A che serve un padre spirituale?

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1 • Gli «autodidatti»

La cultura in cui siamo immersi ha un debole per gli autodidatti.

Per chi «si è fatto da sé».

È una cultura che, vuoi o non vuoi, spinge le persone ad essere auto-centrate.

Anzi, è una cultura che spinge le persone a trasformarsi in individui (per la differenza tra «persone» ed «individui», vi rimando a quanto avevo detto qui).

È la cultura dell’«è meglio sbagliare con la propria testa che con quella degli altri» portato alle estreme conseguenze.

autonomia autodidatti

Da che mondo è mondo, però, gli autodidatti hanno un problema:

  • quando imparano qualcosa di nuovo (se sono particolarmente brillanti o talentuosi) all’inizio possono anche essere più rapidi degli altri;
  • però poi, cammin facendo, tendono a rallentare molto, fino a bloccarsi; questo è dovuto alla mancanza di confronto con qualcuno di più capace; la mancanza di confronto – soprattutto quando si muovono i primi passi – porta con sé una serie di difetti di impostazione che poi rimangono per tutta la vita.

Spesso per sistemare questi difetti (o peggio, per nasconderli), gli autodidatti escogitano una serie di “soluzioni” molto creative…

…ma come ricordava don Fabio Rosini:

Ecco una cosa che in forza della mia esperienza ho detto mille volte e mille volte ripeterò: io non ho paura dei problemi della gente, io ho paura delle soluzioni della gente.
Come risolvi i problemi spesso è peggio di quello che hai da risolvere.

(FABIO ROSINI, L’arte di guarire: l’emorroissa e il sentiero della vita sana, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2020, versione Kindle, 28%)

D’altronde, come diceva Bernardo di Chiaravalle (1090-1153), monaco e teologo francese dell’ordine cistercense:

Chi si fa maestro di sé stesso,
si fa discepolo di uno stolto.

(Orig: «Qui se sibi magistrum constituit,
stulto se discipulum facit»
)

(BERNARDO DI CHIARAVALLE, citato in FABIO ROSINI, L’arte di ricominciare, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2018, p.34)

2 • Seguire le orme di qualcuno

Mio cugino Luigi suona il pianoforte fin da quando era piccolo.

Per diventare il pianista che è oggi, però, si è dovuto iscrivere al conservatorio, e ha dovuto seguire per dieci anni tutti i suggerimenti e le correzioni dei suoi insegnanti.

Il mio amico Andrea disegna da quando era piccolo.

Però, quando ha deciso che avrebbe voluto fare del disegno il suo lavoro, ha iniziato a seguire le indicazioni di maestri, che l’hanno aiutato a usare sempre meglio matite, chine, copic marker e via dicendo.

A ben vedere anch’io da quando ero piccolo ho praticato più di uno sport (nuoto, basket, judo, etc.)…

insegnante maestro istruttore guida

Insomma, ogni disciplina ha il suo insegnante/maestro/istruttore.

In ogni ambito della vita, se si vuole diventare grandi, bisogna avere l’umiltà di seguire le orme di qualcuno.

E se una persona vuole cercare Dio?

Se vuole scoprire se e come Dio le parla nella vita di tutti i giorni?

Se vuole scoprire qual è la sua vocazione?

Esiste qualcuno a cui potersi rivolgere?

Qualcuno di cui valga la pena ascoltare i consigli?

Qualcuno da cui accettare una correzione?

Sì, esiste: si chiama padre spirituale.

3 • Il padre spirituale

Alloooora…

Dato che questa parola è circondata da mille pregiudizi, idee fuorvianti e bias cognitivi, partirei con la pars destruens: un padre spirituale…

  • non è un guru;
  • non è un insegnante;
  • non è una persona che fa le scelte al posto tuo nella tua vita;
  • non è uno che fa violenza alla tua coscienza;
  • non è qualcuno che sa qual è la volontà di Dio su di te;
  • non è un catechista;
  • non è la sibilla cumana.
padre spirituale

Umorismo tragicomico a parte: dovete sapere che io, tra i 19 e i 25 anni, ho avuto due differenti esperienze di direzione spirituale…

…entrambe abbastanza mediocri.

…entrambe mi hanno lasciato un po’ scottato.

Dopo che ho abbandonato il secondo padre spirituale, mi sono detto: «Ma sai che c’è? Se questi sono i (merdosissimi) frutti della direzione spirituale, a ‘sto punto faccio per conto mio: niente più padri spirituali!».

E infatti per cinque anni ho smesso di fare direzione spirituale.

Mi dicevo, infatti:

  • «Dato che la vita spirituale (cioè la ricerca di un rapporto con Dio, della mia vocazione, etc.) è una cosa molto intima, molto meglio essere responsabile di queste scelte in prima persona, anziché dipendere dal giudizio di qualcun ALTRO
  • «Meglio seguire “quello che sento io”, anziché dipendere dal giudizio di un’ALTRA persona, che mi conosce “dall’esterno”

Lì per lì questi ragionamenti non facevano una piega…

…oggi però avrei qualcosa da ridire.

Le decisioni prese dopo un monologo tra sé e sé infatti hanno un piccolo problema: anche quando sembrano molto “autentiche” e “spirituali”, il rischio di auto-ingannarsi è dietro l’angolo.

In realtà avevo ancora bisogno di un padre spirituale (certo, non di uno simile ai due terroristi che avevo già avuto; ma comunque uno me ne occorreva)…

…ma non mi sono reso conto di questa cosa fin quando non ne ho trovato uno all’altezza di questo compito.

E quali caratteristiche dovrebbe avere un padre spirituale «all’altezza del compito»?

Innanzitutto non è detto che debba essere un prete.

Si può scegliere anche un laico (uomo o donna).

La caratteristica fondamentale del padre spirituale è una sola: deve essere qualcuno che conosca per esperienza diretta la vita nello Spirito, e che sia capace di trasmetterla.

Qualcuno che sia stato testimone dell’agire di Dio.

E proprio perché ha fatto questa esperienza, può aiutarti facendo memoria di ciò che ha visto e vissuto.

Il padre spirituale ha un ruolo maieutico: deve aiutarti a «partorire la vita divina».

Come scriveva André Louf (1929-2010), monaco trappista belga:

La presenza [del padre spirituale] deve permettere al seme della vita divina di evolversi il più possibile senza inciampi, di evitare determinati rischi, di far sì che il soggetto poco per volta faccia suo il disegno misericordioso di Dio su di sé. L’accompagnatore “ausculta” questa vita divina cercando di eliminare tutti gli ostacoli che continuano a frapporvisi, di mettere a nudo tutte le ferite del soggetto che la vita divina dapprima irrita e talora esaspera, per poi guarirle.

(ANDRÈ LOUF, Discernimento: scegliere la vita, Qjqajon, Magnano (BI) 2017, p.94)

Il padre spirituale non “procura” una vocazione; piuttosto, deve aiutare a far emergere qualcosa che c’è già.

È un compito molto più “passivo” che “attivo”:

Gesù ha chiesto di non farsi chiamare padre: questa ingiunzione corrisponde a una delle condizioni essenziali per un accompagnamento spirituale fruttuoso. Nessuno si arroga da sé una paternità, non ci si può erigere a guida di un discepolo, è invece il discepolo che discerne il proprio padre, a volte dopo averlo cercato a lungo. In un certo senso possiamo addirittura dire che spetta al figlio far sbocciare una paternità, spetta al discepolo consentire al maestro di rivelarsi.

(ANDRÉ LOUF, Sotto la guida dello spirito, Qiqajon, Magnano (BI) 2005, p. 98)

4 • Cosa dire al padre spirituale?

Bene.

Facciamo finta di aver trovato una persona che corrisponda alla descrizione che ho provato ad abbozzare nel paragrafetto precedente.

Maaa… cosa bisogna dire al padre spirituale?

Alla propria guida spirituale non si manifestano innanzitutto i peccati effettivamente commessi, ma piuttosto ciò che gli anziani chiamavano i loghismoí, i pensieri.
La traduzione è ambigua.
Non si tratta tanto di quello che pensiamo, ma piuttosto di quello che sentiamo, di ciò verso cui tendiamo: sentimenti, desideri, inclinazioni che si fanno strada, incontrollati, nel cuore e nella mente, anche se non sfociano – se non raramente – in peccati veri e propri.
[…]
Si tratta unicamente di mettere in luce, di scoprirsi di fronte al proprio interlocutore.
Chi apre così il proprio cuore non chiede un’assoluzione e nemmeno un incoraggiamento o una parola rassicurante, anche se così potrebbe sembrare. Chiede innanzitutto di essere accettato: poter esprimere a un altro desideri e sentimenti, così a lungo repressi e rimossi, costituisce per lui un evento straordinario che, già di per sé, rappresenta un enorme sollievo. Non è più solo con loro, gli è possibile confidarli a un altro che li accoglierà tranquillamente e con amore.

(ANDRÉ LOUF, Sotto la guida dello spirito, Qiqajon, Magnano (BI) 2005, p.106)

Prosegue André Louf:

I primi momenti del colloquio spirituale, quando i sentimenti più difficili vengono finalmente in superficie, sono sempre i più importanti. La qualità e l’autenticità dell’amore dell’accompagnatore (e possiamo ben dire del padre spirituale) sono qui messe alla prova. Troppe guide spirituali commettono un grave errore: quello di parlare troppo presto, sia per biasimare che per rassicurare.
[…]
Non si tratta assolutamente di approvare o di condannare le inclinazioni e i desideri che si affacciano; si tratta semplicemente di accettare una persona per come si presenta, magari anche afflitta da sentimenti che riesce a esprimere solo con difficoltà.
Ha il diritto di essere quello che è, come si sente e come si mostra: con i suoi desideri. Che questi siano buoni o cattivi non deve entrare in linea di conto, per il momento, neanche se sono espressi con un linguaggio molto confuso.

(ANDRÉ LOUF, Sotto la guida dello spirito, Qiqajon, Magnano (BI) 2005, p. 106)

Accettare.

Accogliere.

Custodire.

padre spirituale custodire

Se c’è qualcosa che non va nella mia vita (si tratti di una ferita, di un peccato, di un comportamento disordinato, di un vizio) di certo non verrà guarito da un giudizio.

Né tanto meno da un rimprovero.

Al contrario, l’unico antidoto è uno sguardo buono.

Benevolente.

Empatico.

Non a caso, Paolo di Tarso scriveva ai Romani che:

La bontà di Dio ti spinge alla conversione (orig: τὸ χρηστὸν τοῦ Θεοῦ εἰς μετάνοιάν σε ἄγει).
(Rm 2,4)

La bontà; in greco τὸ χρηστὸν (to chrestòn), la sua mitezza, il suo affetto, la sua pazienza.

Non la collera, i rimproveri, le incazzature… la sua BONTÀ spinge alla conversione!

Se il padre spirituale ha questo sguardo buono, allora si può “abbassare la guardia”…

…si può accettare un consiglio, un richiamo, una correzione…

…si può mettere mano alle proprie ferite:

I padri del deserto chiamavano l’apertura di coscienza a un uomo spirituale έξαγόρευσις (exagóreusis), che è un sostantivo composto dal verbo έξάγω (exagô, condurre fuori) e dal termine ῥεῦσις (reusis, transitorietà, mutevolezza). Conducendolo fuori dalle pieghe buie del nostro cuore, portandolo alla luce mediante la parola, vedendolo davanti ai propri occhi, il dolore si presta a essere trasmutato e a diventare una sorgente interna che zampilla continuamente sapienza.

(GABRIELE VECCHIONE, Sapienza collaterale : non sprecare il tuo dolore, Tau Editrice, Todi (PG) 2020, p.50)

Non a caso, nel suo Machbeth, William Shakespeare (1564-1616) scriveva queste righe:

Date parole al dolore: il dolore che non parla, bisbiglia al cuore sovraccarico e gli ordina di spezzarsi.

(WILLIAM SHAKESPEARE, Macbeth, Atto IV scena III, Feltrinelli, Milano 2004, p. 161)

5 • Padre spirituale o «padrone» spirituale?

Un padre spirituale deve educare alla libertà.

E infatti, uno dei campanelli d’allarme più intensi che ho avvertito nelle mie prime due (infelici) esperienze di direzione spirituale era proprio questo: non mi sentivo di fare discernimento in libertà.

Sentivo che c’erano delle forzature.

Delle stonature.

Avevo la sensazione che mi venisse indicata (spesso in modo non verbale, quindi il modo peggiore possibile per una persona scrupolosa) una strada che non sentivo mia:

direttore spirituale

Don Fabio Rosini, descrivendo questo problema, non ci ha girato troppo intorno:

Dio ci guardi dal mettere le nostre manacce su quelle anime che vanno invece aiutate a crescere, a trovare la loro struttura endogena. Bisogna restare un passo indietro. Bisogna esercitare una castità paterna, a rischio di essere deludenti, meglio, piuttosto che diventare indispensabili. Quanti preti ho visto prendere quella strada, con una ebbrezza da centro di gravità permanente, non avrai altro prete all’infuori di me.

(FABIO ROSINI, Solo l’amore crea : le opere di misericordia spirituale, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2016, versione Kindle, 23%)

Ripeto: un padre spirituale deve educare alla libertà.

Cioè deve educare a vivere da «figli nel Figlio».

Ne consegue che un padre spirituale sa quando farsi da parte:

Un vero padre spirituale gioisce che finisca il suo servizio. Dopo aver portato la persona all’arte del discernimento, dopo aver creato questo appuntamento tra l’uomo e Dio, il suo compito viene meno. Quando la persona riesce a vedersi con l’amore di Dio, il padre spirituale può ritirarsi. Egli accompagna l’uomo alla soglia del Padre.

(MARKO IVAN RUPNIK, Nel fuoco del roveto ardente : iniziazione alla vita spirituale, Lipa, Roma 1996, p.90)

Un padre spirituale è casto (non nel senso che «non scopa», ma nel senso che provavo a spiegare qui), umile, mansueto, povero in spirito (cfr. Mt 5,3):

Un padre spirituale, oggi, non esige che si faccia come egli dice, ma che si ascolti e che, nella preghiera, si consideri ciò che ha detto e si arrivi ad una decisione, che può essere completamente opposta al suo consiglio.
Il suo compito infatti è quello di proporre all’altro un pensiero spirituale che l’altro deve considerare e, in questo processo avviene la maturazione della sua mentalità. Ma guai se con abilità sostituisce il suo pensiero a quello altrui. Solo la strada del discernimento e un rapporto veramente spirituale possono evitare questo rischio.

(MARKO IVAN RUPNIK, Nel fuoco del roveto ardente : iniziazione alla vita spirituale, Lipa, Roma 1996, p.104)

Un padre spirituale non è un «padrone» spirituale… piuttosto è un servo:

[Il padre spirituale] non tenterà mai di chiamare il discepolo alla propria sequela, perché noi tutti siamo discepoli di Cristo: è lui l’unico Maestro. Neppure lo accompagnerà standogli a fianco, perché egli è solo un uomo, e non un angelo. Lo segue, piuttosto, umilmente, come un servo, per essere di aiuto, se occorre, a colui che, come lui spinto dallo Spirito, segue le orme di Cristo.

(GABRIEL BUNGE, Akedia : il male oscuro, Edizioni Qiqajon, Magnano (BI) 2012, p.103)

Conclusione

Arrivati a questo punto, qualcuno potrebbe dire: «Senti, Sale, beato te che hai trovato una persona simile! Ma io non trovo nessuno che corrisponda a questo identikit!».

Ecco.

Questo è il problema: non devi «trovare» un padre spirituale.

Devi «chiederlo» a Dio nella preghiera.

Non è una cosa che “ti cerchi tu” facendo zapping sui social o tra le parrocchie.

È un dono che ti fa Dio.

Glielo devi chiedere.

sale

(Primavera 2022)

Fonti/approfondimenti

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