In che consiste l’esame di coscienza?

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1 • L’esame di coscienza non è un argomento interessante

Se fossi un prete «di quelli che parlano ai giovani» e volessi fare una catechesi interessante, probabilmente punterei su un tema tipo:

  • la felicità
  • l’amicizia
  • i desiderî che ognuno di noi ha nel cuore
  • la ricerca della propria vocazione
  • il senso della vita
  • etc.

Non sono temi strettamente religiosi (fanno parte dei cosiddetti «praeambula fidei», ovvero quelle questioni che interrogano l’uomo, che sono propedeutiche ad una vera e propria domanda religiosa)…

…però – che una persona sia cristiana o meno – questi argomenti fanno sempre la loro porca figura.

Ecco.

L’esame di coscienza non rientra tra questi temi.

L’esame di coscienza è un argomento di cui ho sempre sentito parlare poco e in modo sbagliato.

Sembra qualcosa di devozionistico, che appartiene al passato.

Cioè.

I nostri nonni, porelli, facevano l’esame di coscienza prima di andare a dormire… ma noi cristiani «moderni» mica siamo sempliciotti come loro.

confesso a dio onnipotente

In realtà però, in tempi non sospetti, l’esame di coscienza aveva ancora un suo senso.

Per esempio.

Come sicuramente saprete, nel Catechismo della Chiesa cattolica vengono spiegati tutti i sacramenti.

Nel capitolo in cui si parla del sacramento della confessione, c’è un paragrafo intitolato: «Le molteplici forme della penitenza nella vita cristiana».

In quel paragrafo, si trova questa frase:

La conversione si realizza nella vita quotidiana attraverso gesti di riconciliazione, attraverso la sollecitudine per i poveri, l’esercizio e la difesa della giustizia e del diritto, attraverso la confessione delle colpe ai fratelli, la correzione fraterna, la revisione di vita, l’esame di coscienza, la direzione spirituale, l’accettazione delle sofferenze, la perseveranza nella persecuzione a causa della giustizia. Prendere la propria croce, ogni giorno, e seguire Gesù è la via più sicura della penitenza.

(Catechismo della Chiesa cattolica, n.1435)

Mhh.

Dunque.

Stando al CCC, l’esame di coscienza avrebbe a che fare con la conversione.

Con la purificazione del cuore (di cui avevo parlato qui).

Con l’ascesi (di cui avevo parlato qui).

Come si dice a Roma: «mica pizza e fichi!»

Proviamo a capire allora in che consiste questo benedetto esame di coscienza.

2 • Come NON fare l’esame di coscienza

Allora.

Partiamo con la pars destruens.

Molte persone credono che l’esame di coscienza sia una sorta di «scaccolamento dei peccati».

confessione

Qual è il problema di questo approccio?

Il problema è che si basa su un modello astratto, cioè su un elenco di doveri e di divieti.

E qual è il risultato?

Beh, semplicemente:

  • se corrispondiamo al modello che abbiamo in testa, ci insuperbiamo;
  • se invece non riusciamo a seguirlo, ci rattristiamo.

In pratica, è un miscuglio tra:

  • moralismo
  • legalismo
  • ansia
  • scrupolosità
  • scoraggiamento

…sì, esatto, non è proprio il massimo.

La buona notizia è che questo metodo per fare l’esame di coscienza è seguito da pochissime persone…

…la cattiva è che la maggior parte dei “cristiani” ha rinunciato del tutto a fare l’esame di coscienza.

Come mai?

Se volessimo stare ad esaminare le cause di questa tendenza, penso che staremo qui fino al mese prossimo.

Però, a lume di naso, penso che i motivi principali siano tre:

  • il primo è che viviamo in un contesto culturale impregnato di libertinismo soggettivista; siamo un po’ tutti – io per primo – bravissimi a dirci che «per me, questa cosa non è un peccato», o altre formule di auto-assoluzione che nascondono il nostro desiderio narcisistico di auto-affermarci;
  • il secondo motivo è il modo in cui tanti sacerdoti (e laici) presentano Dio: un dio petaloso, un dio «sì, dai, che vuoi che sia se ti guardi un pornazzo!», un dio zuzzurellone, un dio simp, un dio «pure se ti scopi i cani, ti lovvo tantissimo!»;
  • il terzo motivo è che nell’ultimo mezzo secolo, c’è stata una grande diffusione della psicologia nella vita di tutti i giorni (*).

(*) Disclaimer: la psicologia è una delle scienze che più mi affascinano ed appassionano, e il fatto che l’interesse intorno ad essa sia cresciuto, non può che essere una buona notizia (in quest’altra pagina del blog parlavo di quanto io abbia trovato beneficio nella psicoterapia). La questione su cui, secondo me, la Chiesa dovrebbe interrogarsi è il fatto che la psicologia/psicoterapia abbia quasi del tutto rimpiazzato la cosiddetta «vita spirituale». Come dicevo qui, secondo l’antropologia cristiana, l’uomo è fatto di spirito, psiche e corpo… il fatto che la maggior parte dei sacerdoti non siano in grado di spiegare la differenza tra l’ambito «psicologico» e quello «spirituale» ha fatto sì che la psicologia si sia trasformata in una sorta di «spiritualità secolarizzata». Oggi, l’esame di coscienza non ha più senso agli occhi di molti cristiani, perché è stato rimpiazzato dall’auto-osservazione o dalla mindfulness.

3 • La cosa più importante da tener presente nell’esame di coscienza

Avete presente quei fogliettini che in dieci/venti/trenta domande ti aiutano a fare l’esame di coscienza?

Ecco… non voglio dire che siano inutili…

…però spesso dietro a queste liste di domande, si nasconde un rischio.

Quale?

Il rischio di pensare che l’esame di coscienza sia una sorta di interrogatorio.

L’esame di coscienza però non consiste in questo.

Non è questione di seguire una lista della spesa.

Non è una tecnica.

esame di coscienza

Per carità, non dico che sia una cosa sbagliata avere “una traccia” per il proprio esame di coscienza.

Ma non è quello il centro.

Per spiegare il perché, provo a fare un’analogia.

Se dovessi fare amicizia con qualcuno, cosa faresti? Cercheresti su Google «come fare amicizia»? Ti stamperesti un bigliettino con un elenco di cose da fare e da non fare, per accertarti di seguire tutti i punti dell’elenco?

Non credo proprio…

Per carità, sicuramente esistono degli atteggiamenti che favoriscono la nascita di un’amicizia…

Alcune attenzioni da avere…

Alcuni comportamenti da evitare…

…ma non serve un «libretto di istruzioni».

Serve un po’ di empatia… serve un pizzico di umanità… serve un cuore capace di aprirsi all’altro… e poi si vede cosa esce fuori dal dialogo con quella persona.

(Si potrebbero fare esempî analoghi nei quali non serve una “lista dei suggerimenti” o una “scaletta”: corteggiare una ragazza, fare l’amore con tua moglie, giocare con i tuoi figli…)

Perché ho fatto questo esempio?

Per sottolineare quello che è forse l’aspetto più importante dell’esame di coscienza…

…nonché l’aspetto che tutti trascurano (o ignorano del tutto).

L’esame di coscienza infatti è una preghiera.

Che significa?

Significa che l’esame di coscienza non è un «interrogatorio interiore».

L’esame di coscienza è «qualcosa» che ha a che fare con una relazione.

Ha a che fare con lo stare sotto uno sguardo.

Ha a che fare con il dialogo con una Persona.

Il prototipo che dobbiamo avere davanti non è un codice di leggi, ma un organismo vivente.

Un volto.

Un volto conosciuto.

Se mi “esamino” da solo, c’è il serio rischio che io guardi tutte le mie cadute e i miei peccati in modo moralistico e intransigente.

Invece, se sto sotto lo sguardo di un Padre buono, cambia tutto.

A tal proposito occorre fare una precisazione.

Lo sguardo di Dio su di me non è uno sguardo petaloso.

Non serve ad edulcorare la mia giornata, o a relativizzare il male che ho compiuto.

Le cose che ho fatto, i pensieri che ho avuto, gli atteggiamenti che ho adottato, le parole che ho detto… rimangono le stesse.

Identiche.

Spiccicate.

Lo sguardo di Dio su di me però mi aiuta a «fare verità» quando contemplo il mio vissuto.

E qual è «la verità» del mio vissuto?

Qual è «la verità» quando tratto male un amico, rispondo male ai miei genitori, ho un atteggiamento passivo-aggressivo con i miei colleghi, dico bugie, provo invidia, sono orgoglioso, non perdono, sono vanitoso, istigo gli altri a fare il male, sono collerico?

«La verità» è il modo in cui Cristo dalla croce contempla tutti questi momenti della mia vita.

Li contempla da lì.

In silenzio.

Con uno sguardo mansueto.

Ciò che Lui guarda – inchiodato al suo trono – è ciò che io sono realmente.

Quella è «la verità» su di me.

Dio ti guarda così.

Dio mi guarda così.

Nello stesso modo in cui il Padre guarda il figlio minore, nella parabola più famosa che Gesù ha raccontato:

Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: «Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta». Ed egli divise tra loro le sue sostanze.
Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno.
Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla.
Allora ritornò in sé e disse: «Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati».
Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: «Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio».
Ma il padre disse ai servi: «Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».

(Luca 15,11-24)

4 • Come si fa l’esame di coscienza?

Il paragrafo precedente è il cuore del discorso.

Se non è chiaro quel che ho scritto, o vi ho lasciati perplessi… interrompete la lettura e scrivetemi su Instagram 😬…

Leggere qui sotto sarebbe solo un’inutile perdita di tempo…

Fermatevi qui…

Se invece quello che ho scritto vi ha “toccato qualche corda”, possiamo proseguire.

~

In questo paragrafo, vorrei suggerirvi alcuni “spunti” di cui tener conto durante l’esame di coscienza.

faccia di culo

Allora.

Nel precedente paragrafo dicevo che l’esame di coscienza non è un monologo interiore in cui mi auto-interrogo, ma un modo per mettermi in dialogo con Dio, per provare a stare sotto il Suo sguardo… cioè una preghiera.

Se le cose stanno così, ci sono due cose che non si possono non fare all’inizio dell’esame di coscienza:

  • un’invocazione allo Spirito Santo
  • un più-o-meno-prolungato silenzio

Lo Spirito Santo è l’unico che è capace di farmi avere su di me lo sguardo di cui parlavo nel precedente paragrafo.

Cioè lo sguardo di Cristo che mi contempla teneramente dalla croce.

Senza lo Spirito Santo, posso pure provare a fare una carrellata della mia giornata, ma c’è il serio rischio che io mi giudichi in modo moralista, scrupoloso, cinico.

Senza lo Spirito Santo, la memoria si sclerotizza.

Senza lo Spirito Santo, ricordare le mie mancanze quotidiane e i miei peccati è uno stillicidio.

Terminata l’invocazione, occorre un po’ di silenzio.

Probabilmente questo è il passaggio più difficile: se già la preghiera è noiosa in sé, figurarsi rimanere in silenzio durante la preghiera e lasciare che il tempo scorra… uno spreco di tempo al quadrato!

E invece questo silenzio è indispensabile.

Perché?

Beh, non so voi, ma quando mi metto a pregare, di solito ho in testa pensieri spirituali e ascetici tipo:

  • «Cavolo, mi sono dimenticato di comprare il latte per domani!»
  • «Mannaggia, sta mattina quel cliente mi ha fatto perdere un sacco di tempo in call
  • «Questa settimana non sono ancora riuscito a registrare il podcast… però se dico a Gigi di vederci mezz’ora dopo mercoledì, do buca a Damiano giovedì, e venerdì chiedo un’ora di permesso in ufficio, posso spezzare in più giorni la registrazione, e forse ce la faccio!»
  • «Porcatrota, ieri pomeriggio non mi sono accorto che quando l’avversario ha messo il cavallo in c5, avevo un matto in dueee… e tre mosse dopo ho perso la partita come un salameee!»
  • «Ma è più forte Monkey D.Rufy con il Gear 5 oppure Naruto quando riesce a controllare alla perfezione il chakra della Volpe a Nove Code?»
  • «Ancora non ci posso credere che si dice “facocèro” e non “facòcero”!»
  • etc.

A cosa serve quindi il silenzio?

A rientrare nel mio cuore.

A sintonizzarmi.

A suscitare un atteggiamento contemplativo.

È un po’ come quando vado al mare e muovo qualche passo in direzione dell’acqua finché non mi arriva alle caviglie; lì per lì, non riesco a vedere i miei piedi, perché con il movimento ho spostato un sacco di sabbia, e l’acqua si è intorbidita.

Se attendo un po’ però, piano piano la sabbia si deposita sul fondale, e l’acqua torna limpida (*).

(*) (Tranne quando vado al mare ad Ostia… lì nuoto in un miscuglio di pipì di bambini, reflui tiberini e liquami di scolo non meglio identificati)

Se non lascio che questo accada, non sto facendo un esame di coscienza, ma solo uno «scaccolamento dai peccati».

L’essenziale infatti non è tanto “assegnarmi un voto” rispetto a come è andata la giornata, ma sperimentare la comunione con Dio (e, perché no, con le generazioni di santi e sante che mi hanno preceduto, con gli angeli e con tutta la schiera celeste).

Se sono in comunione con Dio, posso ripercorrere la mia giornata in modo sapienziale, accompagnato dal Suo sguardo, facendo mio il modo in cui Lui mi vede.

Dio non è un Grande Fratello a caccia dei miei peccati, ma colui che porta senso e significato nel mio vissuto.

Se l’esame di coscienza si basa su questo presupposto, la prima cosa che noto man mano che ripercorro con la memoria la mia giornata sono tutti gli eventi, gli incontri, le persone attraverso cui Dio mi ha parlato.

Per quanto la mia giornata possa essere ingarbugliata, lo Spirito Santo è capace di decifrare i segni dei tempi… e può aiutare me a farlo, nella mia quotidianità.

E che succede se scopro che ci sono pensieri/parole/opere/omissioni della giornata che non ho vissuto con il Signore?

Che succede se scopro che ci sono stati gesti/momenti/situazioni/circostanze che ho vissuto in modo egoista, in modo possessivo, in modo narcisista, in modo autoaffermativo?

Succederà la stessa cosa che è accaduta al fratello minore nella parabola che ho citato nel paragrafo precedente (Luca 15,11-24).

5 • Perché l’esame di coscienza aiuta a convertirsi?

Nel primo paragrafo dicevo (citando il Catechismo) che «la conversione si realizza nella vita quotidiana attraverso l’esame di coscienza».

Ma in che modo, esattamente?

Allora…

Secondo me, una cosa che bisogerebbe tenere a mente è che la conversione non è tanto un movimento anabatico, ma catabatico

pianto e stridore di denti

Dunque:

  • l’aggettivo «anabatico» (dal greco ἀναβάτης, «che sale») indica un movimento dal basso verso l’alto;
  • il termine «catabàtico» (dal greco καταβαίνω, «discendere») indica un movimento dall’alto verso il basso.

Cosa intendo quando dico che la conversione non è tanto un movimento anabatico, ma catabatico?

Intendo che la conversione non è (tanto) «una cosa che faccio io» quanto piuttosto «una cosa che Dio fa su di me».

Non è (tanto) questione di «come mi devo comportare» ma di «scoprire come mi guarda Dio».

Noi tutti (io per primo) abbiamo la tendenza a pensare male di Dio.

Sotto sotto, pensiamo che Dio ci guardi male.

Che sia più un ostacolo che un aiuto, rispetto alla nostra idea di felicità.

Che sia un Grande Fratello, che a volte ci mette pure i bastoni tra le ruote.

L’effetto collaterale di questo sguardo che abbiamo su Dio – che come provavo a spiegare è causato dal peccato originale – si riflette in ogni àmbito della nostra vita: nelle relazioni, negli affetti, sul luogo di lavoro, all’università, nel tempo libero, etc.

Se parliamo della conversione, avere un’immagine di Dio che non corrisponde alla realtà ci porta:

  • a riempirci la testa di scrupoli e pensieri moralistici;
  • ad avere sensi di colpa rispetto al fatto che non corrispondiamo al nostro io ideale;
  • a non sapere qual è il senso di andarsi a confessare… oppure a «non sapere cosa dire» quando ci andiamo a confessare… o – peggio ancora – a fare un inutile elenco delle nostre imperfezioni, per provare a mettere a tacere il fariseo che abbiamo nel cuore.

Cos’è che fa la differenza?

Cosa può vincere il mio cuore che si sente inadeguato di fronte alla Legge?

La risposta è semplice: scoprirmi perdonato dall’Autore della Legge.

Come dice Paolo di Tarso:

La bontà di Dio ti spinge alla conversione.
(Romani 2,4)

Non dico che ogni tanto non mi abbia fatto bene qualche scappellotto da parte di Dio… e sicuramente lo ringrazio (un po’ a denti stretti) anche per qualche ceffone ben assestato, che mi ha aiutato a diventare un po’ più umile.

Ma un cambiamento durevole nel tempo non può che realizzarsi sotto la “spinta” della dolcezza di Dio.

Una dolcezza commovente, che mi porta a pentirmi dei miei peccati, a confessarli, a chiedere perdono… non «perché non si fanno», ma perché mi rendo conto che in ogni peccato (piccolo o grande che sia) ho perso un’occasione di corrispondere a quell’«Amore non amato» (come lo chiamava Maria Maddalena de’ Pazzi).

Conclusione

Concludo con una considerazione su quello che in termini tecnici è chiamato “esame particolare della coscienza”.

In che consiste?

Non so se vale lo stesso per voi, ma a me capita che le mie confessioni siano spesso un copia-e-incolla l’una dell’altra (come mi disse una volta un sacerdote: «Se confessassimo i nostri peccati pubblicamente, ci renderemo conto del fatto che il diavolo ha poca fantasia»).

Ci sta.

Non c’è nulla di strano.

Ognuno ha le sue fragilità.

Ognuno ha le sue resistenze.

E a volte ce le portiamo dietro per tutta la vita.

Tu hai le tue.

Io ho le mie.

Cosa posso fare in questi casi?

Durante l’esame di coscienza, mi posso soffermare con più calma su UNA cosa in particolare, per lasciarla un po’ più a lungo sotto lo sguardo di Dio.

Anche a costo di sacrificare il tempo per le altre cose che non vanno nella mia vita.

Anche al costo di rimanere per tutto l’esame di coscienza su quell’unico peccato.

A prima vista, non sembra molto piacevole stare lì a soffermarmi un po’ troppo a lungo su un aspetto “negativo” della mia vita, che ancora non è stato penetrato dalla grazia dello Spirito Santo…

…però in realtà, tenere «quella cosa» sotto il Suo sguardo, parlarne con Lui, offrirgliela di giorno in giorno, produce un cambiamento nel mio cuore.

Magari a livello esteriore può non cambiare nulla, anche per lungo tempo.

Potrei continuare a cadere nello stesso peccato.

Potrei continuare a rimanere impantanato.

Ma anche in questo caso, sta accadendo una cosa straordinaria: «quella cosa negativa» è sempre più spesso coinvolta nella mia preghiera, nelle mie invocazioni a Dio, nelle lacrime con cui mi rivolgo a Lui, nelle umiliazioni che mi orientano a Lui e mi fanno rendere conto del fatto che senza di Lui non vado da nessuna parte.

In che consiste infatti la perfezione cristiana?

Nel diventare un «superuomo»?

O, piuttosto, nello scoprirmi amato incondizionatamente?

sale

(Primavera 2024)

Fonti/approfondimenti

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