Qual è il ruolo delle donne nella Chiesa?

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1 • «Stare sullo sfondo»

Vi ricordate la gaffe di Amadeus poco prima del Festival di Sanremo del 2020?

Per gli smemorati: durante una conferenza stampa, Amadeus (che in quell’edizione del Festival era direttore artistico) stava presentando alcune donne che sarebbero state ospiti al festival: Diletta Leotta, Rula Jebreal, Monica Bellucci, Sabrina Salerno…

A un certo punto, parlando di Francesca Sofia Novello (fidanzata di Valentino Rossi), Amadeus ha detto di «averla scelta per la bellezza, ma anche per la capacità di stare accanto a un grande uomo, stando un passo indietro».

amadeus stare sullo sfondo

Scherzi a parte.

Ovviamente, neanche a dirlo, si è alzato un polverone gigantesco.

Qualche giorno dopo, Amadeus ha detto in un’altra conferenza stampa che la sua frase era stata fraintesa ed estrapolata dal contesto…

Sarà vero?

«Ai posteri l’ardua sentenza»

Comunque.

Negli ultimi anni, mi è capitato sempre più spesso di assistere a situazioni simili, ovvero:

  • un uomo dice (deliberatamente o inavvertitamente) una frase sgradevole sull’altro sesso;
  • si crea un’onda mediatica di indignazione generale che dura un paio di settimane;
  • la situazione torna allo status quo.

Qualche mese fa, è successo qualcosa di simile anche in àmbito cattolico (*).

(*) (In realtà, il «mondo cattolico» è un sottobosco irrilevante dal punto di vista mediatico, quindi questo aneddoto che sto per raccontare probabilmente sarà ignoto alla maggior parte di voi)

Don Protasio da Strangolagalli (nome inventato, ché non voglio attirare shitstorm su nessuno) – parlando in un’intervista delle figure femminili all’interno della Bibbia – ha usato un’analogia che ha fatto storcere il naso ad alcune persone.

Parola più parola meno, il senso del suo discorso era questo: «Cos’è che rende significativo un dipinto? Certamente il soggetto ritratto… ma anche lo sfondo è molto importante! Anzi, senza lo sfondo, anche le figure in primo piano perdono di senso! Ecco, nella Bibbia ci sono tante figure femminili che fanno da sfondo e dunque danno senso a molte storie fondamentali! E anche la storia della Chiesa è piena di donne straordinarie che – stando sullo sfondo – hanno preparato il terreno per i passi più importanti che la Chiesa ha compiuto!» (*).

(*) (N.b. Non è un virgolettato: ho parafrasato il discorso per evitare che la frase fosse googleabile)

Sebbene la frase di don Protasio avesse significato, tono e intenzioni assai differenti da quelle di Amadeus, alcune delle parole che ha utilizzato rientrano tra quelle che tendono ad urtare la sensibilità odierna.

2 • Criterî mondani e criterî cristiani

Sia i cristiani che i non cristiani si pongono un sacco di domande sul rapporto tra la Chiesa cattolica e le donne:

  • la Chiesa discrimina le donne?
  • Perché i sacerdoti sono solo maschi?
  • Perché non ci può essere una papessa?
  • Perché san Paolo dice che le donne devono essere sottomesse al marito?
suore fanno schifo maurizio costanzo

(*) («Suora tua, chiuso!» è un “rito scaramantico” che si faceva qui a Roma quando io ero piccolo; come spiegato qui, il gioco consisteva in questo: quando qualcuno vedeva una suora, doveva urlare «Suora tua, chiuso!» e toccare un suo amico nelle vicinanze per «passargli la sfiga»; per maggiori dettagli, qui trovate il regolamento ufficiale, con tanto di «suorsfigometro»)

Insomma, le domande su «Chiesa e donne» sono tante…

Prima di rispondere, però, penso che sia fondamentale fissare un “sistema di riferimento”.

In che senso?

Nel senso che per capire se la Chiesa sta facendo «bene» o «male», bisogna capire cosa intendiamo con l’una e l’altra parola.

Molte persone dicono che la Chiesa è più-o-meno misogina, perché usano criterî come:

  • la gerarchia e il potere: chi utilizza questo criterio, pensa alla Chiesa come a una piramide; in cima c’è il Papa, un monarca assoluto maschio etero cisgender; sul gradino più basso invece ci sono i laici.
  • l’esclusività: come probabilmente saprete, il sacramento dell’ordine comporta tre gradi: il diaconato, il presbiterato e l’episcopato. Tutti e tre questi gradi sono riservati agli uomini.
  • la visibilità e la possibilità di «occupare i primi posti»: si tratti di un talk show televisivo, una cerimonia pubblica, o un episodio di Muschio Selvaggio, accade più spesso che l’«ospite cristiano» sia un uomo e non una donna.

Ora.

Vorrei dire ciò che sto per dire con tutta l’umiltà possibile…

Senza nessun tipo di giudizio o bacchettoneria

Cercando di «descrivere», e non di «giudicare»…

Quelli che ho scritto nell’elenco qui sopra sono criterî di giudizio «mondani».

«Mondani» significa che sono i criterî «utilizzati dal mondo».

«Mondani» significa che si basano su un modo di vedere/pensare/giudicare la realtà che è opposto a quello cristiano.

~

Nel suo libro su san Giuseppe, don Fabio Rosini ha scritto una frase che – a mio avviso – dovrebbe essere imparata a memoria.

L’avevo già citata nel blog, ma repetita iuvant:

In tutti gli ambiti abbiamo disperata urgenza di padri verginali – come Dio Padre – gente che non si appropri degli altri, ma sappia coltivarne la bellezza, che sappia consegnare la vita senza rivendicarne la proprietà, che tenga le proprie manacce lontane dalla delicata anima dei giovani, eppure regalando tutto quel che hanno da dare, da insegnare; e che, prima ancora, si preparino ad avere qualcosa da offrire.
Figure che correggano con amore e con sapienza, incoraggiando, valorizzando, mai disprezzando.
Qualcuno che abbia trovato l’equilibrio fra due estremi patologici: stare addosso, in modo asfissiante, oppure distanziarsi tanto da diventare irrilevanti.
Invece bisogna saper stare un passo indietro pur restando al fianco, presenti, affidabili, disponibili.

(FABIO ROSINI, San Giuseppe – Accogliere, custodire e nutrire, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2021, p.18)

Come si evince dal titolo del libro, don Fabio stava parlando di san Giuseppe e della vocazione maschile alla «paternità»… ma penso che questa frase possa essere letta anche in un senso più ampio, riflettendo sulla «vocazione cristiana» in generale.

Cioè?

Non so se tu che stai leggendo sia cristiano, ateo o agnostico.

Ma adesso dirò una cosa un po’ dura da mandare giù.

Soprattutto nel contesto culturale odierno, in cui siamo tutti (io per primo) disperatamente ubriachi di orgoglio

In cui tutti (io per primo) vogliamo il riflettore addosso

Se abbiamo la “faccia di bronzo” di definirci «cattolici», dobbiamo confrontarci con un fatto: «stare sullo sfondo» è una virtù cristiana (*).

(*) (Disclaimer: con questo, OVVIAMENTE non sto giustificando la cafonata di Amadeus. Un conto è «stare sullo sfondo» all’interno della Chiesa, imitando Gesù, per amare meglio Dio e le persone che Dio ci mette accanto… altra cosa è la beceraggine del presentatore di Sanremo)

Questa cosa non riguarda le donne, ma ogni persona che voglia seguire (per davvero) il Carpentiere Galileo…

Tante (troppe) persone che aprono la bocca per parlare del «ruolo della donna nella Chiesa» hanno perso di vista l’unico criterio che conta.

E qual è questo criterio?

L’unico criterio è la santità (*).

(*) (come dicevo l’anno scorso, la santità non consiste nel fare tante rinunce e sacrifici, nel sorridere sempre ad ogni costo, o nello «sforzarsi» di essere bravi… per chi volesse approfondire, lo rimando a quest’altra pagina del blog)

E, come diceva Giovanni Paolo II, «la santità non si misura sulla gerarchia, ma sull’amore» (GIOVANNI PAOLO II, Mulieris Dignitatem, n.27)

Insomma.

Tanto per fare un esempio.

Se pensate che la questione maschile/femminile all’interno della Chiesa possa essere risolta distribuendo in modo proporzionale “i primi posti”… mi dispiace, ma siete lontani dalla verità!

«Santità» spesso significa occupare l’ultimo posto.

Quando papa Clemente VIII ha offerto a Filippo Neri (1515-1595) il titolo di cardinale, il santo ha declinato l’invito con la famosa battuta «Preferisco il paradiso!».

Infatti:

Chi dimanda altra cosa che non sia Christo non sa quello che dimanda.
Chi opera e non per Christo non sa quello che si faccia.

(FILIPPO NERI, citato in EDOARDO ALDO CERRATO, «Chi cerca altro che Cristo… : massime e ricordi / san Filippo Neri», San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), p.58)

3 • Perché le donne non possono essere sacerdoti?

Se qualcuno si è trovato in disaccordo con il precedente paragrafo, può terminare qui la lettura.

Infatti, da qui in poi, l’unico criterio in base al quale valuterò la posizione della Chiesa rispetto alla «questione femminile» è quello della santità.

Gli altri criterî – potere, ruoli, incarichi, visibilità – non mi interessano.

Anzi, non solo non mi interessano: ma trovo anche sciocchi e infantili i discorsi di certi teologi (e teologhe) che si basano su questi principî…

teologa teologhessa

Se è chiaro l’unico criterio che mi interessa, inizierei ad interrogarmi su una delle domande che viene posta più spesso quando si parla del «ruolo delle donne nella Chiesa»

…ovvero: perché le donne non possono fare i sacerdoti?

Questa domanda, di solito, sottointende pensieri come:

  • avere la possibilità di fare il sacerdote (se lo si vuole) è meglio di non avere questa possibilità;
  • le donne – non potendo fare questa scelta – sono private di un diritto;
  • le donne – non potendo fare questa scelta – sono tagliate fuori dalla «gerarchia» della Chiesa cattolica.

(Fermatevi un secondo a rileggere questi punti, e confrontateli con i criterî di giudizio «mondani» di cui parlavo nel precedente paragrafo)

Fin troppe persone pensano al sacerdozio come a una condizione di potere.

Purtroppo, la storia è piena di esempî di sacerdoti (presbiteri, vescovi, cardinali, papi) che hanno esercitato il proprio ministero seguendo una logica mondana.

Ma la soluzione di fronte a questa deformazione non è quella di far sì che anche le donne adottino questa mentalità.

La soluzione consiste nel cambiare mentalità e adottare un criterio di giudizio «cristiano».

Il sacerdozio infatti non è questione di potere, ma di servizio.

~

A questo punto, qualcuno potrebbe chiedere: «Ok, ma se è una questione di servizio, perché le donne non possono servire all’interno della Chiesa secondo la “modalità sacerdotale”?».

Ecco.

Questa domanda mi sembra già più interessante.

O, per lo meno, mi sembra orientata nella direzione giusta.

Neanche a dirlo, penso che la risposta sia molto complessa.

Prima di tutto, perché viviamo in un contesto culturale nel quale le differenze di genere sono state culturalmente appiattite.

Oggi, se qualcuno si azzarda a interrogarsi sulla differenza tra la «natura maschile» e la «natura femminile», viene messo a tacere prima ancora che la domanda possa essere posta.

Dunque.

Tanto per cominciare, direi questo.

La Chiesa (*) crede che esista una differenza tra maschile e femminile – non solo biologica, ma anche psicologica e spirituale.

(*) (In realtà, anche uno sterminato numero di psicologi non cristiani dice la stessa cosa: da Carl Gustav Jung a Melanie Klein, da Donald Winnicott ad Alexander Lowen, da Viktor Frankl ad Antoine Vergote, e svariate decine di altri nomi illustri)

Di questa differenza, in realtà, avevo già parlato qualche mese fa.

Per chi fosse interessato, lo rimando a quest’altra paginetta del blog in cui parlavo di «maschile» e «femminile».

~

Accanto alle differenze “antropologiche”, esiste una ragione teologica per la quale i sacerdoti sono solo maschi: la volontà di Gesù.

Come probabilmente tutti voi saprete, i sacerdoti non sono altro che i successori dei dodici apostoli (*).

(*) (tecnicamente, i successori dei dodici apostoli sarebbero i vescovi; i quali poi sono aiutati nel loro ministero dai sacerdoti… ma non facciamo Hermione Granger)

Di fronte alla scelta di Gesù, molte persone si sono chieste:

  • Perché Gesù ha scelto solo uomini tra i dodici apostoli?
  • Non potremmo pensare che Gesù, in quanto uomo del primo secolo, è stato fortemente condizionato dalla cultura ebraica, nella quale le donne godevano di molti meno diritti e il loro ruolo era subordinato?
  • Non dovremmo “ricalibrare” il suo insegnamento, astraendolo dalla cultura in cui Gesù ha predicato, per “riadattarlo” al terzo millennio?

A queste domande hanno risposto schiere di santi, dottori della Chiesa e pontefici nel corso dei secoli.

Senza perdersi in chiacchiere però, secondo me una risposta semplice ed esaustiva l’ha data Giovanni Paolo II (1920-2005) nel 1988.

In quell’anno infatti, il papa ha scritto una lettera apostolica sulla dignità e la vocazione della donna

…che secondo me è una lettura obbligatoria per tutti quei cristiani e quelle cristiane che dicono di avere a cuore la «causa femminile».

Ecco cosa ha scritto il papa a proposito della scelta di Gesù di avere dodici apostoli tutti maschi:

Sull’ampio sfondo del «grande mistero», che si esprime nel rapporto sponsale tra Cristo e la Chiesa, è possibile anche comprendere in modo adeguato il fatto della chiamata dei «Dodici».
Chiamando solo uomini come suoi apostoli, Cristo ha agito in un modo del tutto libero e sovrano.
Ciò ha fatto con la stessa libertà con cui, in tutto il suo comportamento, ha messo in rilievo la dignità e la vocazione della donna, senza conformarsi al costume prevalente e alla tradizione sancita anche dalla legislazione del tempo.
Pertanto, l’ipotesi che egli abbia chiamato come apostoli degli uomini, seguendo la mentalità diffusa ai suoi tempi, non corrisponde affatto al modo di agire di Cristo.
«Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità (…), perché non guardi in faccia ad alcuno» (Mt 22, 16).
Queste parole caratterizzano pienamente il comportamento di Gesù di Nazareth.
In questo si trova anche una spiegazione per la chiamata dei «Dodici».
Essi sono con Cristo durante l’ultima Cena; essi soli ricevono il mandato sacramentale: «Fate questo in memoria di me» (Lc 22, 19; 1 Cor 11, 24), collegato all’istituzione dell’Eucaristia.
Essi, la sera del giorno della risurrezione, ricevono lo Spirito Santo per perdonare i peccati: «A chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi» (Gv 20, 23).
[…]
Se Cristo, istituendo l’Eucaristia, l’ha collegata in modo così esplicito al servizio sacerdotale degli apostoli, è lecito pensare che in tal modo egli voleva esprimere la relazione tra uomo e donna, tra ciò che è «femminile» e ciò che è «maschile», voluta da Dio sia nel mistero della creazione che in quello della redenzione.
Prima di tutto nell’Eucaristia si esprime in modo sacramentale l’atto redentore di Cristo Sposo nei riguardi della Chiesa Sposa.
Ciò diventa trasparente ed univoco, quando il servizio sacramentale dell’Eucaristia, in cui il sacerdote agisce «in persona Christi», viene compiuto dall’uomo.
E’ una spiegazione che conferma l’insegnamento della Dichiarazione Inter insigniores, pubblicata per incarico di Paolo VI per rispondere all’interrogativo circa la questione dell’ammissione delle donne al sacerdozio ministeriale (Cf. Congr. per la Dottrina della Fede, Dichiarazione circa la questione dell’ammissione delle donne al sacerdozio ministeriale Inter insigniores, 15 ottobre 1976).

(GIOVANNI PAOLO II, lettera apostolica Mulieris Dignitataem, n.26)

Insomma, per dirla con le parole del giornalista e filosofo Bruno Mastroianni (classe ’79):

Su questo si può fare un reframing ribaltante: la donna-sacerdote […] è frutto di quella idea di parità subalterna che spesso affligge la nostra società: per accontentare le donne gli diamo qualcosa tipico degli uomini.

(BRUNO MASTROIANNI, Parlare di fede in TV : breve corso di Media Training per farsi capire sul piccolo schermo, Edusc, Roma 2017, versione Kindle, 56%)

4 • Papa Francesco e il “sacerdozio femminile”

In occasione dell’incontro con i partecipanti alla XXI assemblea plenaria dell’«Unione Internazionale delle Superiore Generali» (UISG), una suora tedesca ha posto a papa Francesco questa domanda:

Parlo per molte donne che vorrebbero servire il popolo di Dio ma con gli stessi diritti, e speriamo oggi non solo di trovare la risposta alla questione del ruolo delle donne nella Chiesa su base storica e dogmatica: certo, abbiamo bisogno anche di queste fonti della rivelazione, ma abbiamo bisogno anche della forza di Gesù, di quel modo con cui Gesù ha trattato le donne. E quali risposte possiamo trovare oggi, nel XXI secolo, a queste domande? La prego di cuore di continuare a riflettere su questo, in seno alla commissione, affinché non siano consultate solamente le fonti storiche e dogmatiche, ma cerchiamo di capire di cosa ha bisogno l’umanità di oggi, dalle donne, dagli uomini, da tutto il popolo di Dio.

(dall’incontro con i partecipanti alla XXI assemblea plenaria dell’«Unione Internazionale delle Superiore Generali» (UISG), 10 maggio 2019)

Ora.

Non so se sapete cosa sta succedendo nella chiesa cattolica in Germania da qualche anno a questa parte.

cammino sinodale tedesco georg bätzing

Comunque.

Di preciso, cosa ha chiesto la suora tedesca al papa?

La domanda è un po’ vaga…

Un po’ allusiva…

Un po’ dico/nondico

…ma io che sono un po’ malizioso, ho letto tra le righe questo sottointeso: «Caro papa, chissene frega della tradizione della chiesa e delle ragioni teologiche che la sostengono… quando le facciamo le donne-prete?».

Come le ha risposto papa Francesco?

Ha iniziato in modo molto educato, recuperando dalla domanda della suora tutto ciò che stava dicendo di vero:

È vero quello che Lei dice, che la Chiesa non è soltanto il Denzinger, cioè la collezione di passi dogmatici, di cose storiche. Questo è vero. Ma la Chiesa si sviluppa nel cammino nella fedeltà alla Rivelazione. Noi non possiamo cambiare la Rivelazione.

(PAPA FRANCESCO, dall’incontro con i partecipanti alla XXI assemblea plenaria dell’«Unione Internazionale delle Superiore Generali» (UISG), 10 maggio 2019)

Il papa poi ha tenuto a precisare cosa vuol dire che c’è uno sviluppo nella Chiesa e nella Rivelazione, ossia che «cresce, cresce con gli anni; è in crescita continua, non cambia, cresce, si allarga con il tempo. Si capisce meglio, e con gli anni si sublima» (Ibidem).

Dopodiché il papa ha fatto il gesuita.

In che senso?

Dato che la suora ha posto la domanda sull’ordinazione femminile in modo vago, anche il papa ha fatto il vago su questo punto…

…ed ha terminato la propria risposta con tre puntini di sospensione – che però sono stati molto eloquenti:

Credo che, sebbene io non abbia risposto a tutte le sfumature che c’erano nella domanda della madre, funzionalmente questa è la risposta.
È vero: non ci aiuteranno solo le definizioni dogmatiche, le cose storiche, non solo.
Ma non possiamo andare oltre la Rivelazione e l’esplicitazione dogmatica.
Capito questo? Siamo cattolici.
Se qualcuno vuol fare un’altra Chiesa è libero, ma
[[ NOTA: i puntini di sospensione sono del Papa, che lascia la frase volutamente in sospeso ]]

(PAPA FRANCESCO, dall’incontro con i partecipanti alla XXI assemblea plenaria dell’«Unione Internazionale delle Superiore Generali» (UISG), 10 maggio 2019)

~

Neanche a dirlo, ci sono state altre occasioni in cui papa Francesco ha avuto modo di essere più esplicito, quando gli è stato chiesto di rendere ragione dell’impraticabilità del sacerdozio femminile.

Una di queste è stata in occasione della pubblicazione del libro-intervista scritto a quattro mani con don Luigi Maria Epicoco.

Ecco cosa ha detto il papa:

Molto spesso, quando mi viene posta la questione del sacerdozio femminile, io dico che non soltanto sono d’accordo con Giovanni Paolo II, ma che la questione non è più in discussione, perché il pronunciamento di Giovanni Paolo II è stato definitivo. Quello che secondo me però a volte dimentichiamo, è che leggiamo la questione femminile e la questione del sacerdozio in termini funzionali, dimenticando che in termini invece di importanza, Maria ha un ruolo e una dignità superiore a quella degli apostoli.
[…]
La lezione della donna è questa: la lezione di Maria. La donna è colei che riesce a fare spazio a questa fatica del cuore.
È colei che insegna alla Chiesa ad attraversare la notte e a fidarsi del giorno quando ancora il giorno è lontano.
[…]
Mi è capitato di dire a una comunità monastica femminile che l’unica lampada accesa del sepolcro è quello dell’amore pieno di speranza della madre. Infatti, quando tutti sono rassegnati alla morte di Cristo, solo le donne e soprattutto Maria sperano, attendono e diventano così le prime testimoni della resurrezione.
Per questo ho voluto ad esempio che Maria Maddalena ricevesse una particolare menzione liturgica e giustamente potesse essere chiamata l’apostola degli apostoli, così come Maria nei secoli è stata riconosciuta come Madre degli apostoli.
Infatti, nel testo degli Atti degli Apostoli, quando si parla della prima comunità cristiana riunita nel cenacolo si fa menzione proprio di lei, che tiene le fila delle fragilità dei primi momenti di vita di una Chiesa nascente che impara ad ascoltare, a pregare, a stare in comunione.
Quindi, come potrebbe la Chiesa fare a meno di un apporto così significativo?
Il ruolo della donna trascende la semplice funzionalità.

(PAPA FRANCESCO, LUIGI MARIA EPICOCO, San Giovanni Paolo Magno, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2020, p.93)

In un’altra occasione ancora, papa Francesco era tornato su quest’ultimo punto, ovvero che se pensiamo al “ruolo” delle donne nella Chiesa (soltanto) in termini di «funzionalità» siamo fuori strada:

Il posto della donna nella Chiesa non è soltanto per la funzionalità.
Sì, certo, può anche essere capo dicastero.
Nella nomina del capo del Dicastero dell’Economia, dell’altro giorno, nella lista finale c’erano due donne; potevano essere capo dicastero.
Questa è la funzionalità.
Ma è molto importante il consiglio della donna.
Una delle vostre Sottosegretarie, nell’incontro dei Presidenti delle Conferenze episcopali a febbraio sull’abuso, ha fatto sentire un’altra musica, un altro modo di vedere e pensare.
E questo ha arricchito.
Posti di governance, di consiglio, ma che non finisca solo nella funzionalità.
E su questo non abbiamo lavorato ancora.
Il ruolo della donna nell’organizzazione ecclesiale, nella Chiesa va oltre, e dobbiamo lavorare su questo oltre, perché la donna è l’immagine della Chiesa madre, perché la Chiesa è donna; non è “il” Chiesa, è “la” Chiesa.
La Chiesa è madre.
La Chiesa è capace di portare avanti questa realtà e la donna ha un’altra funzione.
Non deve avere lavoro funzionale, ma il lavoro va oltre.
È quel principio mariano proprio della donna; una donna nella Chiesa è l’immagine della Chiesa sposa e della Madonna.

(PAPA FRANCESCO, Discorso ai partecipanti alla plenaria del dicastero per i laici, la famiglia e la vita, 16 novembre 2019)

Insomma.

Non è questione di proporzioni.

Non è questione di quote rosa.

Non è questione di scaldare poltrone.

È questione di valorizzare la differenza tra «maschile» e «femminile»:

Nella Chiesa così come nella società non serve una femminilizzazione di ruoli maschili ma una valorizzazione piena della realtà femminile.
Non deve finire pari, la donna deve “vincere” in ciò in cui è migliore.

(BRUNO MASTROIANNI, Parlare di fede in TV : breve corso di Media Training per farsi capire sul piccolo schermo, Edusc, Roma 2017, versione Kindle, 57%)

E come faccio – che io sia un uomo o una donna – a «“vincere” in ciò in cui sono migliore»?

Penso che la risposta sia molto semplice: rimanendo fedele al Signore, lì dove mi chiama: Pietro, Giacomo e Giovanni erano apostoli; Maria di Màgdala, Maria e Marta di Betania, Salome e Susanna non erano apostole… ma non per questo erano meno amate da Gesù (su questo, vi rimando all’ultimo paragrafo, più in basso).

5 • L’imitazione di Maria

Qualche vignetta più sopra, scherzavo sul fatto che le suore facciano «più schifo» dei preti.

Sapete qual è un’altra cosa che fa «veramente schifo» a un sacco di gente?

La Madonna.

Cioè…

Provate a pensarci…

Gesù poteva pure essere mite, umile di cuore, mansueto, misericordioso… però è innegabile che sia un bell’esempio di virilità

Maria di Nazareth, al contrario, suscita repulsione a tantissime persone: nell’immaginario collettivo, saltano subito alla mente le statue di plastica nelle parrocchie di periferia, le medagliette miracolose, le bottigliette a forma di Madonna con l’acqua benedetta di Lourdes…

canti popolari mariani

Tra l’altro, penso che negli ultimi due millennî di storia, non ci sia stata un’epoca in cui la Madonna abbia suscitato maggior repulsione di quella in cui viviamo.

Perché dico questo?

Beh, perché Maria è «vergine» e «madre».

E nel mondo moderno, queste due condizioni hanno una connotazione fortemente negativa:

  • «Cioè, mi stai dicendo che sei ancora vergine!? Alla tua età!? Ma come è possibile?»
  • «Ah, sei rimasta incinta! Cavolo, mi dispiace molto! Adesso è finita la bella vita!»
  • «Un figlio prima dei trent’anni? Oh, la vita è la tua… io però penso che prima dei trentacinque anni mi concentrerò su me stessa…»

Su queste due parole, ci sarebbe tanto da dire.

Per chi volesse approfondire, sulla verginità avevo speso qualche parola in quest’altra pagina del blog, in cui dicevo che la chiamata cristiana alla verginità non ha a che fare (principalmente) con una condizione fisica, ma con un «modo di essere» e un «modo di stare nella realtà».

Per quanto riguarda invece la maternità, in quest’altra pagina in cui parlavo del rapporto tra maschile e femminile, provavo a dire due parole sulla chiamata maschile alla paternità, e la chiamata femminile alla maternità – nel senso più ampio di queste parole (il fatto di non avere figli biologici – per natura o per scelta – non ti impedisce di essere «padre» o «madre» di tante persone che Dio ti affida).

Insomma.

Se parole come «verginità» o «maternità» ci infastidiscono, forse potremmo chiederci: «perché?»

Cos’è che mi dà fastidio?

Qual è il metro di giudizio con cui mi confronto con queste parole? È un metro di giudizio «cristiano»? Oppure è un metro di giudizio «mondano»? Riesco a riconoscere la differenza?

Se sono cristiano e non riesco a riconoscere che il mio metro di giudizio è mondano, corro un grande rischio.

Quale?

Quello di avere una visione distorta su tanti aspetti della vita cristiana:

  • rischio di non vedere l’umiltà come una virtù cristiana, ma come un handicap;
  • rischio di credere che la purificazione del cuore non sia l’ossigeno che respira un cristiano, ma «roba da Pollyanna»;
  • rischio di pensare che il distacco dalle cose – che dovrebbe servire a far posto a Dio, togliendo dalla mia vita ciò che è di ostacolo – diventi una «mortificazione»;
  • rischio di credere che la sobrietà non sia una virtù cristiana, ma «scarsa cura di sé»;
  • e così via…

Insomma.

Ho fatto una carrellata di esempî giusto per toccare alcuni temi sui quali molti cristiani sono confusi.

Ecco.

Neanche a dirlo, la confusione è moltiplicata per cento quando parliamo di Maria!

Nel migliore dei casi, Maria è vista come una figura superflua per la propria fede…

…e nel peggiore dei casi, è guardata con fastidio.

Bene.

Lasciatemi dire una cosa fastidiosa.

Nella vita di un cristiano – e ancor più di una cristianaMaria non è e non può essere un accessorio secondario».

I cristiani – e ancor più i cattolici – non possono pensare che la devozione a Maria sia qualcosa di sorpassato… di naïf… di cringe

Qualche mese fa avevo fatto un post su Instagram in cui parlavo del libro «La donna. Il suo compito secondo la natura e la grazia», scritto dalla filosofa e mistica tedesca Edith Stein (1891-1942).

Secondo me quel libro dovrebbe essere letto.

E riletto.

Nei seminarî.

Nelle parrocchie.

Nei convegni dei teologi… e delle teologhe.

Vi riporto qualche stralcio nelle prossime righe:

Al centro della storia umana, e ancor più al centro della storia muliebre, sta quella donna, in cui la maternità ha raggiunto la sua suprema esaltazione e insieme, intesa come maternità corporea, il suo superamento.

(EDITH STEIN, La donna. Il suo compito secondo la natura e la grazia, Città Nuova, Roma 2018, p.216)

Ella perciò esce dall’ordine naturale, e si pone come Corredentrice al fianco del Redentore.

(EDITH STEIN, La donna. Il suo compito secondo la natura e la grazia, Città Nuova, Roma 2018, p.217)

Maria è veramente un modello da imitare.

Se la Chiesa smette di proporre Maria come modello per i cristiani – e ancor più per le cristianefallisce nel suo ruolo di madre.

E questa cosa non la dico io, ma Edith Stein:

Se Maria è il prototipo della genuina femminilità, la imitazione di Maria deve essere lo scopo dell’educazione delle ragazze.

(EDITH STEIN, La donna. Il suo compito secondo la natura e la grazia, Città Nuova, Roma 2018, p.219)

La sequela di Maria è doverosa non solo per le donne, ma per tutti i cristiani.
Anche se per le donne essa ha tuttavia un significato specifico: le conduce ad esprimere in modo a loro conforme, in modo femminile, l’immagine di Cristo.

(EDITH STEIN, La donna. Il suo compito secondo la natura e la grazia, Città Nuova, Roma 2018, p.220 )

Leggendo queste frasi, qualcuno potrebbe pensare che io stia citando una bizzoca da quattro soldi.

maschilismo interiorizzato

In realtà, come accennavo nella paginetta su maschile/femminile, durante gli anni universitarî Edith Stein (che in quel periodo era atea) è stata molto attiva nel Partito Democratico Tedesco (DDP) e nelle battaglie per i diritti delle donne: da quelle per ottenere il voto, a quelle per integrare le donne nel mondo lavorativo moderno.

Prima di essere una filosofa, Edith Stein era una donna attenta ai cambiamenti culturali e sociali; e tutto questo si riflette nel suo pensiero.

~

C’è un altro aspetto della vita di Maria che è visto di cattivo occhio da tanti cristiani… e da tante cristiane: il fatto che si presenti davanti all’angelo Gabriele come «serva del Signore».

Scandalo!

La parola «serva», ai nostri giorni, ha in sé una stratificazione di accezioni negative:

  • maschilismo
  • anti-femminismo
  • umiliazione
  • subordinazione
  • sottomissione

Ecco.

Come ho già detto più volte lungo la paginetta, se di fronte alla parola «serva» ci sentiamo infastidire, il motivo è il medesimo: stiamo usando un criterio di giudizio mondano.

Ripeto ancora una volta: la santità non è questione di potere, ma di servizio.

La natura della donna, natura decaduta e degenerata, puiò essere risollevata alla sua purezza e innalzata all’altezza del suo ethos vocazionale, solo se ella si dona tutta a Dio.
Sia che viva nella sua casa come madre, o si metta in luce nella vita pubblica, o trascorra i suoi giorni tra le mura silenziose del chiostro, ovunque ella deve essere la serva del Signore.
Come lo fu la madre di Dio, in tutte le situazioni della sua vita: da giovanetta nel sacro recinto del tempio, nelle serenità delle faccende domestiche a Betlemme e a Nazaret: ma anche come guida degli apostoli e della prima comunità cristiana dopo la morte del suo figlio.
Ogni donna sia una copia della madre di Dio, sia una sposa di Cristo, sia un apostolo del cuore divino; tutte allora corrisponderanno appieno alla loro vocazione femminile, indipendentemente dalle circostanze e dall’attività esteriore in cui hanno da realizzare il grande compito della loro vita.

(EDITH STEIN, La donna. Il suo compito secondo la natura e la grazia, Città Nuova, Roma 2018, p.62)

Se qualche cristiano/a pensa che l’espressione «serva del Signore» abbia un’accezione denigratoria o maschilista, si sbaglia di grosso.

Tanto per cominciare, questa espressione non se l’è inventata Edith Stein, ma sono le parole di Maria nel Vangelo (Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola»; Lc 1,38).

Inoltre, non so se avete presenti i brani del «servo di Jahvè (o «servo sofferente»)?

Per chi non lo conoscesse, il servo di Jahvè è una figura che compare in quattro passi del libro del profeta Isaia (Is 42,1-4; 49,1-6; 50,4-9; 52,13-53,12), ed è una chiara allusione a Gesù.

Ogni cristiano è chiamato al servizio.

Ed ogni cristiana.

Come dicevo prima, però, la modalità con cui ciascuno è chiamato a servire dipende dal modo in cui il Signore chiama.

Insomma.

Per tornare alla questione del sacerdozio femminile, ecco cosa scriveva Edith Stein:

Eccoci perciò giunti al problema difficile e contestato del sacerdozio della donna.
Se consideriamo il modo di agire del Signore su questo punto, vediamo che egli accolse le donne al servizio amoroso di sé e dei suoi e che tra i suoi discepoli e più intimi confidenti vi erano anche donne… ma ad esse egli non affidò il sacerdozio, neppure alla propria Madre, la regina degli apostoli, eccelsa, per umana perfezione e per pienezza di grazia, al di sopra di tutta l’umanità.
La Chiesa primitiva conosce una molteplice attività caritativa muliebre nella comunità, una potente opera apostolica di donne che furono confessori e martiri; conosce le vergini consacrate al servizio liturgico e in un ufficio ecclesiastico, il diaconato femminile, costituito da una particolare consacrazione (cfr. H.V. BORINGEN, Rechtsstellung der Frau in der Katholischen Kirche, Lipsia 1931)…; ma neppure essa ha introdotto il sacerdozio femminile.
L’ulteriore sviluppo storico portò una limitazione negli uffici affidati alla donna, e ad un suo generale scadimento giuridico, per influsso delle concezioni dell’Antico Testamento e del diritto romano.
I tempi moderni segnano un’ascesa dovuta al forte desiderio delle donne di dedicarsi nella Chiesa al lavoro caritativo e pastorale.
Non mancano anche tentativi e sforzi per ottenere di nuovo che questa attivitò sia confortata da una consacrazione ecclesiastica, e può essere ben possibile che questo desiderio trovi un giorno ascolto.
Il problema è se questo non sia un primo passo sulla strada che vorrebbe condurre al sacerdozio femminile.
Dal punto di vista dogmatico mi pare che non ci sia nulla per cui la Chiesa non possa attuare queste innovazioni alle quali finora non si è dato ascolto.
Se esse poi siano raccomandabili o no da un punto di vista pratico vi sono motivi in pro e in contro.
Contro di loro parla tutta la tradizione, dai primi tempi fino a oggi, e più ancora, mi sembra, quella misteriosa realtà, cui ho già accennato: che cioè Cristo è venuto sulla terra come figlio dell’uomo, e che la prima creatura strutturata in modo eminente a immagine di Dio fu un uomo.
Ciò mi pare una dimostrazione che i rappresentanti ufficiali del Signore sulla terra debbano essere uomini.

(EDITH STEIN, La donna. Il suo compito secondo la natura e la grazia, Città Nuova, Roma 2018, p.97-98)

6 • Le donne nella storia della Chiesa

Prima di chiudere la paginetta, vorrei dire un’ultima scempiaggine.

Allooora.

Io non credo di avere gli occhi foderati di prosciutto.

E non credo di venire dalla montagna del sapone.

So bene che nel corso della storia le donne sono state pesantemente discriminate:

  • sul lavoro;
  • in ambito politico;
  • nei varî ambiti socio-culturali;
  • tra le mura domestiche;
  • a scuola;
  • all’università;
  • ovunque.

Però so altrettanto bene che le donne non sono MAI state discriminate a causa del cristianesimo.

Con questa frase NON voglio dire che i cristiani non abbiano mai discriminato una donna.

Quello che voglio dire è che tutte le volte che un cristiano (o sedicente tale) ha mancato di rispetto ad una donna, non è stato MAI a causa del cristianesimo… ma per una MANCANZA di cristianesimo.

Come provavo a spiegare lo scorso inverno, l’origine del maschilismo non è un «problema di educazione»; l’origine del maschilismo è il peccato originale! E Cristo è morto e risorto PROPRIO per salvare l’umanità dal peccato.

~

Ora sto per dire una cosa ancora più molto antipatica.

E dato che sarà molto antipatica, vi chiederei cortesemente di darmi il tempo di spiegarmi, prima di indispettirvi.

Negli ultimi tempi, mi è capitato spesso di sentire donne lamentarsi del fatto che «non trovavano posto nella Chiesa».

Secondo me, la quasi totalità di queste lamentele è basata su una mancanza di umiltà.

Dio ha sempre trovato posto per le donne nella Chiesa.

La maggior parte delle persone che esprime questo dissenso, usa i criterî di valutazione mondani di cui parlavo qualche paragrafo più sopra:

  • la fama
  • l’autorità
  • la possibilità di avere i riflettori addosso
catechisti originali

Anche in questo caso invece l’unico criterio in base al quale dovremmo valutare se le donne abbiano o meno un posto in Chiesa è la possibilità di diventare sante (*).

(*) (scusate se mi ripeto, ma la santità non è quella cosa diabetica e petalosa che vi viene in mente a bruciapelo – stile Ned Flanders, ma questa cosa qui)

In queste poche righe non ho il tempo di fare una disamina di tutte le sante donne che nel corso dei secoli hanno reso la Chiesa più bella.

Però provo a dire due scempiaggini, usando come canovaccio ciò che ha scritto Giovanni Paolo II nella lettera apostolica che ho citato più sopra.

Nella lettera, il papa ha fatto un elenco delle donne che hanno conosciuto Gesù di persona:

Nella storia della Chiesa, sin dai primi tempi c’erano – accanto agli uomini – numerose donne, per le quali la risposta della Sposa all’amore redentore dello Sposo assumeva piena forza espressiva.
Come prime vediamo quelle donne, che personalmente avevano incontrato Cristo, l’avevano seguito e, dopo la sua dipartita, insieme con gli apostoli «erano assidue nella preghiera» nel cenacolo di Gerusalemme sino al giorno di Pentecoste.
In quel giorno lo Spirito Santo parlò per mezzo di «figli e figlie» del Popolo di Dio, compiendo l’annuncio del profeta Gioele (cf. At 2, 17).
Quelle donne, ed in seguito altre ancora, ebbero parte attiva ed importante nella vita della Chiesa primitiva, nell’edificare sin dalle fondamenta la prima comunità cristiana – e le comunità successive – mediante i propri carismi e il loro multiforme servizio.
Gli scritti apostolici annotano i loro nomi, come Febe, «diaconessa di Cencre» (cf. Rm 16, 1), Prisca col marito Aquila (cf. 2 Tim 4, 19), Evodia e Sintiche (cf. Fil 4, 2), Maria, Trifena, Perside, Trifosa (cf. Rm 16, 6. 12).
L’apostolo parla delle loro «fatiche» per Cristo, e queste indicano i vari campi del servizio apostolico della Chiesa, iniziando dalla «chiesa domestica». In essa, infatti, la «fede schietta» passa dalla madre nei figli e nei nipoti, come appunto si verificò nella casa di Timoteo (cf. 2 Tm 1, 5).

(GIOVANNI PAOLO II, lettera apostolica Mulieris Dignitataem, n.26)

Tra le persone che seguivano Gesù, c’erano molte donne.

Alcune di loro, erano sue parenti o parenti dei suoi discepoli:

  • Maria (sua madre);
  • la sorella di Maria (cfr. Gv 19,25);
  • un’altra Maria, madre di Giacomo il Minore e di Ioses/Giuseppe (cfr. Mt 27,56; Mc 15,40; Lc 24,10);
  • Maria di Cleofa (tra gli esegeti si discute se questa Maria coincida con la madre di Giacomo il Minore e di Ioses, o si tratti di un’altra Maria; per chi volesse approfondire, lo rimando a questa pagina di Wikipedia), che secondo lo scrittore cristiano Egesippo, era la sorella di Giuseppe e, forse, di Salomè, madre di Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo (cfr. EUSEBIO DI CESAREA, Historia ecclesiastica 3,2);

Altre, invece, erano donne che Gesù aveva guarito «da spiriti cattivi e da infermità» (Lc 8,2):

  • Maria di Magdala (cfr. Mc 15,40; Lc 24,10)
  • Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode (Lc 8,3; Lc 24,10)
  • Susanna (Lc 8,2-3)

Il papa cita poi molte altre donne, che compaiono nell’epistolario paolino e che sono attivamente coinvolte nella Chiesa dei primi anni: Febe, Prisca, Trifena, Perside, etc.

Cosa si può dire di tutte queste donne?

Beh, tanto per cominciare, se si confronta la loro testimonianza di vita (e di fede) con quella degli apostoli, molte di queste donne mostrano di essere discepole più fedeli degli uomini – la testimonianza più emblematica di questo è il fatto che sul Calvario, sotto la croce, ci siano le donne e non gli apostoli (cfr. Gv 19,25).

Inoltre, Gesù affida la prima testimonianza della sua risurrezione ad una donna: si tratta di Maria di Magdala (cfr. Gv 20,11-18), la quale è stata definita da Tommaso d’Aquino «Apostola degli apostoli».

Nonostante questo, se leggiamo il Nuovo Testamento o i cosiddetti Padri Apostolici (autori cristiani i cui testi sono stati scritti tra la fine del I secolo e la prima metà del II secolo), emerge una differenza nella testimonianza di fede degli apostoli e quella delle discepole donne.

Agli apostoli – sotto la guida di Pietro – è affidato quello che è poi stato definito il ministero gerarchico-sacerdotale, cioè il compito di testimoniare pubblicamente ed “ufficialmente” che Cristo è risorto (nessuna delle discepole donne è presente durante l’Ultima Cena, quando Gesù istituisce i sacramenti dell’Eucarestia e dell’Ordine).

Anche le donne sono chiamate alla stessa testimonianza, ma con un taglio differente – affettivo, contemplativo, mistico.

Cosa intendo con queste tre parole?

Beh.

Il primo esempio che mi viene in mente è Maria:

Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
(Lc 2,19)

Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore.
(Lc 2,51)

Maria non è un trombone come Pietro.

Maria contempla.

Maria medita.

Maria custodisce.

Se poi scorriamo la storia della Chiesa, le testimonianze di vita (e di fede) di tante altre sante donne chiarisce un po’ meglio quel che voglio dire:

Lo stesso si ripete nel corso dei secoli, di generazione in generazione, come dimostra la storia della Chiesa.
La Chiesa, infatti, difendendo la dignità della donna e la sua vocazione, ha espresso onore e gratitudine per coloro che – fedeli al Vangelo – in ogni tempo hanno partecipato alla missione apostolica di tutto il Popolo di Dio.
Si tratta di sante martiri, di vergini, di madri di famiglia, che coraggiosamente hanno testimoniato la loro fede ed educando i propri figli nello spirito del Vangelo hanno trasmesso la fede e la tradizione della Chiesa.
In ogni epoca e in ogni paese troviamo numerose donne «perfette» (cf. Prov 31, 10), che – nonostante persecuzioni, difficoltà e discriminazioni – hanno partecipato alla missione della Chiesa.
Basta menzionare qui Monica, la madre di Agostino, Macrina, Olga di Kiev, Matilde di Toscana, Edvige di Slesia ed Edvige di Cracovia, Elisabetta di Turingia, Brigida di Svezia, Giovanna d’Arco, Rosa di Lima, Elisabeth Seton e Mary Ward.

(GIOVANNI PAOLO II, lettera apostolica Mulieris Dignitataem, n.27)

Purtroppo non ho il tempo di attaccare un papirozzo sulla storia di queste sante.

Però, se qualcuno di voi volesse approfondire, vi suggerisco un paio di letture.

Per esempio.

Non so se conoscete Louis de Wohl.

Louis de Wohl (1903-1961) è stato uno scrittore ungherese, naturalizzato britannico, che ha scritto moltissimi romanzi sulle vite di santi e sante, uno più bello dell’altro.

Tra i romanzi sulle sante, in particolare, vi suggerisco:

  • quello su Caterina da Siena (intitolato «La mia natura è il fuoco»)
  • quello su Giovanna d’Arco (intitolato «Giovanna la fanciulla guerriera»)
  • quello sull’Imperatrice Elena (intitolato «L’albero della vita»)

Ai più audaci, poi, suggerisco di leggere «Storia di un’anima» della mistica carmelitana Teresa di Lisieux (1873-1897).

E se non vi bastasse, aggiungo anche «La gioia di credere» della mistica e assistente sociale francese Madeleine Delbrêl (1904-1964).

E anche «Diario di un’amicizia» della psichiatra e attivista polacca Wanda Półtawska (classe ’21… che nel momento in cui sto scrivendo queste righe è ancora viva, ed ha la veneranda età di 101 anni!)

E anche «Siamo nati e non moriremo mai più», il libro che racconta la storia della laica e madre di famiglia Chiara Corbella (1984-2012).

E «Quando Dio usa la carta vetrata» di Barbara Ughetti, laica e madre di famiglia (classe ’71).

E le «Lettere» della pediatra Gianna Beretta Molla (1922-1962).

E l’epistolario di Marie-Azélie Guérin (1831-1877) e Louis Martin, i genitori di Teresa di Lisieux.

Insomma.

Come ho scritto qualche riga più sopra, Dio ha sempre trovato posto per le donne nella Chiesa.

E (se avrete tempo di leggere anche solo uno dei libri che ho menzionato, noterete che) sono sempre stati posti in prima fila.

Conclusione

Ogni volta che parlo di un “tema caldo” (l’omosessualità, il femminismo, il vittimismo, etc.), ho sempre l’impressione di non aver speso abbastanza parole.

O di aver turbato la sensibilità di qualcuno.

Se così fosse, mi scuso.

Comunque, per chi volesse qualche altro spunto, lo rimando ai libri che ho scritto in fondo a questa pagina, in bibliografia.

Per il resto, chiudo con due ultimi spunti.

Il primo, è un’altra citazione di Giovanni Paolo II:

La testimonianza e le opere di donne cristiane hanno avuto significativa incidenza sulla vita della Chiesa, come anche su quella della società.
Anche in presenza di gravi discriminazioni sociali le donne sante hanno agito in «modo libero», fortificate dalla loro unione con Cristo.
Una simile unione e libertà radicata in Dio spiegano, ad esempio, la grande opera di Santa Caterina da Siena nella vita della Chiesa e di Santa Teresa di Gesù in quella monastica.

(GIOVANNI PAOLO II, lettera apostolica Mulieris Dignitataem, n.27)

Il secondo, è una canzone del cantautore italiano Niccolò Fabi (classe ’68), «Vince chi molla» (del 2016):

sale

(Autunno 2023)

Fonti/approfondimenti

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