Premessa • Un approccio critico agli studi “scientifici” sull’omosessualità
Nel 2022 mi è capitato tra le mani un libro molto interessante.
Il titolo è un po’ lungo: «Omosessualità tra “scelta” e sofferenza. Conoscere per capire, capire per andare oltre».
È stato scritto da Antonio Maria Persico (classe ’62), un medico specializzato in psichiatria – nonché psicoterapeuta – con un curriculum di tutto rispetto, che potete facilmente reperire online.
La quarta di copertina di questo libro è divisa in due parti…
…nella prima parte c’è un elenco di domande:
È una malattia o soltanto una diversa conformazione psicofisica?
È un’abnormalità o una semplice variante?
È un vizio di perversione oppure una diversità utile socialmente?
È un’alienazione o solamente un modo di essere?
È uno scompenso psichico fonte di disagio o invece si tratta di una condizione ben compensata psicologicamente e socialmente, equilibrata e gioiosa?
E inoltre: è un male morale o una innocente disposizione innata?
È una colpa o un atto assolutamente lecito compiuto da persone che liberamente vivono ed agiscono le proprie pulsioni senza danneggiare alcuno, senza opporsi né ad una legge morale né a Dio?
È un’abitudine viziosa acquisita oppure è il frutto di un destino predeterminato e pre-esistente qualsiasi pratica più o meno abituale?
È frutto di un’educazione sbagliata oppure si tratta di una predisposizione geneticamente determinata?
(FRANCO POTERZIO, dalla prefazione ad ANTONIO MARIA PERSICO, Omosessualità tra scelta e sofferenza : conoscere per capire, capire per andare oltre, Alpes, Roma 2007, p.V-VI; le stesse parole sono riportate sulla quarta di copertina del libro)

Dopo le domande, la quarta di copertina procede in modo più discorsivo, presentando alcuni dei temi che vengono esplorati all’interno del testo:
L’orientamento omosessuale dell’essere umano si trova oggi al centro di svariati dibattiti, anche a livello politico.
L’attuale esasperazione del tema si deve precisamente al criterio sociopolitico con cui viene affrontato.
L’emarginazione e la “ghettizzazione” dei soggetti con tendenze omofiliche sarebbe imputabile ad una società omofoba e repressiva che unisce ad atavici preconcetti elementi di tipo religioso e persino psicopatologico procurando con ciò l’unica sofferenza di questa minoranza altrimenti destinata a vita felice.
Le polemiche si inaspriscono ad opera di toni violenti, di stereotipi, di luoghi comuni e di frasi fatte, che non giovano a far luce sull’argomento.
[…]
A tutto ciò si aggiunge un certo dibattito sul piano scientifico o supposto tale inficiato purtroppo, nella maggior parte delle ricerche, da premesse fondate su posizioni decisamente a-prioristiche.
(FRANCO POTERZIO, dalla prefazione ad ANTONIO MARIA PERSICO, Omosessualità tra scelta e sofferenza : conoscere per capire, capire per andare oltre, Alpes, Roma 2007, p.V-VI; le stesse parole sono riportate sulla quarta di copertina del libro)
Che significa l’ultima frase?
Tutti noi, quando ci confrontiamo con qualcuno – a prescindere da quale sia l’argomento di discussione – sappiamo che una delle frasi più “vincenti” da un punto di vista dialettico è «la scienza dice che…» (ne parlavo nella pagina del blog dal titolo «Che significa “dimostrare” qualcosa da un punto di vista scientifico?).
Se uno dei due interlocutori riesce a presentare «dati scientifici» che tirino acqua al suo mulino, la questione è chiusa.
Questo discorso, neanche a dirlo, si applica anche alle questioni relative all’omosessualità.
Se si fa una rapida ricerca su Google, è possibile trovare articoli online in cui vengono citate pubblicazioni scientifiche che “dimostrano” tesi vicine al mondo LGBT-friendly… ad esempio:
- che i figli adottati da coppie omosessuali non mostrano differenze nello sviluppo psicologico rispetto a quelli cresciuti da coppie eterosessuali;
- che l’orientamento sessuale dei genitori non influenza l’identità di genere o il ruolo di genere dei figli;
- che le famiglie omogenitoriali offrono lo stesso livello di stabilità relazionale delle famiglie eterosessuali;
- che non esiste un legame tra omosessualità dei genitori e un aumento della probabilità di orientamento omosessuale nei figli.
Se esistono studî di questo tipo, perché ancora discutiamo su questi temi?
Beh.
Perché come dice l’ultima frase della citazione che ho riportato qui sopra, spesso molte di queste ricerche cosiddette “scientifiche” hanno dei bias di fondo:
- alcune si basano su campioni non rappresentativi – come gruppi troppo piccoli o non casuali – che limitano la generalizzabilità dei risultati;
- altre sono finanziate da organizzazioni con interessi specifici – col rischio che i risultati possono essere, intenzionalmente o meno, orientati a favore di una certa agenda (vedi ciò che dicevo a proposito dell’ideologia gender);
- altri studi mancano di rigore metodologico, come l’assenza di gruppi di controllo o l’uso di questionari auto-segnalati, che possono distorcere i risultati;
- etc.
Se poi a tutto questo aggiungiamo i media – che spesso amplificano o iper-semplificano tante questioni – si viene a creare una vera e propria percezione distorta del consenso scientifico.
Bene.
Fatta questa premessa… di cosa parla il libro di Antonio Maria Persico?
Il testo riflette su alcune domande che spesso le persone si pongono a proposito dell’omosessualità:
- L’omosessualità è normale?
- Gay si nasce… o lo si diventa a causa di condizionamenti culturali?
- Gli omosessuali sono “gay”, cioè felici e spensierati?
- Per quale motivo le persone omosessuali soffrono?
- etc.
Nel trattare ciascun argomento, l’autore del libro segue un ragionamento molto lineare – attingendo a studi, ricerche, dati statistici, pubblicazioni accademiche, etc.
Dall’alto del mio nulla, credo che il libro sia un testo valido, con una solida letteratura scientifica alla base.
Senza starvi ad ammorbare, nelle prossime righe vorrei soffermarmi solo su uno spunto proposto dal libro (*).
(*) (Se potete però, comprate il libro e leggetevelo per intero! Purtroppo, cercandolo online, ho scoperto che è fuori commercio! Scrivete all’editore in massa e fatelo ristampare!)
Se chiedessimo alle prime dieci, venti, trenta, cento persone che conosciamo «Secondo te, qual è il motivo per cui le persone omosessuali soffrono?» probabilmente riceveremmo risposte di questo tipo:
- le discriminazioni
- lo stigma sociale
- il bullismo
- la mancanza di accettazione familiare
- gli stereotipi negativi dei media
- la paura del rifiuto da parte della comunità
- etc.
In una parola: l’omofobia.
Come scrive Persico nel proprio testo:
È sicuramente vero, ed è ben dimostrato, che l’omofobia ha rappresentato e rappresenta ancora oggi una causa di sofferenza importante tra gli omosessuali in tutte le società.
[…]
E se sono i casi estremi quelli che vengono riportati dai mass media (vedi ad esempio la notizia, riportata da Marco Gasparetti in prima pagina sul Corriere della Sera del 2 Settembre 2006, di una donna violentata perché omosessuale), sono invece le mezze frasi dei familiari, i sorrisetti degli amici, le battutine dei colleghi che quasi giornalmente picconano l’autostima di queste persone e le inducono a pensare che forse sarebbe meglio un giorno o l’altro farla finita con la propria vita.
(ANTONIO MARIA PERSICO, Omosessualità tra scelta e sofferenza : conoscere per capire, capire per andare oltre, Alpes, Roma 2007, p.13-14)
L’autore del libro però non si ferma a quest’unica risposta… anzi, pone una domanda molto più interessante:
È vero che tutta la sofferenza dell’omosessuale è indotta dalla società […]? Si può pensare che in una società assolutamente priva di omofobia gli omosessuali vivrebbero sereni e che il loro malessere interiore sparirebbe?
(ANTONIO MARIA PERSICO, Omosessualità tra scelta e sofferenza : conoscere per capire, capire per andare oltre, Alpes, Roma 2007, p.13-14)
Nonostante la propaganda martellante – tra influencer, tiktoker e streamer varî – la risposta a questa domanda è «no».
La causa della sofferenza delle persone con tendenze omosessuali (e di tutto il mondo LGBT) non è solo l’omofobia.
Come scrive lo psichiatra e psicoterapeuta, ci sono infatti almeno tre cause – che non si escludono a vicenda, e anzi, spesso sono intrecciate – all’origine di questa sofferenza:
a) la discriminazione sociale, la stigmatizzazione, gli abusi, le violenze, cioè quell’insieme di “anticorpi” che la società produce contro l’universo omosessuale e che vanno sotto il nome di “omofobia”;
b) lo stile di vita omosessuale, che espone ad una maggiore instabilità relazionale ed emotiva;
c) alcune caratteristiche psicologiche intrinseche all’omosessualità stessa, quali ad esempio un’immagine estremamente negativa di sé soprattutto a livello fisico ed una bassa autostima.
(ANTONIO MARIA PERSICO, Omosessualità tra scelta e sofferenza : conoscere per capire, capire per andare oltre, Alpes, Roma 2007, p.7)
Leggendo questa frase, qualcuno potrebbe chiedersi:
- «Come fa l’autore a dire queste cose?»
- «Su che dati si basa?»
- «Ci sono studi scientifici in merito?»
Per rispondere a queste domande, che sono centrali a tutto il tema dell’omosessualità, possiamo formulare alcune ipotesi semplici, ragionevoli e soprattutto verificabili: in primo luogo, sebbene non esista alcuna società totalmente priva di omofobia, certamente le società differiscono tra loro per grado di omofobia.
Ci possiamo chiedere, quindi, se tra gli omosessuali l’intensità della sofferenza sia correlata all’intensità dell’omofobia che caratterizza la società in cui vivono.
In secondo luogo, poiché in molte società occidentali le campagne in corso da almeno due decenni hanno oggettivamente ridotto il livello di omofobia rispetto ai decenni precedenti, si può ipotizzare che gli omosessuali più giovani siano meno sofferenti di quelli di età media o avanzata.
(ANTONIO MARIA PERSICO, Omosessualità tra scelta e sofferenza : conoscere per capire, capire per andare oltre, Alpes, Roma 2007, p.14)
[A titolo di esempio,] la società olandese viene riconosciuta come una tra le più aperte e tolleranti in tema di omosessualità (1).
In uno studio pubblicato nel 1998, alla domanda “Fare l’amore con persone dello stesso sesso è sbagliato?”, il 65% degli intervistati olandesi ha risposto “No, per nulla”, mentre il 19% ha risposto “Sì, è sempre sbagliato”.
Alla stessa domanda, negli USA rispondeva di no il 19% degli intervistati, contro il 70% che rispondeva di sì.
In Gran Bretagna, i no raggiungevano il 26% contro il 58% dei sì (2).
Nonostante questa grande tolleranza, il tasso di ideazione suicidaria e di tentativi di suicidio tra gli omosessuali olandesi è identico a quello che riscontriamo in società assai meno aperte e tolleranti (vedi TABELLA 1) (3).
In secondo luogo, non sono gli omosessuali più maturi, bensì quelli più giovani che mostrano i tassi più elevati di pensiero ed azione autolesionistici (*).
Infine, sebbene esista uno “stress da minoranza”, non si è mai riscontrati, negli studi effettuati tra gli immigrati oppure tra gli afroamericani che la discriminazione etnica o razziale abbassi l’autostima delle persone o aumenti la frequenza di sintomi rivelatori di sofferenza psichica ed in particolare delle pulsioni suicidarie.
Questi dati inducono a rigettare l’ipotesi secondo cui la società, attraverso l’omofobia, sarebbe l’unica e primaria causa di sofferenza nella vita degli omosessuali.
(ANTONIO MARIA PERSICO, Omosessualità tra scelta e sofferenza : conoscere per capire, capire per andare oltre, Alpes, Roma 2007, p.15)
(1) (T.G.M. Sandfort, R. de Graaf, R.V. Bijl, P. Schnabel, Same-sex sexual behavior and psychiatric disorders – findings from the Netherlands Mental Health Survey and Incidence Study (NEMESIS) , Archives of General Psychiatry, 58 (2001), pp.85-91; R. de Graaf, T.G.M. Sandfort, M. ten Have, Suicidality and sexual orientation: differences between men and women in a general population-based sample from the Netherlands, Archives of Sexual Behavior, 35 (2006), pp.253-262; E.D. Eidmer, J. Treas, R. Newcomb, Attitudes toward nonmarital sex in 24 countries, Journal of Sex Research, 35 (1998), pp.349-358)
(2) (E.D. Eidmer, J. Treas, R. Newcomb, Attitudes toward nonmarital sex in 24 countries, Journal of Sex Research, 35 (1998), pp.349-358)
(3) (R. de Graaf, T.G.M. Sandfort, M. ten Have, Suicidality and sexual orientation: differences between men and women in a general population-based sample from the Netherlands, Archives of Sexual Behavior, 35 (2006), pp.253-262)
Allo stesso tempo, anche la seconda ipotesi non è priva di fondamento: lo stile di vita di molti omosessuali che agiscono la loro pulsione omoerotica è mediamente caratterizzato da una grande instabilità relazionale ed erotica sconosciuta alle coppie eterosessuali, instabilità relazionale che a sua volta produce instabilità emotiva e sofferenza.
(ANTONIO MARIA PERSICO, Omosessualità tra scelta e sofferenza : conoscere per capire, capire per andare oltre, Alpes, Roma 2007, p.14)
Forse qualcuno di voi – leggendo alcune di queste frasi – sarà rimasto infastidito dal tono di alcune affermazioni, un po’ apodittiche, un po’ “piovute dal cielo”.
Le tesi di Persico però non sono campate per aria: come scrivevo sopra, lo psichiatra attinge a statistiche, incrocia i dati con quelli di altri paesi, li mette a confronto con quelli di 20-30-40 anni fa, presenta tabelle piene di numeri, dati, note a piè pagina…
Poi, per carità.
È chiaro che – quando si parla di temi così delicati – non esistono “prove scientifiche” o “dimostrazioni matematiche”.
Ogni volta che si esce dall’ambito delle scienze esatte e si fanno ricerche che hanno a che fare con la cultura, la società, la sociologia, si procede per gaussiane, si utilizzano grafici “sporchi”, dati che hanno un “rumore di fondo”, etc.
…e lo stesso Persico ribadisce più volte che l’oggetto di studio del suo libro non si può prestare a semplificazioni:
L’omosessualità rappresenta un fenomeno di enorme interesse e di straordinaria complessità nel contesto caleidoscopico del comportamento umano.
Le difficoltà che esso pone ad una comprensione esaustiva dei suoi fondamenti, strutturati sulla reciproca interazione tra i livelli biologico, psicologico ed antropologico, si traducono in una difficoltà che tutti abbiamo avvertito a livello emotivo nel confrontarci con questa realtà.
(ANTONIO MARIA PERSICO, Omosessualità tra scelta e sofferenza : conoscere per capire, capire per andare oltre, Alpes, Roma 2007, p.1)
Però ecco.
Ho voluto scrivere questo primo paragrafo per dire questo: quando si parla dell’omosessualità – e di tutto il mondo LGBT+ in generale – non accontentatevi delle rispostine di merda in stile Fanpage, Huffington Post o altre testate online ideologiche e faziose.
E non accontentatevi neanche delle risposte che vi dà il somaro che scrive su questo blog.
Mettiamo in moto il cervello.
Impariamo a riconoscere la differenza tra la divulgazione scientifica e la propaganda opportunistica.
Impariamo a documentarci con rigore.
1 • «Sono nato così, quindi devo assecondare la mia tendenza!»
Una delle più grandi bugie del nostro tempo (che tante volte dico anch’io) è la frase «sono fatto così!»:
- Il tuo ragazzo dopo una discussione ti dice: «Ogni volta che litighiamo, ti chiudi e non vuoi parlare! Non possiamo risolvere le cose così!»… e tu rispondi: «Sono fatta così!»
- Tua madre si lamenta con te: «Sei sempre in ritardo, anche per il pranzo di Natale! Non puoi essere puntuale?»… e tu rispondi: «Sono fatto così!»
- Un amico ti fa notare che «Sei sempre così diretto, a volte sembri troppo brusco!»… e tu rispondi: «Sono fatto così!»
- La tua coinquilina si lamenta: «Non capisco come fai a lasciare sempre i piatti nel lavandino invece di lavarli subito!»… e tu rispondi: «Sono fatta così!»

Come scriveva provocatoriamente il sacerdote spagnolo Josemaría Escrivá de Balaguer (1902-1975):
Non dire «Sono fatto così… sono cose del mio carattere». Sono cose della tua mancanza di carattere: sii uomo!
(JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Cammino, punto 4)
Ebbene.
Questo discorso vale anche quando si parla delle tendenze omosessuali.
In che senso?
Per rispondervi, la prendo un po’ larga.
Non so se conoscete lo youtuber, wrestler e influencer statunitense Logan Paul (classe ’95).
Per chi non lo conoscesse… diciamo che è un personaggio controverso, che ha fatto mooolto parlare di sé, in più di un’occasione (uno degli episodî più torbidi risale al 2023, quando Logan Paul è stato coinvolto in una controversia legata a CryptoZoo, un’app di gioco basata su NFT e criptovalute da lui promossa; l’app prometteva di consentire agli utenti di acquistare “uova” digitali (NFT) per allevare animali virtuali, ma non è mai stata completata; gli investitori hanno perso circa 16 milioni di dollari a causa del crollo del valore del token $ZOO; Paul è stato accusato di aver incoraggiato i fan a investire senza trasparenza, e una causa legale sostiene che il progetto fosse una frode; nel 2024, ha annunciato un piano di riacquisto di 2,3 milioni di dollari per risarcire gli utenti, negando però di aver guadagnato personalmente e attribuendo le perdite a “cattivi attori”).
Nel 2018, Logan Paul ha creato il podcast Impaulsive… definito ironicamente da lui stesso come «il più grande, provocatorio e stimolante podcast nella storia dell’umanità… ospitato da un gruppo di idioti».
Nell’episodio 417 del 21 maggio 2024 i due ospiti del podcast sono stati Cliffe Knechtle (classe ’54) e il suo secondo figlio Stuart Knechtle (classe ’88).
Padre e figlio sono entrambi pastori protestanti.
Ora.
Non so se sono capace di dire tutto l’amore che provo per Cliffe e Stuart!
Sono veramente due grandi!
Vorrei essere come Cliffe!
Vorrei avere un figlio come Stuart!
Tra le tante loro attività, Cliffe e Stuart girano tra gli atenei delle università degli Stati Uniti, e dialogano con i ragazzi e le ragazze che incontrano, rispondendo a tutte le domande, i dubbi e le questioni che pongono loro:
- Esiste Dio? È qualcosa di oggettivo? O ognuno se lo immagina come vuole?
- Gesù è esistito veramente? Diceva di essere Dio? Compiva veramente miracoli?
- Perché nell’Antico Testamento Dio ha ucciso così tante persone?
- La morale è oggettiva? O cambia di cultura in cultura?
- Che significa che «Dio ama tutti»?
- Esiste una verità assoluta ed oggettiva? O tutto è relativo?
Per chi mastica l’inglese, Cliffe e Stuart hanno un canale YouTube chiamato «Give Me An Answer with Stuart & Cliffe Knechtle», sul quale caricano i video dei loro botta e risposta con gli studenti americani.
Ebbene.
Tornando alla puntata del podcast.
Come racconta nell’episodio, Logan Paul è cresciuto in una famiglia cristiana… poi però crescendo si è allontanato dalla fede ed è diventato agnostico.
Quiundi, come potrete immaginare, la puntata è stato il classico botta e risposta tra credente e non credente, con il solito bombardamento di domande da parte di una persona che respira a pieni polmoni tutto ciò che la cultura «del mondo» ha da offrire, per sentire ciò che risponde la persona religiosa.
Logan ha posto a Stuart e Cliffe domande sugli argomenti più disparati:
- la vita e la morte
- il peccato
- l’intolleranza di alcune persone religiose
- l’aborto
- i matrimoni omosessuali
- il rapporto tra il cristianesimo e le altre religioni
- il rapporto tra la scienza e la fede
- etc.
A un certo punto dell’intervista, parlando dei matrimoni omosessuali, c’è stato questo scambio (per comodità, sotto al video vi riporto anche la trascrizione e la traduzione):
(Logan Paul) Are you attracted to men?
(Cliffe Knechtle) No
(Logan Paul) Why not?
(Cliffe Knechtle) Cause that’s the way I’m hardwired!
(Logan Paul) What if someone is hardwired the exact opposite way by their God and then not accepted by their God because God’s book says we don’t accept you?
(Cliffe Knechtle) See… when you listen to yourself talk the way you did, I think there’s a presupposition you’ve got which is «God created me the way I was born», [but] the Bible contradicts that… meaning by that I was not born with a desire to forgive: you hurt me bad enough, I’m coming after you – that’s naturally what I do; so then I’ve got to ask myself the question: «My desire to come after you and seek revenge is that what God created me to do or did God create me to forgive?» I was not born with a heterosexual drive to have sex with just one woman. I was born with a heterosexual drive to have sex with as many good looking women as I could get into bed with me. This whole idea that God created me to be this way… no! I am born with something that Jesus in the Bible calls a readiness to sin factor. When I was a little kid playing in sandbox with a buddy, I got ticked with a buddy, so thicked I picked up a metal truck and slammed him over the head with it.
(Mike Majlak) Cops are still looking for you by the way…
(Cliffe Knechtle) That’s right! All right, came very naturally! I never saw that behaviour modelled from my environment, it was sort of an instinct, it just sort of happened… so this whole idea that every drive that I have, that I’m born with, is good… no! I’ve got a lot of drives that are not good! In fact, I’m a mixed up kid, that’s why I need God’s help, because I’m a mixed up kid!
Traduzione dello scambio tra Logan e Cliffe, per chi non mastica l’inglese (clicca per espandere)
(Logan Paul) Sei attratto dagli uomini?
(Cliffe Knechtle) No
(Logan Paul) Perché no?
(Cliffe Knechtle) Perché è così che sono programmato!
(Logan Paul) E se qualcuno fosse programmato esattamente al contrario dal suo Dio e poi non accettato dal suo Dio perché il libro di Dio dice che non ti accettiamo?
(Cliffe Knechtle) Vedi… quando ti ascolti parlare come hai fatto, penso che tu abbia un presupposto, ovvero «Dio mi ha creato così come sono nato», [ma] la Bibbia contraddice questa affermazione… intendo dire che non sono nato con il desiderio di perdonare: se mi ferisci abbastanza gravemente, ti inseguirò – è ciò che faccio naturalmente; quindi devo pormi la domanda: «il mio desiderio di inseguirti e cercare vendetta è ciò per cui Dio mi ha creato, o Dio mi ha creato per perdonare?» Non sono nato con un impulso eterosessuale a fare sesso con una sola donna. Sono nato con un impulso eterosessuale a fare sesso con quante più donne attraenti riesco a portare a letto con me. Questa idea che Dio mi abbia creato così… no! Sono nato con qualcosa che Gesù nella Bibbia chiama un fattore di predisposizione al peccato. Quando ero piccolo e giocavo nella sabbiera con un amico, mi arrabbiai con lui, così arrabbiato che presi un camioncino di metallo e lo colpii in testa.
(Mike Majlak) A proposito, la polizia ti sta ancora cercando…
(Cliffe Knechtle) Esatto! Va bene, è accaduto tutto in modo molto naturale! Non ho mai visto quel comportamento nel mio ambiente, era una specie di istinto, è semplicemente successo… quindi questa idea che ogni impulso che ho, con cui sono nato, sia buono… no! Ho molti impulsi che non sono buoni! In effetti, sono un bambino incasinato, ecco perché ho bisogno dell’aiuto di Dio, perché sono un bambino incasinato!
Cliffe aveva detto qualcosa di simile anche in un’altra occasione, di fronte a un gruppo di universitarî statunitensi (anche in questo caso, per chi ha bisogno, sotto alla clip video vi riporto trascrizione e traduzione):
What I heard you saying is – because you were born with a homosexual drive – that’s who you are and that’s your identity. I disagree. Just because you’re born with a drive does not make it good. I’m a heterosexual male. Do you think that my heterosexual drive is to have sex with just one woman? Thank you for smiling… No, I would like to have sex with many different beautiful women. The question though for me as a heterosexual male is: has God created my sexuality for a purpose? And if so, what is that purpose? Just because I’m born with a drive, doesn’t make it right. And we’re all born with mixed up drives.
(Cliffe Knechtle)
Traduzione della clip con Cliffe, per chi non mastica l’inglese (clicca per espandere)
Quello che ti ho sentito dire è che – poiché sei nato con un impulso omosessuale – quello è ciò che sei e quella è la tua identità. Non sono d’accordo. Solo perché sei nato con un impulso, non significa che sia buono. Io sono un maschio eterosessuale. Pensi che il mio impulso eterosessuale sia quello di fare sesso con una sola donna? Grazie per aver sorriso… No, mi piacerebbe fare sesso con molte donne diverse e belle. La domanda però per me, come maschio eterosessuale, è: Dio ha creato la mia sessualità per uno scopo? E se sì, qual è quello scopo? Solo perché sono nato con un impulso, non lo rende giusto. E tutti noi siamo nati con impulsi confusi.
(Cliffe Knechtle)
L’esempio che ha fatto Cliffe può essere declinato in decine di altri modi.
Faccio qualche esempio su di me, ma ciascuno di voi può fare i conti con sé stesso:
- io sento un istinto innato a comportarmi in modo egoista… ma questo non significa che io debba assecondare questa tendenza;
- io ho la tendenza di appiccicare un etichetta alle persone dopo pochi minuti che parlo con loro… ma questo non giustifica i miei pregiudizi;
- ogni volta che passo davanti a McDonald, K.F.C., Old Wild West e posti del genere, mi monta la fame chimica e mi sale il desiderio di mangiare cibo spazzatura… ma questo non giustifica una dieta dannosa per la mia salute;
- io provo un’invidia carica di bile acida per i successi altrui… ma questo non rende leciti i miei sentimenti negativi nei confronti degli altri;
- etc.
Insomma.
Come scriveva Agostino d’Ippona (354-430):
Ti dispiaccia sempre ciò che sei, se vuoi guadagnare ciò che non sei.
In realtà, dove ti sei compiaciuto di te, là sei rimasto. Se poi hai detto: Basta; sei addirittura perito.
(AGOSTINO D’IPPONA, Sermo 169, 5, 18: NBA 31/2, 803)
2 • L’omosessualità può essere una «identità»?
Thérèse Hargot è una sessuologa belga (classe ’84).
A febbraio del 2016 ha scritto il libro Una gioventù sessualmente liberata (o quasi) – che avevo già nominato qui sul blog.
Nel testo, Thérèse analizza gli effetti della rivoluzione sessuale sulle nuove generazioni – tra pressioni sociali, ansia da prestazione, il confronto con standard irrealistici, la pornografia, la banalizzazione della sessualità, la mercificazione dell’identità e delle relazioni, etc.
Il libro contiene una serie di critiche molto intelligenti; è un invito laico (*) – per tante persone – a ripensare la propria vita affettiva e sessuale, liberandosi da tanti slogan e luoghi comuni dell’epoca in cui viviamo.
(*) (non vengono mai nominati Dio, la Bibbia, la morale cristiana o cose del genere)
Uno dei capitoli del libro è dedicato all’omosessualità.
Thérèse apre il discorso facendo notare che fino a pochi decenni fa, l’omosessualità era considerata una malattia mentale… e questo – neanche a dirlo – è una cosa terribile:
- in Francia, l’omosessualità è stata ufficialmente rimossa dalla lista delle malattie mentali nel 1981;
- in Italia, non esiste una data precisa in cui l’omosessualità è stata ufficialmente declassificata come malattia mentale a livello nazionale, poiché la legislazione e le classificazioni mediche hanno sempre seguito in gran parte le linee guida internazionali dell’O.M.S.;
- l’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.) invece ha rimosso l’omosessualità dalla sua lista di disturbi mentali nel 1990 (con la pubblicazione della decima revisione della Classificazione Internazionale delle Malattie, ICD-10, nel 1993).
La sessuologa sostiene che – riguardo all’omosessualità – siamo caduti da un eccesso all’altro:
- da un lato, c’è l’eccesso di considerare l’omosessualità una malattia mentale;
- dall’altro lato, c’è l’eccesso nella direzione opposta di considerare l’omosessualità una identità.
Nel giro di pochi anni, siamo passati dal considerare l’omosessualità una «malattia» – grave errore! – al considerare l’omosessualità un’«identità» – errore altrettanto grave!
Perché sarebbe un errore considerare l’omosessualità un’identità?
Per rispondere, devo aprire una mini-parentesi tecnica.
In psicologia, con la parola «fantasma» si intende una rappresentazione inconscia che struttura i desideri e le fantasie di una persona.
Un fantasma, ad esempio, può essere:
- l’idea di un incontro romantico
- un’attrazione proibita
- una situazione – reale o immaginaria – che suscita eccitazione o ansia

Un fantasma è un costrutto mentale che può riguardare desideri sessuali, paure, aspirazioni, conflitti interiori.
Ora.
Tutti noi abbiamo fantasmi.
Io che sto scrivendo.
Tu che stai leggendo.
Ogni persona fa questo tipo di esperienze.
La cosa fondamentale che fa notare Thérèse è che i fantasmi sono «esperienze che una persona ha», e non «ciò che una persona è».
I fantasmi sono un elemento della nostra vita che appartiene all’«ordine del possesso» – cioè sono qualcosa che viviamo e sperimentiamo…
…e non qualcosa che appartiene all’«ordine dell’esistenza» – cioè qualcosa che siamo.
Come si collega questo discorso con quello sull’omosessualità?
Lascio la parola a Thérèse:
Essere o non essere omosessuale: ecco la questione che non bisognerebbe porsi.
Molto semplicemente perché “essere omosessuale” non esiste.
Assolutamente, è una pura costruzione ideologica!
Tu sei Marcel, Estelle, Gabriel o Michelle, ma non sei “omosessuale” e neppure “eterosessuale”, “transessuale”, “bisessuale” o va’ a sapere quale altra categoria in cui vorrebbero farti rientrare, per quanto appaia flessibile.
Certo, puoi provare un desiderio amoroso e sessuale verso una persona del tuo stesso sesso, puoi avere fantasmi di ogni genere, puoi avere una tendenza a comportarti in un certo modo, puoi avere del piacere in questa o quella situazione, puoi scegliere di vivere la tua vita intima con questa o quella persona…
Ma, in ogni caso, tali esperienze non determinano l’essere profondo; tutto ciò afferisce all’ordine del possesso, non dell’esistenza.
L’esistenza di un essere non dipende dai suoi desideri, dai suoi amori, dai suoi fantasmi, dalle sue attività sessuali, dalla sua situazione matrimoniale o dai suoi valori. Per quanto occupino un posto importante nella vita, la persona non può essere ridotta a essi.
E questo è tanto più vero in quanto qui si tratta della sessualità, la quale per natura è un’esperienza umana complessa, molteplice e contraddittoria. Identificandosi con quelle che di fatto non sono che “identità superficiali” – perché temporanee e parziali – si previene ogni prospettiva di evoluzione, si imprigiona l’individuo dietro un’etichetta, gli si revoca la sua libertà. Invece di dire «sono eterosessuale», «sono innamorato», «sto con…», il vissuto deve imparare a esprimersi con il verbo avere: «Ho un’attrazione sessuale verso…», «Ho un sentimento amoroso per…», «Ho una relazione di coppia con…».
Perché io non sono né le mie attrazioni né i miei sentimenti né le mie relazioni.
Mediante un’espressione rettificata della situazione a mezzo di un vocabolario adeguato, l’angoscia scompare: la cosa è nominata. L’individuo ha modo di afferrarla, può cercare di comprenderla, di sdrammatizzarla e di scegliere che cosa vuole farne. Questo lavoro di “disidentificazione” è indispensabile per iniettare libertà. E si respira.
(THÉRÈSE HARGOT, Una gioventù sessualmente liberata (o quasi), Sonzogno, Milano 2017, versione Kindle, 35-36%)
Non so come la vedete voi… ma io credo che questa frase che vi ho riportato dovrebbe essere letta e riletta, tutti i giorni dell’anno.
A casa.
A scuola.
In ufficio.
Meditata.
Rimuginata.
Imparata a memoria.
Tra l’altro, un altro aspetto interessante del libro di Thérèse è il fatto che al suo interno sono raccolte molte testimonianze di ragazzi e ragazze.
La sessuologa infatti lavora nelle scuole, quindi ha la possibilità di confrontarsi con tantissimi adolescenti che sono immersi nel marasma del “mondo fluido” che abbiamo costruito per loro.
A titolo di esempio, chiudo questo paragrafo riportandovi un altro passaggio:
Ogni volta che un individuo è ridotto alle proprie tendenze sessuali, è alla sua dignità di persona umana che si attenta. Ogni volta che si semplifica l’esperienza della sessualità, si cade nell’ideologia, che cozza violentemente con la realtà.
[…]
Ne assumo a prova questi messaggi, che ricevo regolarmente: «Buongiorno, le scrivo perché mi domando se sono omosessuale e pedofilo, perché ho sedici anni e sono attirato dai ragazzini».
O ancora: «Credo di essere zoofilo, perché non la pianto mai di immaginare degli scenari sessuali con degli animali, questa cosa mi ossessiona e vorrei passare all’atto pratico per sapere se lo sono veramente» mi confida questa ragazza quindicenne, come molte altre di cui ho ricevuto le testimonianze in questi ultimi anni.
(THÉRÈSE HARGOT, Una gioventù sessualmente liberata (o quasi), Sonzogno, Milano 2017, versione Kindle, 33%)
E per chi si fosse infastidito rispetto alla frase precedente – nella quale si parla di omosessualità, pedofilia e zoofilia – Théresè specifica la questione:
«Ma questo non ha niente a che vedere con il discorso di prima: è scandaloso parlare dell’omosessualità e terminare con la pedofilia e la zoofilia!» si offenderà qualcuno.
Ma io non vi ho parlato di omosessualità, in effetti.
Io mi allarmo solo per il fatto che la ricerca esistenziale riposi sulle esperienze sessuali.
Mi allarmo per il fatto che i desideri e i comportamenti sessuali si esprimano con il verbo “essere” e vengano dichiarati come un’identità.
Io mi allarmo per il fatto che la sessualità sia divenuta un campo chiuso e ansiogeno per gli adolescenti di oggi; io mi allarmo per il fatto che la nostra società non sia capace di ospitare un vero dibattito sulle differenti pratiche sessuali, messa all’angolo dalla sua incapacità filosofica a distinguere la persona dai propri atti.
(THÉRÈSE HARGOT, Una gioventù sessualmente liberata (o quasi), Sonzogno, Milano 2017, versione Kindle, 34%)
3 • «Natura» vs «contro natura»
Quando si parla della Chiesa cattolica e del suo rapporto con l’omosessualità e con tutto il “mondo LGBT+”, si sentono dire tante scempiaggini:
- «la Chiesa discrimina i gay!»
- «la Chiesa considera l’omosessualità un peccato mortale!»
- «la Chiesa non permette alle persone LGBT+ di essere sé stesse!»
- «la Chiesa con i suoi insegnamenti promuove l’omofobia!»
- «la Chiesa dice che l’omosessualità è contro natura!»
A molte di queste obiezioni avevo già risposto in una pagina del blog del 2022 dal titolo «La Chiesa è contro gli omosessuali?!.
Come dicevo in quell’occasione, molte di queste critiche sono argomenti fantoccio, ovvero affermazioni che distorcono o semplificano la posizione della Chiesa cattolica per renderla più facilmente attaccabile.
In particolare, l’aspetto sul quale c’è maggiore confusione tra le persone che criticano la Chiesa è la differenza tra le «tendenze omosessuali» e gli «atti omosessuali»:
- la tendenza omosessuale è una condizione NON scelta che riguarda l’attrazione affettiva o sessuale verso persone dello stesso sesso; la tendenza omosessuale ha a che fare con i «fantasmi» di cui parlavo nel precedente paragrafo, cioè con quelle rappresentazioni inconsce che strutturano i desideri e le fantasie di una persona; come riportato nel Catechismo della Chiesa Cattolica (cfr. CCC 2357), il fatto di avere tendenze omosessuali non è una condizione peccaminosa in sé, ma richiede di essere vissuta nella castità;
- gli atti omosessuali invece sono azioni di natura sessuale compiute tra persone dello stesso sesso; come scritto nel Catechismo (cfr. CCC 2357), gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati (cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Persona humana, 8: AAS 68 (1976) 85).
Perché la Chiesa dice che gli atti omosessuali sono «intrinsecamente disordinati»?
Dunque.
Facciamo un passo indietro.
Lasciatemi fare per un attimo Capitan Ovvio.
La parola «disordine» è il contrario della parola «ordine».
Come si capisce se una camera da letto, una cucina, un armadio, un ambiente è in ordine o in disordine?
- se gli oggetti hanno un posto specifico e sono riposti in modo logico;
- se puoi trovare ciò che cerchi senza fatica;
- se le cose sono disposte in modo che “abbiano senso” insieme – magari seguendo un criterio (colore, dimensione, categoria, etc.);
- etc.
Che significa, invece, quando usiamo la parola «disordine» per riferirci ad un comportamento?
A un modo di agire?
A una condotta di vita?
Agli «atti omosessuali»?
Insomma, che significa quando il Catechismo dice che gli atti omosessuali sono «intrinsecamente disordinati»?
Allora.
Ho riflettuto molto sulla risposta da dare a questa domanda.
L’ho scritta una prima volta.
Poi non mi è piaciuta, e l’ho riscritta.
Poi ho cambiato daccapo tutto il discorso.
Dopo un po’ di bozze e tentativi varî, ho deciso di immaginare che a leggere le mie parole sia una persona con tendenze omosessuali.
Ho provato ad immaginare le reazioni che potrebbe avere una persona che convive con questo tipo di fantasmi (*)
(*) (vedi paragrafo precedente per la definizione di questa parola).
Purtroppo, quando si parla di questi argomenti c’è il serio rischio di «prenderla sul personale», perché si fa del proprio orientamento sessuale un’identità…

Proverò a rispondere a questa domanda con tatto.
Con delicatezza.
Con rispetto.
Senza però edulcorare il discorso, o dire cose diverse da ciò che insegna la Chiesa… perché:
La verità senza carità uccide… ma la carità senza verità inganna.
(Cfr. BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, n.3-6)
Quando la Chiesa parla di questi temi (ma anche di qualsiasi altro tema) non vuole condannare nessuno.
Non vuole emettere una sentenza di giudizio.
Non vuole dare la “patente di brava/cattiva persona”.
Non si tratta di condannare… ma di accompagnare.
Non si tratta di squalificare le persone… ma di indicare la meta.
E quale sarebbe “la meta”?
La meta è una relazione viva e vivificante con Dio.
Una relazione vera, bella, buona.
Intima.
Radicale.
Non “all’acqua di rose”.
Ognuno poi – se lo desidera – può camminare in quella direzione al passo che preferisce (ed è lecito inciampare, cadere, rialzarsi, inciampare di nuovo)…
…il compito della Chiesa è semplicemente quello di “farsi prossima” a chi desidera intraprendere questo cammino – per accompagnare, consolare, incoraggiare… e – perché no – mostrare quali strade allontanano dalla meta.
Come ha detto papa Francesco (1936-2025) nel 2013:
Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla?
(PAPA FRANCESCO, conferenza stampa di domenica 28 luglio 2013, durante il volo di ritorno dal viaggio apostolico a Rio de Janeiro, in occasione della XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù)
Fatta questa doverosa premessa, torniamo alla domanda che ho posto: che significa quando il Catechismo della Chiesa Cattolica dice che gli atti omosessuali sono «intrinsecamente disordinati»?
Senza girarci troppo intorno, direi che è perché gli atti omosessuali «non puntano nella direzione» a cui Dio ha pensato quando ha creato l’uomo e la donna.
E quale sarebbe la direzione che Dio avrebbe pensato?
Dunque.
In quanto cristiano, io credo che la Bibbia sia un testo ispirato.
Che sia «parola di Dio».
Che dica la verità.
Disclaimer: questo non significa che la Bibbia sia un «dettato da parte di Dio», né che abbia la pretesa di affermare una «verità scientifica» (per chi volesse approfondire, lo rimando a questa pagina); la verità contenuta nella Bibbia ha a che fare con la salvezza dell’anima… cioè con la felicità dell’uomo.
Dalla sapienza contenuta nella Bibbia deriva quella che i teologi chiamano «antropologia cristiana».
L’antropologia cristiana è lo studio dell’uomo alla luce della rivelazione cristiana.
Riflette su questioni come:
- Che significa che gli esseri umani sono creati a immagine e somiglianza di Dio?
- Qual è lo scopo dell’uomo all’interno del Creato?
- In che modo il peccato originale ha influenzato la natura umana e la sua relazione con Dio?
- Come si conciliano la libertà dell’uomo e la volontà di Dio?
- Qual è il ruolo della grazia di Dio nella vita dell’uomo?
- Qual è il rapporto tra corpo, anima e spirito?
- Perché Dio ci ha donato il libero arbitrio?
- etc.
I temi dell’antropologia cristiana sono un mix di filosofia, teologia e domande esistenziali.
Il senso di queste domande è cercare di capire cosa significa essere «pienamente umani» alla luce della rivelazione cristiana.
Le basi dell’antropologia cristiana sono:
- la Bibbia – dal racconto della creazione dell’uomo, passando per quello del peccato originale… fino ad arrivare alle parole e alla vita di Gesù, compimento della rivelazione e della redenzione;
- la Tradizione della Chiesa – cioè gli insegnamenti tramandati dagli apostoli ai loro successori, passando per tutti i santi, le sante, i martiri, etc… fino ai giorni nostri;
- il Magistero – cioè l’autorità della Chiesa – rappresentata dal Papa e dai vescovi – che interpreta e trasmette la fede attraverso insegnamenti ufficiali, come encicliche, documenti conciliari, il Catechismo della Chiesa Cattolica, etc.
Ebbene.
Cosa insegna l’antropologia cristiana?
Insegna che l’uomo e la donna sono diversi – fisicamente, psicologicamente, spiritualmente.
Questa differenza è riscontrabile sotto numerosi punti di vista:
- biologia: differenze fisiche e ormonali;
- neuroscienze: diversità nei processi cognitivi ed emotivi;
- vita sessuale: espressioni complementari dell’intimità;
- psicologia: approcci emotivi e relazionali diversi;
- teologia: su questo punto, vi rimando a quest’altra pagina del blog;
- etc.
La diversità tra uomo e donna però non è sinonimo di antagonismo.
Come dicevo in quest’altra occasione, la chiave di lettura per intendere correttamente la relazione tra uomo e donna è quella della complementarietà.
Non a caso, la Chiesa insegna che il compimento della relazione tra l’uomo e la donna è l’unione sponsale.
Nell’unione sponsale, gli “universi” maschile e femminile si mettono l’uno al servizio dell’altro.
Anzi.
Meglio ancora.
Con il matrimonio, l’uomo e la donna diventano la realtà terrena più simile a Dio.
Nel matrimonio, la relazione tra l’uomo e la donna diventa simile alla relazione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo all’interno della Trinità.
Non me lo sto inventando – sto parafrasando il libro di Genesi, che quando parla della creazione dell’uomo dice che «maschio e femmina» sono «l’immagine di Dio» (*):
E Dio creò l’uomo a sua immagine;
a immagine di Dio lo creò:
maschio e femmina li creò.
(Genesi 1,27)
(*) (per chi volesse approfondire, lo rimando anche al Catechismo della Chiesa Cattolica, numeri dal 1601 al 1666, in cui si parla del matrimonio)
Se le cose stanno così… come la mettiamo con gli omosessuali?
Dio non li ama?
I cristiani non li considerano?
La Chiesa pensa che gli atti omosessuali siano «contro natura»?
In realtà, il Catechismo non utilizza questa espressione…
…però – visto che da cristiano mi viene rivolta spesso questa critica – penso che possa essere interessante fare una riflessione a riguardo.
Come dicevo sopra, l’intento non è quello di condannare, giudicare o puntare il dito.
Ma penso sia importante riflettere insieme.
Dunque.
Molte persone – quando si accendono discussioni per stabilire se un comportamento dell’uomo sia «naturale» o «innaturale» – citano il comportamento di altre specie animali…
…e il più delle volte tirano fuori esempî creativi e “libertini” nel regno della natura:
- i bonobo (pan paniscus) – sia maschi che femmine – si masturbano usando mani, piedi o oggetti come rami;
- i delfini (tursiops truncatus) sono noti per strofinare i loro genitali su oggetti – come coralli o fondali marini, per stimolarli;
- gli scimpanzé (pan troglodytes) vivono in gruppi in cui maschi e femmine si accoppiano con più partner – spesso per rafforzare legami sociali o ridurre conflitti;
- molti passeriformi, come il pettirosso europeo (erithacus rubecula), formano coppie apparentemente monogame, ma le femmine si accoppiano di nascosto con altri maschi per diversificare la prole;
- i macachi (macaca fuscata) usano il contatto sessuale, sia eterosessuale che omosessuale, per stabilire gerarchie o ridurre tensioni sociali;
- alcuni pappagalli, come il pappagallo cenerino (psittacus erithacus), si auto-stimolano o si “accoppiano” con oggetti, suggerendo un bisogno di piacere sessuale;

Molte persone – di fronte agli esempî che ho fatto – seguono questo ragionamento:
- queste specie animali – in natura – si comportano in questo modo;
- quindi questi comportamenti sono naturali;
- dunque – se anche l’uomo si comporta in questo modo – non c’è nulla di innaturale.
Ecco.
Secondo me questo è un grande abbaglio.
Perché?
Per rispondere, vi faccio leggere uno stralcio del filosofo e teologo ortodosso russo Vladimir Solov’ëv (1853-1900) – tratto dal suo libro «Il significato dell’amore», scritto tra il 1892 e il 1894:
In genere, quando si parla di ciò che è naturale o innaturale, non bisogna dimenticare che l’uomo è un essere complesso e che quanto è naturale per uno degli elementi o dei principî che lo costituiscono, può essere innaturale per un altro e, quindi, anormale per l’uomo nel suo complesso.
Per l’uomo, inteso come animale, è assolutamente naturale soddisfare illimitatamente il proprio bisogno sessuale attraverso un determinato atto fisiologico, ma l’uomo, in quanto essere morale, trova quest’atto contrario alla propria natura superiore e ne ha pudore.
Per l’uomo, in quanto animale sociale, risulta naturale limitare la funzione fisiologica che lo mette in relazione con le altre persone secondo le esigenze della legge morale e sociale.
(VLADIMIR SOLOVʼËV, Il significato dell’amore, Edilibri, Milano 2003, versione Kindle, 57%)
Che significa questa frase?
È vero che l’uomo ha una natura animale… ma l’uomo non si limita a questo.
È vero che l’uomo ha una natura sociale e morale… ma l’uomo non si limita a questo.
L’uomo ha anche una natura spirituale:
Nell’uomo, oltre alla natura animale e alla legge sociale e morale, esiste anche un terzo principio superiore, quello spirituale, mistico o divino.
Esso, anche qui, nell’ambito dell’amore e dei rapporti sessuali, è quella «pietra che i costruttori hanno scartato» e che «è diventata testata d’angolo» (Salmo 118,22).
[…]
Questo terzo elemento, che a dire il vero è il primo nell’ordine autentico delle cose, e le esigenze che vi sono insite sono assolutamente naturali per l’uomo considerato nella sua integralità come essere che partecipa del supremo principio divino e fa da mediatore fra questo e il mondo.
I due elementi inferiori, invece, la natura animale e la legge sociale, che sono altrettanto naturali se vengono mantenuti nel loro posto, diventano antinaturali quando si separano da quello superiore e ne usurpano il posto.
(VLADIMIR SOLOVʼËV, Il significato dell’amore, Edilibri, Milano 2003, versione Kindle, 57-58%)
Parafrasando quello che dice Solov’ëv: possiamo anche avere delle pulsioni simili a quelle che si trovano in altre specie animali…
…ma c’è un livello più alto – quello spirituale – in base al quale vagliamo, scremiamo, facciamo discernimento tra le istanze più basse (quella animale e quella sociale/morale), per capire quelle che veramente corrispondono al cuore dell’uomo.
Per capire cos’è che è veramente vero, bello e buono tra ciò che l’uomo sente…
…e cosa invece lo distoglie, lo manda fuori strada, gli impedisce di “fare centro nella vita”.
Questo discorso – ovviamente – non si riferisce solo all’ambito omosessuale.
Come sottolinea Solov’ëv, qualsiasi pulsione o fantasma – che sia omosessuale, eterosessuale o slegato dall’ambito sessuale – è «contronatura» se non è vissuto sotto lo sguardo di Dio.
Qualsiasi impulso è «contronatura» se non chiedo a Dio che sia Lui a purificare il mio cuore.
Se non chiedo a Dio che sia Lui ad orientare i miei desiderî verso qualcosa di eterno.
Se non Gli chiedo un cuore nuovo (cfr. Ez 11,19; 36,26).
Se non mi faccio “mendicante di grazia”.
A tal proposito, il filosofo russo fa un esempio paradossale.
(Disclaimer: in quanto affermazione «paradossale», è da prendere con le pinze… ma rimane comunque un’intuizione interessante)
Siete pronti?
Per Solov’ëv, «contronatura» è anche un matrimonio eterosessuale celebrato civilmente.
Perché?
Perché elimina la parte più importante, la parte più alta e sublime delle dimensioni umane: quella spirituale e mistica.
Senza la dimensione spirituale, il matrimonio è un contratto tra due persone, che si impegnano moralmente e socialmente a vivere la propria relazione all’interno di certi vincoli stabiliti dal contesto culturale in cui si vive.
Come scrive lui stesso infatti:
Nell’ambito dell’amore sessuale, anche a prescindere dai varî fenomeni di psicopatia sessuale, per l’uomo non è contronatura soltanto qualsiasi appagamento delle esigenze sensuali che sia disordinato, privo di una superiore illuminazione spirituale e attuato in maniera animalesca, infatti sono altrettanto indegne dell’uomo e contronatura anche tutte quelle unioni tra persone di sesso diverso che si instaurano e si sorreggono fondandosi unicamente sulla legge civile, avendo come soli scopi quelli morali e sociali, ed eliminando o rendendo inincidente il principio propriamente spirituale e mistico dell’uomo.
(VLADIMIR SOLOVʼËV, Il significato dell’amore, Edilibri, Milano 2003, versione Kindle, 57-58%)
La norma assoluta è la restaurazione dell’integrità dell’essere umano, e non rispettare questa norma, quale che possa essere l’infrazione, ha sempre come risultato un fenomeno anormale e contronatura.
(VLADIMIR SOLOVʼËV, Il significato dell’amore, Edilibri, Milano 2003, versione Kindle, 59%)
4 • La finestra di Overton e la parata del Pride
Nella Chiesa c’è tanta confusione sull’omosessualità e sul mondo LGBT+.
La maggior parte dei cristiani non sa nulla di antropologia cristiana.
Anzi: non sa nulla della propria fede in generale!
Non sa in cosa crede…
Non sa in cosa spera…
Non sa cosa significhi «amare»…
Molte sedicenti cristiani credono che «essere cristiani» significhi «comportarsi bene»…
«Fare i bravi»…
«Lisciare il pelo al prossimo»…
Il cristiano medio timbra il cartellino a messa la domenica… poi però fa binge-watching di serie tv woke su Netflix.
Segue influencer LGBT-friendly.
Condivide sui social post con hashtag e slogan apparentemente “inclusivi”, senza capirne le implicazioni.
Partecipa a eventi che promuovono l’ideologia gender senza coglierne le ripercussioni etiche.
Tra l’altro.
A proposito di «eventi»…
…vorrei spendere due parole sulla parata del Pride – la marcia del cosiddetto «orgoglio LGBT».
Oggi siamo “abituati” a questo tipo di manifestazioni…

Perché è successo questo?
Come mai – nel giro di poche generazioni – siamo passati dal pensare una cosa al pensare l’esatto contrario – al punto da biasimare e demonizzare chi pensa in modo simile alle persone di tre generazioni fa?
Non so se conoscete la finestra di Overton.
La finestra di Overton è un modello sociologico che descrive l’insieme di idee considerate accettabili o discutibili in un dato momento nella società.
Prende il nome dal sociologo statunitense Joseph Overton (1960-2003), che la sviluppò per spiegare come le opinioni pubbliche si spostano nel tempo – passando dall’essere inaccettabili e radicali, fino a diventare mainstream e ragionevoli.

Ogni idea – dalla più ordinaria alla più bizzarra – ha una sua posizione nel grafico qui sopra…
…questa posizione però può variare nel tempo.
Le cause in base alle quali un’idea si può spostare nella finestra di Overton sono molteplici:
- il dibattito pubblico
- i media
- gli influencer
- i politici
- gli attivisti
- la pressione sociale
- gli interessi economici
- una certa agenda politica
- etc.
Ebbene.
Riflettendo sul senso della parata del Pride, Antonio Maria Persico (lo psicoterapeuta di cui parlavo nel primo paragrafo) ha scritto queste righe (*):
(*) (nella citazione che vi riporto, Persico parla di «gay-pride» – termine che oggi è ritenuto desueto e superato, in favore di un più generico «pride» o «parata del pride»; questo perché nel mondo LGBT+ ogni tre anni c’è un cambio di nomenclatura di più-o-meno-tutto, per raggiungere l’asintoto della totale inclusività)
Da un altro versante, colpisce il comportamento dei partecipanti alle parate omosessuali del gay-pride, parate alle quali siamo quasi abituati ma che vi chiederò di riesaminare con una certa oggettività, per quanto possibile.
L’ipotesi che la discriminazione sociale abbia spinto gli omosessuali a queste forme di protesta appare molto superficiale.
Esistono, ad esempio, molti gruppi etnici che sono stati oggetto di discriminazione in vari Paesi: non è mai accaduto che essi abbiano scelto delle forme di dimostrazione così grottesche ed al contempo profondamente lesive della propria immagine, come fanno gli omosessuali.
Facciamo un esempio concreto: pensiamo agli italiani immigrati negli Stati Uniti nel diciannovesimo secolo.
Duramente discriminati per decenni, essi reagiscono appropriandosi e reiventando la parata del Columbus Day, che si tiene il 12 Ottobre di ogni anno nelle più grandi città americane, con New York in testa.
E facciamo ora un paragone altrettanto concreto: immaginate di essere un impiegato di banca italo-americano che vive a New York e che decide di partecipare alla sfilata del Columbus Day, magari indossando un costume d’epoca, oppure suonando il clarino in una marching band, o semplicemente sventolando bandierine tricolore e a stelle e strisce.
Poi immaginatevi di essere invece un altro impiegato di banca, che decide di partecipare alla sfilata del gay-pride, alla quale vi presenterete in costume, sfilando su un carro coinvolti in una delle grottesche pantomime tipiche di questi eventi.
Ed ora immaginatevi mentre tornate al vostro posto di lavoro in banca il giorno successivo.
Nel primo caso avrete un mucchio di aneddoti da raccontare, sui quali nessuno avrà nulla da ridire, mentre nel secondo caso i commenti dei colleghi saranno quantomeno conditi di sarcasmo.
Viene quindi da chiedersi perché si sia scelta una modalità di presenza che sembra pensata e strutturata per evocare omofobia.
L’unica spiegazione plausibile è che purtroppo l’omofobia svolge una funzione intrinseca all’identità negativa dell’omosessuale, e non si tratta di una realtà semplicemente esterna ad essa.
Infatti questa tendenza autolesionistica, per certi versi sconvolgente, si riscontra non solo in questa, ma anche in molte altre condizioni apparentemente assai diverse tra loro, che però condividono la presenza di una bassa autostima e di un’immagine molto negative di sé stessi.
È una triste constatazione, ma un’identità negativa di sé ha bisogno di essere costantemente alimentata dalla società, ed ha bisogno di autoalimentarsi costantemente.
(ANTONIO MARIA PERSICO, Omosessualità tra scelta e sofferenza : conoscere per capire, capire per andare oltre, Alpes, Roma 2007, p.40-41)
A tal proposito.
Non so se lo sapete, ma ci sono tantissime persone omosessuali che trovano offensivo il Pride.
Che si vergognano di essere “associate” a questa manifestazione.
Che la percepiscono come un autogoal alla propria causa, perché alimenta un clima di omofobia attraverso comportamenti ed atteggiamenti che – molto spesso – sono privi di pudore e di decenza, o sono semplicemente offensivi (a titolo di esempio, vi lascio qui queste foto… a voi le considerazioni: foto 1, foto 2, foto 3, foto 4).
Non ho dati per affermare quello che sto per dire… ma la mia sensazione è che le persone che hanno tendenze omosessuali e sono infastidite da manifestazioni come la marcia del Pride siano una maggioranza silenziosa…
…maggioranza che però viene mediaticamente zittita da una minoranza LGBT-friendly chiassosa e carnevalesca.
5 • Tendenze omosessuali… e castità
Riavvolgendo un pochino il bandolo della matassa.
Nel precedente paragrafo dicevo che la maggior parte dei cristiani non si è mai formata un pensiero critico sull’omosessualità e sul cosiddetto mondo LGBT+.
Non ha mai letto un libro su questi temi… a meno che non fossero libri mainstream e «a favore di corrente».
Non si è mai interrogata sulle ragioni per le quali il Catechismo dice ciò che dice riguardo agli atti omosessuali, alla castità e alla continenza.
Molti cristiani della domenica pensano che la Chiesa sia «cattiva» o «arretrata rispetto ai tempi» riguardo alle questioni di genere.

Molti sacerdoti – spaventati dalla possibilità di essere criticati o additati come «bigotti» – si sono inventati addirittura «proposte pastorali LGBT» (*), pensando di essere «al passo coi tempi»… mentre invece non si rendono conto di aver abbracciato un’agenda ideologica che – alla radice – conduce queste persone lontane dalla loro felicità.
(*) (Non voglio fare pubblicità gratuita a queste realtà… ma – giusto per farvi capire – esistono anche in Italia)
Qualcuno potrebbe dire: «Ma scusami, Sale, cosa c’è di male se dei sacerdoti accompagnano persone con tendenze omosessuali?».
Di per sé, non c’è nulla di male.
Il problema è «in che direzione» le accompagnano.
Se le accompagnassero cristianamente, sarebbe motivo di gloria e onore per questi sacerdoti.
Il problema però è che – sotto il nome di «proposte pastorali LGBT» – passano un sacco di iniziative nelle quali viene buttato nel cesso buona parte di ciò che la Chiesa insegna su:
- atti omosessuali
- continenza (cioè l’astensione dagli atti sessuali)
- castità
- morale sessuale
Sotto il nome di «proposte pastorali LGBT» spesso si promuovono iniziative che – invece di guidare le persone verso un cammino di fede autentico e coerente con una proposta di vita cristiana – finiscono per confondere, diluire o addirittura contraddire ciò che la Chiesa insegna.
Sotto il nome di «proposte pastorali LGBT» spesso si finisce per adattare il messaggio cristiano alle pressioni culturali del momento, e si finisce per sacrificare la radicalità cristiana con una malintesa idea di inclusività – finendo per allontanare queste persone dall’Unica relazione che porterà una pienezza nel loro cuore.
Al che qualcuno potrebbe dire:
- «Ma scusami, Sale, ma non ti sembra una forzatura imporre alle persone omosessuali di vivere in castità?»
- «Ti sembra un modo caritatevole di accompagnare le persone?»
- «Cosa c’è di cristiano nel castrare qualcuno?»
- «Mi sembra un’imposizione retrograda e medioevale!»
- «È impossibile che una persona omosessuale scelga di vivere in castità e sia felice!»
Ecco.
Questa è una fregnaccia!
Per spiegarvi il perché, vorrei presentarvi Giorgio Ponte (lo trovate qui su Instagram).
Giorgio Ponte (classe ’84) è uno scrittore.
È cristiano cattolico.
Ed è una persona con tendenze omosessuali.
Tra le tante cose di cui si occupa, è il conduttore – insieme a Gaetano – del podcast «A2A2 : il podcast degli uomini liberi» (lo potete trovare su Spotify a questo link).
«A2A2» è un podcast nato da un esperienza condivisa con un gruppo di uomini di età e condizioni di vita diverse (esperienza terminata ormai qualche anno fa – della durata di tre anni), in cui hanno lavorato quotidianamente in un cammino di lavoro giornaliero su sfide legate a ferite dell’identità maschile.
Tra le tante sintomatologie di queste ferite c’è l’attrazione omosessuale (di cui Giorgio e Gaetano offrono la propria testimonianza in prima persona)…
…ma nel podcast Giorgio ha parlato di vari altri temi connessi a questa ferita, che riguardano l’affettività e la sessualità: le dipendenze (sesso, pornografia, masturbazione, dipendenze affettive), l’incapacità di assumersi responsabilità, l’immaturità affettiva, l’incapacità di affrontare i conflitti e/o di gestire la rabbia, la sindrome del «bravo bambino», la crisi del «maschile», etc.
Collateralmente al podcast, Giorgio ha dato vita all’esperienza dei «Combattenti».
I Combattenti sono comunità di uomini (in un secondo momento sono state create anche comunità femminili) che si riuniscono per confrontarsi su cinque ambiti relazionali: il rapporto con te stesso, con Dio, con i tuoi pari, con la famiglia e con l’altro sesso.
Solitamente lavorano in gruppetti più piccoli, legati al territorio; periodicamente però si ritrovano per stare insieme e fare condivisioni di “più largo respiro”.
I gruppi si basano sull’idea di un cammino condiviso, in cui i partecipanti lavorano su di sé per riscoprire una mascolinità sana e una virilità autentica – svincolata da stereotipi sociali, etichette o aspettative esterne. Sono aperti a chiunque – che abbia o meno tendenze omosessuali.
Ebbene.
Giorgio Ponte è una persona che ha tendenze omosessuali e che vive in castità, esercitando la continenza, secondo quanto proposto dalla Chiesa e dal Catechismo (*).
(*) (Disclaimer: con tutte le difficoltà che questo comporta; Giorgio non vuole che nessuno idealizzi la sua figura: nel podcast – in più di un’occasione – ha ammesso di essere «sesso-dipendente»… ha detto spesso che il cammino è faticoso… che ci sono delle cadute – a volte molto rovinose; non vuole fingere di essere la persona che non è… anche perché questo creerebbe una distanza artificiale con le persone)
Ora.
Alcune persone si indignano quando sentono parlare del fatto che le persone con tendenze omosessuali sono chiamate a vivere in castità e gridano all’«omofobia»…
…peccato che questa chiamata non riguarda solo le persone omosessuali!
Ogni persona – fino al momento del matrimonio – è chiamata a vivere la castità nella forma della continenza (senza contare che i sacerdoti sono chiamati a vivere in questo modo per tutta la vita).
Perché la Chiesa propone di vivere in questo modo ad alcune persone?
Qual è il senso?
Vivere la castità nella forma della continenza significa vivere la propria sessualità rispettando il suo significato – che ha il suo compimento nell’unione sponsale e nella procreazione.
Per i non sposati – inclusi i single con tendenze omosessuali o eterosessuali – la continenza è un’espressione di questa castità.
I benefici della continenza sono tantissimi:
- sviluppa l’autocontrollo
- consente di crescere nella libertà interiore
- permette di non essere schiavi degli impulsi sessuali
- favorisce relazioni basate sul rispetto e non sul desiderio
- sviluppa una maturità emotiva
- promuove relazioni autentiche
- prepara ad un amore più maturo
- libera energie per il servizio agli altri
- permette di approfondire la relazione con Dio
- etc.
Non è una repressione, ma una scelta di libertà interiore che conduce ad una pienezza di vita.
Non è qualcosa che svuota, ma che riempie il cuore.
E – ripeto – non è una cosa che vale solo per gli omosessuali.
Io ho tanti amici cristiani eterosessuali non sposati che vivono in questo modo.
Al che qualcuno ribatterà: «Eh, ma questi tuoi amici hanno scelto di non sposarsi… le persone omosessuali non scelgono di essere omosessuali!».
E invece no: conosco moltissime persone single che vorrebbero o avrebbero voluto sposarsi.
Amici ed amiche di venticinque, trenta, trentacinque, quarantacinque e più anni che – per mille motivi che non sto qui ad elencare – non hanno ancora incontrato la «persona giusta».
La troveranno?
Forse sì.
Forse no.
Solo Dio lo sa.
Fino a quel momento, sono chiamati – come le persone con tendenze omosessuali – a vivere in castità e ad esercitare la continenza
Io stesso, fino alla veneranda età di ventinove anni, non ero mai stato fidanzato – pur desiderandolo.
Non c’è nulla di scandaloso nell’essere padroni delle proprie pulsioni – romantiche, erotiche, sessuali.
Invece – complice una forte pressione mediatica – quando si parla della castità e della continenza delle persone omosessuali, c’è sempre qualcuno che si indigna e si scandalizza… come se i testicoli dei gay – solo i loro! – dovessero esplodere da un momento all’altro.
E invece no.
Le persone che hanno tendenze omosessuali possono vivere in continenza… così come noi «comuni mortali etero» – finché non abbiamo trovato la persona giusta – ammesso che la troveremo mai – viviamo nella continenza.
Con questo – ovviamente – non voglio dire che tutte le persone eterosessuali sono creature angelicate: anche tra loro ci sono persone che inciampano, cadono, si rialzano, si confessano…
…come scrivevo sopra, non si tratta di essere dei «perfettini», ma di sapere qual è la mèta verso la quale camminiamo.
Ognuno secondo il proprio passo e le proprie possibilità.
Ma senza ingannarsi – o ingannare gli altri – per una fraintesa idea di libertà.
Conclusione
Come tutte le volte in cui mi trovo a parlare di temi delicati e controversi:
- ho scritto una pagina lunghissima (siamo a quasi 70.000 battute)…
- …ma mi sembra di aver detto poco e nulla.
Come sempre, per chi volesse ulteriormente approfondire, vi rimando ai libri in bibliografia, qui sotto.
Anzi, oggi – più che ai libri in bibliografia – vi rimando al podcast di Giorgio Ponte.
Ascoltatelo.
Fatelo ascoltare.
La testimonianza di Giorgio vale mille volte più di pagine come quella che ho appena scritto, o di tante altre chiacchiere «per sentito dire».
È un bagno di realtà per tutte le persone che pensano che ciò che propone la Chiesa sia irrealizzabile e invivibile.
Non solo è realizzabile… ma è anche una proposta di vita bella!
Certamente è una sfida.
È un combattimento.
È faticoso.
Ma ne vale la pena.
Se ne guadagna in felicità.
E in pienezza di vita.
sale
(Autunno 2025)
- ANTONIO MARIA PERSICO, Omosessualità tra scelta e sofferenza : conoscere per capire, capire per andare oltre, Alpes, Roma 2007
- THÉRÈSE HARGOT, Una gioventù sessualmente liberata (o quasi), Sonzogno, Milano 2017
- GIORGIO PONTE, «A2A2 - Il podcast degli Uomini Liberi», podcast su Spotify