che, al di fuori del metodo positivo, non esisteva certezza alcuna. E le sue idee religiose, distrutte dall’analisi sistematica, l’avevano abbandonato, lasciandogli il ricordo dolcissimo di un sogno delicato e bello.
S’era allora rifugiato in un indulgente scetticismo.
Mentre aveva orrore dei settari, credeva alla bontà di tutte le fedi sincere.
La ricerca delle essenze e delle cause gli sembrava vana, solo lo studio dei fenomeni interessante.
Il razionalismo soddisfaceva interamente il suo spirito; ma nel fondo del suo cuore si celava una segreta sofferenza, la sensazione di soffocare in un cerchio troppo stretto, il bisogno insaziabile di una certezza.
Quante ore d’inquietudine e d’angoscia durante i suoi studi di filosofia e di esegesi! Poi tutto s’era placato.
Ma ora nelle profondità recondite del suo pensiero, sussisteva una speranza vaga, probabilmente incosciente, di afferrare i fatti che dànno la certezza, la pace, l’amore.
Egli disprezzava e amava insieme il fanatismo dei pellegrini e dei preti, dall’intelligenza chiusa, addormentati nella loro fede beata.
«Per sapere assai poche cose – diceva tra sé – io ho distrutto in me cose molto belle».
«La verità è sempre triste e cattiva ed io sono infelice» pensava […].
(ALEXIS CARREL, Viaggio a Lourdes, Morcelliana, Brescia 1949, p. 31-32)
La svolta nella vita di Alexis Carrel avviene pochi mesi dopo il conseguimento della laurea.
Un suo collega medico deve accompagnare un pellegrinaggio di ammalati a Lourdes; però ha un contrattempo, e gli chiede di sostituirlo.
Ciò che è accaduto in quei giorni è così assurdo, che Carrel lo ha raccontato in una sorta di diario – «Viaggio a Lourdes».
Fin dalle prime pagine di questo resoconto, emerge nitidamente l’onestà intellettuale di quest’uomo.
È un medico. È un razionalista. Segue il metodo scientifico…
…e proprio per questo, riflettendo sulle “dicerie” che ruotano intorno ai miracoli di Lourdes, parla di questi «fatti anormali» in modo molto equilibrato:
In presenza di fatti anormali, noi dobbiamo fare osservazioni esatte, senza preoccuparci della ricerca della causa prima, senza darci pensiero, soprattutto, del posto che il fenomeno deve occuparae nel quadro della scienza attuale.
«Bisogna cercar di spezzare i vincoli dei sistemi filosofici e scientifici, come si spezzerebbero le catene di una schiavitù intellettuale» ha detto Claudio Bernard.
Certamente non bisogna mai mettere in dubbio i fatti scientifici veramente dimostrati. Ma al fianco di certi punti luminosi, le leggi naturali sono ancora coperte per noi di tenebre tanto fitte, che sarebbe un volere restringere straordinariamente il nostro campo conoscitivo il limitarlo alle sole leggi conosciute oggi.
Ne esistono indubbiamente molte altre, e il progresso scientifico consiste nel cercare il nuovo, nell’analizzare i fenomeni straordinari, nel determinarne l’individualità, nel vedere in che cosa si differenzino dai fatti già noti, per trovare, così, nuove leggi.
La scienza deve continuamente stare in guardia contro la ciarlataneria e la credulità.
Ma è suo dovere anche non respingere i fatti solo perché sembrano straordinari ed essa è impotente a spiegarli.
Nel mondo medico molti negano i fatti che non hanno avuto l’occasione di poter osservare.
È un errore di giudizio.
(ALEXIS CARREL, Viaggio a Lourdes, Morcelliana, Brescia 1949, p.76-77)
Il miracolo è assurdo, non c’è dubbio.
Ma se è constatato in condizioni abbastanza concrete, perché si abbia la certezza di non essere ingannati, bisognerà pure ammetterlo.
Nessun argomento regge contro la realtà di un fatto.
(ALEXIS CARREL, Viaggio a Lourdes, Morcelliana, Brescia 1949, p.37)
Tra i malati che prendono parte al pellegrinaggio che Carrel deve seguire, c’è una ragazza gravemente malata.
Alexis deve starle dietro con attenzione, perché le sue condizioni sono critiche:
C’è anche una giovinetta, Maria Ferrand, presso la quale mi hanno chiamato forse dieci volte, e che è in pericolo più immediato di vita […]. Questa disgraziata ha una peritonite tubercolare, all’ultimo stadio.
Tutti i suoi parenti sono morti di tubercolosi; la ragazza ha avuto piaghe tubercolose, caverne polmonari e, dopo qualche mese, una peritonite, diagnosticata da un medico e da Bromilloux, il notissimo chirurgo di Bordeaux.
Ora è in uno stato pietoso; ho dovuto già farle delle iniezioni di caffeina. Temo che mi muoia tra le mani.
Se guarisse quest’ammalata, sarebbe veramente un miracolo.
Io crederei a tutto e mi farei frate!
(ALEXIS CARREL, Viaggio a Lourdes, Morcelliana, Brescia 1949, p.39-40)
È all’ultimo limite della cachessia.
Il cuore è impazzito.
Guarda che magrezza, che colorito sul suo viso, sulle sue dita.
Morirà prestissimo.
Può darsi che viva ancora qualche giorno, ma è finita.
(ALEXIS CARREL, Viaggio a Lourdes, Morcelliana, Brescia 1949, p.43)
Penso che sappiate che a Lourdes c’è l’usanza di immergere i malati nelle piscine d’acqua presenti nel santuario.
Le «piscine» ovviamente non sono Jacuzzi con idromassaggio, ma vasche contententi l’acqua di una sorgente, trovata da Bernadette nei pressi della grotta delle apparizioni, il 25 febbraio 1858.
Dopo aver valutato le condizioni critiche di Maria Ferrand, Carrel ha appuntato nel suo diario che «sarebbe imprudente portare un’ammalata simile alle piscine» (cfr. Ibidem, p.44).
Dato che però ormai non c’era più nulla da fare per la ragazza (verosimilmente sarebbe morta di lì a poche ore), Carrel acconsente, e i volontarî aiutano Maria a recarsi alle piscine.
Ecco cosa appunta Alexis sul suo diario:
Prima d’entrare nella piscina, la barella fu, per un istante, posata a terra. La malata sembrava aver perduto la conoscenza. Carrel le prese il polso. Ancora pulsazioni disordinate. Il viso era terreo. Una mosca verde si posò su una narice. La signorina d’O. la cacciò con un fazzoletto.
(ALEXIS CARREL, Viaggio a Lourdes, Morcelliana, Brescia 1949, p.46)
Pochi secondi prima dell’immersione, Alexis Carrel proferisce ingenuamente, “sovrappensiero”, questa preghiera:
«Come vorrei credere, con tutti questi disgraziati, che voi non siete solo un’eletta fonte, creata dai nostri cervelli, o Vergine Maria. Guarite dunque questa giovinetta, ha troppo sofferto. Fate che viva un poco, fate ch’io creda»
(ALEXIS CARREL, Viaggio a Lourdes, Morcelliana, Brescia 1949, p.47)
Secondo voi cosa è successo?
Se siete curiosi, vi consiglio di comprarvi il diario del suo viaggio a Lourdes per scoprirlo…
…vi spoilero solo un paio di passaggi:
Non c’era più dubbio.
Lo stato di Maria Ferrand migliorava.
Ella era già irriconoscibile.
Profondamente turbato, incapace di riflettere, Lerrac senza lasciare il suo posto, avvertì M. e la signorina d’O. di quanto stava accadendo.
[…] Lerrac non parlava più; non pensava più.
Il fatto inatteso era talmente contrario a tutte le sue previsioni, che egli credeva di sognare!
La signorina d’O. porse una tazza colma di latte a Maria Ferrand, che la bevve d’un fiato.
Poi, dopo qualche momento, la malata sollevò la testa, si guardò attorno, si agitò un poco, e si coricò sul fianco, senza dare il minimo segno di dolore.
Lerrac si alzò, traversò le file serrate dei pellegrini, i quali gridavano invocazioni ch’egli a stento sentiva, e se ne andò.
Erano circa le quattro.
Quel ch’era accaduto era la cosa impossibile, la cosa inattesa, il miracolo!
Una giovane morente era quasi guarita.
(ALEXIS CARREL, Viaggio a Lourdes, Morcelliana, Brescia 1949, p.53-54)
Prima di esaminare il ventre di Maria Ferrand e di risolvere questo problema, Lerrac ebbe un istante di angoscia e di esitazione.
Con un fremito di desiderio e insieme di timore, tolse la coltre e guardò.
La pelle apparve bianca e liscia.
Al di sopra delle anche strette, Lerrac vide il ventre piccolo, depresso, come è proprio duna ragazza di vent’anni, molto magra.
Allora posò le mani sulla parete dell’addome: essa si rivelò morbida e trattabile, estremamente sottile.
Le dita curiose si muovevano, senza provocarne il minimo dolore, premendo in tutti i sensi ventre, fianchi e bacino, cercando la tumefazione e le masse dure, che erano sparite come una cosa sognata.
Tutto era ridiventato normale.
Soltanto le gambe restavano gonfie.
La guarigione era completa.
La moribonda, dal viso già cianotico, dal ventre teso, dal cuore fiaccato, s’era trasformata in poche ore in una ragazza quasi normale, molto magra, soltanto, e debole.
Lerrac si sentì scorrer sulla fronte gocce di sudore.
(ALEXIS CARREL, Viaggio a Lourdes, Morcelliana, Brescia 1949, p.57)
5 • André Frossard
Vi racconto un’ultima storia.
La più assurda di tutte.
André Frossard (1915-1995) era un giornalista e saggista francese.
La nonna era ebrea, la madre protestante…
…il papà invece non era neanche battezzato: si dà il caso, infatti, che suo padre fosse Ludovic-Oscar Frossard, il leader socialista francese che nel 1920 ha fondato il Partito Comunista Francese, di cui è stato il primo segretario generale.
Inutile a dirsi, André era ateo:
Eravamo degli atei perfetti, di quelli che non si pongono più interrogativi sul loro ateismo.
Gli ultimi militanti antilericali che si scagliavano ancora contro la religione nelle riunioni pubbliche ci parevano patetici ed un po’ ridicoli, quali lo sarebbero degli storici che s’impegnassero a confutare la favola di Cappuccetto rosso.
Il loro zelo non faceva altro che prolungare inutilmente un dibattito chiuso ormai da lungo tempo dalla ragione.
L’ateo perfetto non era infatti ormai più colui che negava l’esistenza di Dio, ma colui per il quale non si poneva neppur più il problema dell’esistenza di Dio.
(ANDRÉ FROSSARD, Dio esiste, io l’ho incontrato, Società editrice internazionale, Torino 1970, p.30)
C’è bisogno di dire che non ero battezzato?
In conformità a quanto si usava negli ambienti evoluti, i genitori avevano deciso di comune accordo che avrei scelto da solo, a vent’anni, la mia religione, qualora – contro ogni ragionevole aspettativa – avessi creduto bene di osservarne una.
(ANDRÉ FROSSARD, Dio esiste, io l’ho incontrato, Società editrice internazionale, Torino 1970, p.39)
Respingevamo tutto ciò che veniva dal cattolicesimo, con una eccezione particolarmente evidente per la persona – umana – di Gesù Cristo, verso il quale i vecchi del partito nutrivano (assai grettamente, in verità) una sorta di sentimento d’origine morale e di destinazione poetica.
Noi non eravamo dei suoi, ma lui avrebbe potuto essere i nostri per il suo amore per i poveri, la severità riguardo ai potenti, e soprattutto per il fatto che era stato la vittima dei sacerdoti, almeno di quelli che ricoprivano le cariche più alte della gerarchia, il torturato dal potere e dal suo apparato repressivo.
[…]
Secondo l’opinione generale, il Vangelo sbarazzato dalle sue sovrastrutture mistiche poteva passare per una introduzione discretamente accettabile al socialismo.
(ANDRÉ FROSSARD, Dio esiste, io l’ho incontrato, Società editrice internazionale, Torino 1970, p.90-91)
Comunque.
La cosa che più mi ha sorpreso, leggendo l’autobiografia della conversione di Frossard… è che la persona più meravigliata da ciò che è successo è proprio lui.
Gli è accaduto l’inconcepibile.
Si è imbattuto nell’Inaspettato.
Ha incontrato l’Inatteso.
Dal modo in cui racconta gli eventi, sembra quasi che stia cercando di immedesimarsi nei suoi amici non credenti (e laicisti), i quali avrebbero potuto pensare che il loro amico fosse in preda ad una allucinazione o a qualche problema psichico.
Per più di metà libro, Frossard non fa che mettere le mani avanti, per spiegare che – no – non è impazzito.
Era assolutamente lucido quando gli è accaduto ciò che gli è accaduto:
Non mi nascondo ciò che una conversione come questa, per la sua caratteristica di subitaneità improvvisa, può avere di stridente, d’inammissibile addirittura, per gli spiriti contemporanei che preferiscono le vie del raziocinio ai mistici colpi di fulmine, e che apprezzano sempre meno gli interventi del divino nella vita quotidiana.
[…]
Questo libro non narra com’io sia venuto al cattolicesimo, ma come, anzi, proprio non vi andassi allorché mi sono ritrovato a casa sua.
Non dunque le fasi di una evoluzione intellettuale, ma il resoconto d’un avvenimento fortuito, qualcosa come il verbale di un incidente.
[…]
Non ho avuto parte alcuna nella mia conversione.
(ANDRÉ FROSSARD, Dio esiste, io l’ho incontrato, Società editrice internazionale, Torino 1970, p.13-14)
È l’otto luglio.
Una magnifica estate.
Davanti a me, rettilinea, la rue d’Ulm spalanca la sua trincea soleggiata fino al Panthéon […].
I miei pensieri? Non me ne ricordo. Indeterminati come al solito […].
Il mio stato interiore? Perfetto, per quanto può dire la coscienza: cioè, senza alcuno di quei turbamenti che si vuole predispongano al misticismo.
Nessuna preoccupazione amorosa.
[…]
E nessuna angoscia metafisica. Le ultime mi sono venute verso i quindici anni […].
Ad ogni modo, se credessi all’esistenza d’una verità, i preti sarebbero gli ultimi ai quali andrei a chiederla, e la Chiesa, che conosco solo per via di qualcuna delle sue malefatte temporali, l’ultimo dei posti in cui andrei a cercarla.
[…]
Non provo infine alcuna curiosità per le cose della religione, che sono di un’altra epoca.
Sono le diciassette e dieci.
Tra due minuti, sarò cristiano.
(ANDRÉ FROSSARD, Dio esiste, io l’ho incontrato, Società editrice internazionale, Torino 1970, p.136-138)
È l’8 luglio 1935.
Il giornalista, passeggiando a Parigi con un amico, si ritrova per caso a via d’Ulm; i due passano accanto ad una cappella, al cui interno le suore dell’«Adorazione riparatrice» (*) stavano facendo l’adorazione eucaristica.
(*) (un ordine di suore di clausura)
Senza preavviso, il suo amico decide di entrare nella cappellina.
Frossard rimane all’esterno.
Dopo un po’ però, non vedendo l’amico tornare, si affaccia anche lui all’interno, e…
Il fondo della cappella è illuminato di vivida luce.
Sopra l’altare maggiore con la tovaglia bianca, un ampio apparato di piante, candelabri ed ornamentazioni è dominato da una grande croce di metallo lavorato che porta in centro un disco d’un bianco smorto.
[…]
Sono già entrato in altre chiese, per amore dell’arte, ma non ho mai visto ostensorî abitati e neppure, credo, un’ostia, ed ignoro di trovarmi di fronte al Santissimo Sacramento, verso il quale salgono due file di candele accese.
[…]
Il significato di tutto quell’apparato mi sfugge completamente, e con tanta maggior facilità perché non mi preoccupo affatto di afferrarlo.
In piedi accanto alla porta, cerco con gli occhi il mio amico, ma non riesco a riconoscerlo tra le forme inginocchiate che mi stanno davanti.
Il mio sguardo passa dall’ombra alla luce, ritorna sui fedeli senza portarsi dietro alcun pensiero, va dai fedeli alle religiose immobili, dalle religiose all’altare […].
[…]
E allora, d’improvviso, si scatena la serie di prodigi la cui inesorabile violenza smantellerà in un istante l’essere assurdo che sono per far nascere il ragazzo stupefatto che non sono mai stato.
(ANDRÉ FROSSARD, Dio esiste, io l’ho incontrato, Società editrice internazionale, Torino 1970, p.141-142)
Nel capitolo successivo del libro, l’ateo Frossard racconta cosa è accaduto in quella cappella.
Io però sono infame, e non vi dirò nulla.
Se siete curiosi, compratevi il libro (è molto breve) e scoprite da soli cosa è accaduto.
L’unica cosa che vi spoilero è uno stralcio, tratto da un intervista che Frossard rilasciò a Vittorio Messori, quarant’anni dopo quegli avvenimenti:
Sono entrato in quella cappella per caso, senza angosce metafisiche, inquietudini, problemi personali, dispiaceri amorosi: non ero che un tranquillo ateo, marxista, un giovane spensierato e un po’ superficiale che per quella sera aveva in programma un incontro galante.
Ne uscivo dieci minuti dopo, tanto sorpreso di trovarmi all’improvviso cattolico quanto lo sarei stato nello scoprirmi giraffa o zebra all’uscita dallo zoo.
Proprio perché sapevo che non sarei stato creduto, ho taciuto per più di trent’anni […].
(ANDRÉ FROSSARD, intervistato in VITTORIO MESSORI, Inchiesta sul cristianesimo: sei tu il Messia che deve venire?, Società editrice internazionale, Torino 1987, p. 142)
Conclusione
Ovviamente, il fatto che qualcuno si sia convertito non lo rende «speciale».
Né tanto meno lo rende «più santo».
Come ricordava don Fabio Rosini, c’è “conversione” e conversione:
C’è gente che in nome della fede ritrovata mena gli altri, e, con quattro spiccioli di convinzioni religiose assimilate uscendo da un vizio, prende un atteggiamento terribile: pretende che tutti la pensino come lui.
La furia dei convertiti che assolutizzano il loro processo di conversione.
Dio ci salvi.
(FABIO ROSINI, L’arte di guarire: l’emorroissa e il sentiero della vita sana, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2020, versione Kindle, 84%)
Però, non so.
Se nei seminarî e nelle parrocchie perdessimo un po’ di tempo ad approfondire storie come quelle di Manzoni, Frossard, Lewis, Chesterton, Carrel, Hadjadj… forse ci sarebbero più persone desiderose di fare questo Incontro.
Altrimenti, c’è il serio rischio che i cristiani continuino a scimmiottare – magari per tutta la vita – qualcosa che non hanno mai visto né sperimentato:
Colui che non ha mai visto il sole con i suoi occhi, non può immaginare la luce nel suo pensiero, o raffigurarselo in qualche modo nella sua anima, o sperimentare la bellezza dei suoi raggi, per il solo averne sentito parlare; allo stesso modo, colui che non ha sperimentato nella propria anima il gusto della pratica spirituale, e con le sue condotte non ha provato i suoi misteri, per ricevere nel suo pensiero un’immagine che assomigli alla verità, non può trovare nella sua anima una convinzione vera, né giungere a comprendere esattamente questa materia dall’insegnamento di un uomo e dall’investigazione degli scritti.
(ISACCO DI NINIVE Prima collezione 4: tr. it. in Id., Un’umile speranza, Magnano 1999, 52-3)
sale
(Estate 2023)
- CLIVE STAPLES LEWIS, Sorpreso dalla gioia : i primi anni della mia vita, Jaca Book, Milano 2015
- CLIVE STAPLES LEWIS, Prima che faccia notte: Racconti e scritti inediti, BUR, Milano 2012
- CLIVE STAPLES LEWIS, Riflessioni cristiane, Gribaudi, Milano 1997
- ALEXIS CARREL, Viaggio a Lourdes : frammenti di diario, meditazioni, Morcelliana, Brescia 1949
- ANDRÉ FROSSARD, Dio esiste io l'ho incontrato, SEI, Torino 1973
- VITTORIO MESSORI, Inchiesta sul cristianesimo: Sei tu il Messia che deve venire?, SEI, Torino 1987