L’arte di fare il «piagnone incompreso» (nella quale sono cintura nera 7° Dan)

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1 • «C’è chi è amico solo di nome»

Il mese scorso – in occasione della centesima pagina del blog – ho tirato fuori «Il libro dei versi» di Arrigo Boito (1842-1918).

In quella raccolta di poesie, ce n’è una in cui Boito si rivolge al suo amico Emilio Praga (poeta scapigliato anche lui), e scrive:

Siam tristi, Emilio, e da ogni salute
Messi in bando ambidue.
Io numerando vò le mie cadute,
Tu numeri le tue.

Precipitiam nel sonno e nel dolore
Ogni giorno più smorti
,
Fameliche su noi volano l’ore
Qual su due nuovi morti.
[…]
Sono stanco, languente, ho già percorso
Assai la vita rea,
Ho già sentito assai quel doppio morso
Del Vero e dell’Idea.

Ho perduti i miei sogni ad uno ad uno
Com’oboli di cieco;
Nè un sogno d’oro, ahimè! nè un sogno bruno
Oggi non ho più meco.

E come il bruco che rifà la seta
Colle smunte fibrille.
Rifeci il voto a una mia forte mèta
E cento volte e mille.

Carmi! poemi! liriche! ballate!
Drammi! odi! canzoni!…
Vanità! Vanità! glorie sognate!
Perdute illusïoni!

(ARRIGO BOITO, «A Emilio Praga», versi 1-8.25-40, dalla raccolta «Il libro dei versi» del 1902)

Ora.

Non so quasi nulla della vita di Arrigo Boito.

E non so perché nella poesia dica di essere triste.

Però ha la fortuna di poter condividere questa tristezza con Emilio Praga.

Avere un amico a cui aprire il cuore non è una cosa scontata.

Sapete qual è la differenza tra un «amico» e un «compagno di giochi/bevute/vidaloca»?

L’amico è quella persona che se ti chiede «come stai?», puoi rispondergli «una merda», senza provare vergogna o imbarazzo.

L’amico è quella persona con cui puoi stare cuore a cuore, nella libertà, da cui ti senti voluto bene anche quando le cose vanno male.

È quella persona che non ti rimbambisce di parole se sei triste, ma ti tiene compagnia in silenzio.

Chiunque tu sia che leggi queste righe, penso che tu possa ritenerti fortunato se conosci anche solo una persona con cui sperimentare questa cosa che ho scritto.

Non è affatto scontata (soprattutto nel contesto culturale in cui viviamo).

~

Non so se avete presente il libro di Giobbe (a.k.a. il più bello della Bibbia).

amici di giobbe

Ecco cosa scriveva il filosofo danese Søren Kierkegaard (1813-1855) a proposito degli “amici” di Giobbe, che sono andati da lui per “consolarlo”:

Giobbe sopportò tutto: soltanto quando vennero i suoi amici per consolarlo perdette la pazienza.

(SØREN KIERKEGAARD, Diario I, 829)

Insomma.

Come dice il libro del Siracide:

Ogni amico dice: «Anch’io sono amico»,
ma c’è chi è amico solo di nome.

(Sir 37,1)

2 • Il cristianesimo e la tristezza

Un paio di anni fa avevo scritto una paginetta sulla tristezza.

L’ho riletta poco fa.

Tutto sommato, non penso di aver scritto troppe scempiaggini (anche perché gran parte di quella pagina sono citazioni di Evagrio Pontico, Giovanni Cassiano, la Bibbia, don Fabio Rosini, André Louf… quindi, chapeau!)…

…ma rispetto a ciò che ho scritto a suo tempo, vorrei aggiungere qualche altro pensiero.

Prima però facciamo un rapido recap.

Il monaco cristiano Evagrio Pontico (345-399) non parlava di «sette peccati capitali», ma di «otto pensieri malvagi» che sono alla radice dei peccati.

Come potranno notare quelli di voi che sono più ferrati in matematica, ci sono «sette» peccati capitali, ma «otto» pensieri malvagi.

Qual è il «pensiero malvagio» in più?

Esatto… è la tristezza.

La tristezza – in sé – non è un peccato… ma è un atteggiamento alla base di tante storture della vita, che possono poi sfociare in peccati molto brutti.

Tra gli otto pensieri malvagi, la tristezza è senza ombra di dubbio il mio.

tristezza melodrammatico

Alla tristezza, la Bibbia dedica molte pagine; le più belle credo che siano contenute nel libro dei Salmi:

Dal profondo a te grido, o Signore;
Signore, ascolta la mia voce.
Siano i tuoi orecchi attenti
alla voce della mia preghiera.

(Sal 130)

Fino a quando, Signore, continuerai a dimenticarmi?
Fino a quando mi nasconderai il tuo volto?
Fino a quando nell’anima mia addenserò pensieri,
tristezza nel mio cuore tutto il giorno?

Fino a quando su di me prevarrà il mio nemico?

Guarda, rispondimi, Signore, mio Dio,
conserva la luce ai miei occhi,
perché non mi sorprenda il sonno della morte,
perché il mio nemico non dica: «L’ho vinto!»
e non esultino i miei avversari se io vacillo.

Ma io nella tua fedeltà ho confidato;
esulterà il mio cuore nella tua salvezza,
canterò al Signore, che mi ha beneficato.

(Salmo 13)

Ma anche all’infuori della Bibbia, c’è un florilegio di santi, monaci, mistici, anacoreti, che hanno scritto cose bellissime sulla tristezza.

Nella paginetta di due anni fa avevo citato alcuni Padri della Chiesa: Evagrio Pontico, Cassiano, Gregorio Magno, etc.

La tristezza è la frustrazione di un piacere, presente o atteso.
(EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico, Qiqajon, Magnano (Biella) 2008, p.114)

Come la tarma rode l’abito e il verme il legno, così la tristezza rode l’anima dell’uomo.
(GIOVANNI CASSIANO, Al Vescovo Castore. Gli otto pensieri viziosi, in NICODEMO L’AGIORITA, MACARIO DI CORINTO, Filocalia, volume 1, Gribaudi, Milano 2020, p.146)

Che la mente non sia tormentata da questo pensieri è impossibile.
È però possibile a chiunque sia zelante accettarli e rimuginarli oppure respingerli.
Se non dipende da noi il fatto che arrivino, però scacciarli è in nostro potere, e la correzione della nostra mente dipende dalla nostra determinazione e dal nostro zelo.
(GIOVANNI CASSIANO, A Leonzio Igumeno. I Santi Padri che vivono a Scete. Discorso sommamente utile a proposito del discernimento, in NICODEMO L’AGIORITA, MACARIO DI CORINTO, Filocalia, volume 1, Gribaudi, Milano 2020, p.158)

Avevo concluso la paginetta elencando quelli che – secondo Giovanni Cassiano – sono «gli antidoti» contro la tristezza («Essa si cura con la preghiera, la speranza in Dio, la meditazione delle divine parole e vivendo con uomini pii»; GIOVANNI CASSIANO, Al Vescovo Castore. Gli otto pensieri viziosi, in NICODEMO L’AGIORITA, MACARIO DI CORINTO, Filocalia, volume 1, Gribaudi, Milano 2020, p.147).

Ebbene.

Come mai ho deciso di ri-tirare fuori questo argomento?

Beh… perché nella paginetta di due anni fa c’è una cosa che manca (in realtà mancano un sacco di cose… ma fa più figo dire che «c’è UNA cosa che manca»)

Cosa manca?

Mancano tutte le sederate per terra che ho dato in questi due anni, nel mio “combattimento” quotidiano contro la tristezza…

…e quindi, niente… è di questo che vorrei parlare oggi.

3 • Percezioni, emozioni e sentimenti

Sapete qual è la differenza tra «emozioni» e «sentimenti»? (*)

(*) (Mi scuso in anticipo con tutti gli psicologi, gli psicoterapeuti, gli psichiatri e gli psicopompi che leggeranno le prossime righe e storceranno il naso… abbiate pietà!)

Un’emozione è un «processo interiore suscitato da un evento-stimolo rilevante per gli interessi dell’individuo» (cfr. TRECCANI, voce «emozione»).

In soldoni, ciò che avviene è che:

  • percepiamo uno stimolo (esterno o interno);
  • avviene una cascata di reazioni di tipo neuro-fisiologico nel nostro corpo;
  • il nostro stato mentale cambia.

Non è una regola matematica, ma di solito le emozioni hanno:

  • una forte intensità
  • una breve durata

Al contrario, i sentimenti sono disposizioni dell’animo.

A differenza delle emozioni, i sentimenti hanno:

  • una intensità più debole
  • una durata più-o-meno estesa nella nostra vita

(A titolo di esempio: non ci si sposa perché si prova «un’emozione», ma perché si provano «dei sentimenti» nei confronti di qualcuno)

Ho ho fatto questa distinzione per spiegare il modo in cui opera la tristezza.

La tristezza è una lente deformante, che lavora per mezzo di assolutizzazioni:

  • ingigantisce le emozioni che sono in linea con il «mood» melanconico;
  • sminuisce le emozioni che lo contrastano.

Quando sei triste, se ti capita qualcosa di felice, non riesci a godertela del tutto, perché temi che da un momento all’altro arriverà un’inculata super-sonica che bilancerà il karma della tua vita.

tristezza melodrammatico

Il «demone della tristezza» (come lo chiama Evagrio) agisce sulle emozioni – che come dicevo sono qualcosa di volatile.

Il problema però è che a furia di deformare le emozioni, si finisce per creare un sentimento triste, che può perdurare a oltranza.

Si parte con un «mai una gioia!», e gradualmente – senza rendersene conto – si finisce per unire i puntini della vita sempre nel modo sbagliato.

Si inizia con un evento interpretato male, e si finisce per avere uno sguardo melanconico sulla propria esistenza.

E se qualcuno ci fa notare che stiamo interpretando male un evento, che stiamo avendo una reazione non commisurata o (semplicemente) ci offre una prospettiva diversa, ci sentiamo offesi, e alziamo subito la guardia:

  • «Ma come ti permetti a giudicare ciò che sto vivendo?»
  • «Tu non mi capisci!»
  • «Io sono fatto così! È il mio carattere!»

Cioè, non so voi… ma a me è capitato spessissimo di pensare frasi simili.

Magari non avevo la faccia di bronzo di dirle ad alta voce, ma tra me e me mi sono ritrovato più volte con il sangue acido quando qualcuno non assecondava il mood tristanzuolo che a volte mi prendeva.

In realtà, col senno di poi, anche se lì per lì mi facevano un po’ rodere il culo, tutte le persone che mi hanno aiutato a relativizzare la tristezza, mi hanno sempre fatto un gran bene.

Come diceva Josemaría Escrivá:

Non dire «Sono fatto così… sono cose del mio carattere». Sono cose della tua mancanza di carattere: sii uomo!

(JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Cammino, punto 4)

Oh, rega’.

Famo a capisse.

Ovviamente non sto dicendo che non esistano eventi dolorosi.

Ci sono migliaia di eventi oggettivamente dolorosi:

  • ti bocciano ad un esame
  • ti lascia la ragazza
  • fai un incidente in auto
  • scopri di avere una malattia
  • ti muore un parente
  • etc.

Provare dolore (fisico o psicologico) di fronte a un evento triste, è una cosa normale, buona, sana, segno di sanità mentale.

Se ti capita una cosa brutta, un periodo di lutto è fisiologico.

Mi stupirei del contrario.

Ma un conto è il dolore (sano) di fronte ad un evento doloroso…

…un conto è quella mentalità tristanzuola che porta ad unire i puntini sempre nel modo sbagliato, e che porta a vedere la realtà tutta intera sotto la lente deformante del «mai una gioia!»:

  • Ti lascia il ragazzo? «Non ne troverò mai più uno così!»
  • Fallisce un progetto a cui tenevi tanto? «Ecco… da ora in poi mi dovrò sempre accontentare, nella vita!»
  • Perdi un’occasione? «Lo sapevo che dovevo volare basso! Basse aspettative, poche delusioni!»

Insomma… tristezza e dolore sono due cose diverse!

4 • Il «demone» della tristezza

Tra gli otto pensieri malvagi di cui parla Evagrio, credo che la tristezza sia quello più… “particolare”.

Da quale punto di vista?

Tutti gli altri pensieri (quelli che poi sfociano nei famosi “sette peccati capitali”) agiscono in questo modo:

  • si basano su un desiderio buono…
  • …e lo corrompono.

Faccio qualche esempio:

  • La lussuria si basa sul desiderio sessuale che – in sé – è una cosa buona (ricordo a tutti che il pene, la vagina, l’orgasmo e tutti i fluidi connessi sono stati creati da Dio!)… è il modo in cui si vuole soddisfare quel desiderio ad essere cattivo.
  • L’ira si basa sul desiderio di riparare un torto, ovvero sul desiderio fare giustizia… il problema è che spesso fraintendiamo cosa è giusto; ed abbiamo reazioni non commisurate rispetto alla gravità dell’ingiustizia (vera o presunta) a cui abbiamo assistito.
invidia

E così via per tutti gli altri «pensieri malvagi»

…tranne la tristezza:

[La tristezza] è l’unica passione che non è collegata al piacere.
La tristezza, infatti, gode proprio del dispiacere, ossia il suo piacere è il dispiacere.
È una forza distruttiva di impensabile potenza: mentre gli altri sette demoni spingono verso il soddisfacimento, il demone della tristezza spoglia l’anima, perché è la ricerca dell’autocommiserazione, e produce, appunto, il godimento dell’infelicità.

(FABIO ROSINI, L’arte della buona battaglia : la libertà interiore e gli otto pensieri maligni secondo Evagrio Pontico, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2023, p.233)

Il «demone della tristezza» ci porta a sguazzare nella pozzanghera della malinconia.

È come una lente deformante, che ci fa guardare:

  • al passato con nostalgia;
  • al presente con un’aria da «mi sono rotto il r🚀zzo di tutto e di tutti!»
  • al futuro con rassegnazione.

La tristezza:

  • ci fa rimestare in tutte le speranze disattese;
  • ci fa pensare a tutte quelle cose che (secondo noi) «sarebbero dovute accadere» e invece non sono accadute;
  • ci fa ricordare tutte le occasioni che «ormai» abbiamo perso «per sempre» (il demone della tristezza adora usare parole come «ormai», «per sempre», «è andata così» o altre espressioni demoralizzanti);
  • ogni volta che guardiamo la nostra vita, ci fa unire i puntini nel modo più sconfortante possibile.

A scanso di equivoci, ripeto quello che ho scritto prima: non sto dicendo che bisogna ignorare il dolore o far finta che non esista!

Però un conto è il dolore… un conto è la mentalità tristanzuola.

Un conto è un momento di sconforto… un conto è l’assolutizzazione di una percezione.

Un conto è andare dallo psicoterapeuta per guarire una ferita dell’affettività… un conto è continuare tra me e me a “vivisezionare il mio dolore” e costruirci sopra la mia vita (cfr. FABIO ROSINI, L’arte della buona battaglia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2023, p.237).

Un conto è avere dei desiderî, che a volte possono essere disattesi dalle circostanze… un conto è scambiare un desiderio per un «diritto» e iniziare ad accampare pretese sulla vita (non a caso, Evagrio diceva che «la tristezza è la frustrazione di un piacere, presente o atteso»; EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico, Qiqajon, Magnano (Biella) 2008, p.114).

Come scriveva don Fabio Rosini:

Questo demone si accanisce davanti alle contrarietà, cioè i “no” che la vita ci dice.
Ma i “no” dovrebbero essere momenti di crescita, occasioni privilegiate per divenire adulti.
Rifiutando i “no”, la tristezza genera automaticamente un rapporto distorto con il tempo.
Si rimpiange il passato – vagheggiando sulle cose e sulle persone perse, sugli obiettivi non raggiunti – oppure ci si proietta in un futuro, idealizzando le ipotesi; così la felicità è sempre situata in un luogo passato ormai irraggiungibile o in un altrove di utopia.
Infatti, a monte dell’infelicità non c’è l’oggettività dei fatti concreti, quanto una certa lettura di quei fatti, oppure le pretese e le ipotesi, che però i fatti concreti non suffragano.

(FABIO ROSINI, L’arte della buona battaglia : la libertà interiore e gli otto pensieri maligni secondo Evagrio Pontico, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2023, p.242)

Non so voi, ma io sono un rosicone di prima categoria.

Più di una volta, i «no della vita» di cui parla don Fabio mi hanno fatto salire una bile acida che non vi dico.

Spesso mi sono impuntato davanti a «cose indigeste» che mi sono capitate.

E non di rado, quando la vita è andata in modo diverso da come mi sarei aspettato, ci sono stato male per mesi.

Ho sempre creduto che questo mio «modo di essere» fosse un tratto caratteriale.

Qualcosa di “definitivo”, su cui non potevo far nulla.

Ma non era vero.

Don Fabio descrive benissimo la dinamica con cui – gradualmente e liberamente – accogliamo questo tipo di pensieri:

La scena di molti primi impatti con il demone della tristezza è un po’ di questo tipo: in penombra nel proprio lettino, un momento di solitudine casuale, e arriva il pensiero: «Però… a me… non mi vuole bene nessuno…» e parte la lacrima, il groppo, la desolazione romantica.
Ci si ferma un momento e si sente uno strano senso di piacere nero, di verità storta eppure attraente, di tragicità affascinante.
Allora si insiste: «Nessuno mi capisce…» e si scopre che ci si prova gusto a ripetere e rimestare in queste considerazioni.
Fatta.
È entrato, non ti mollerà più, ti inviterà centomila volte al vittimismo malinconico, e custodirai questi pensieri neri ed infantili come qualcosa a cui tieni tanto.

(FABIO ROSINI, L’arte della buona battaglia : la libertà interiore e gli otto pensieri maligni secondo Evagrio Pontico, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2023, p.235)

Queste righe di don Fabio mi hanno fatto un sacco ridere: sentirmi preso per il culo mi ha fatto molto bene!

Non ci avevo mai riflettuto, ma la tristezza fa molto «martire romantico».

Essere infelice ti fa sentire un po’ come un «eroe tragico del terzo millennio».

Questo perché nel nostro contesto culturale, la tristezza ha un che di poetico:

  • logorarsi nella nostalgia
  • pensare al passato con melanconia
  • ascoltare Tiziano Ferro che canta «che non c’è tempo, non c’è spazio e mai nessuno capiraaaà! Puoi rimaaa-nereeeee! Perché fa male, male, male da morire senza te!» e sentire una complicità con il suo piagnisteo (Disclaimer: non ho mai ascoltato Tiziano Ferro… anzi, penso che bisognerebbe gettarlo in un pozzo e sigillarlo, come Samara in The Ring)
  • restare ostaggi di un progetto di vita naufragato
  • auto-assegnarsi la patente di «incomprenso dal resto del mondo»
sofferenza

Come scrive don Fabio:

Quando sono diventato prete ho dovuto prendere atto di una cosa: che alla gente non piace stare bene.
Alla gente piace stare male…
[…]
Il vittimismo tira un botto, vende e fa cultura.

(FABIO ROSINI, L’arte della buona battaglia : la libertà interiore e gli otto pensieri maligni secondo Evagrio Pontico, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2023, p.258)

5 • Il combattimento contro la tristezza

Ognuno dei «pensieri malvagi» di cui parla Evagrio Pontico deve essere combattuto in modo diverso:

  • Per combattere la lussuria, non bisogna castrarsi… ma bisogna incanalare quel desiderio in qualcosa di buono.
  • Per combattere la gola, non bisogna morire di fame… ma mangiare in modo equilibrato.
  • etc.

Come si combatte la tristezza?

Il modo migliore per combattere la tristezza è relativizzarla.

Che significa?

Significa che bisogna avere «una certa antipatia» verso la propria tristezza.

Non bisogna vederla come «la nostra amica», «la compagna della nostra solitudine», «l’amichetta color blu delle nostre giornate no».

La malinconica non è «un tratto del tuo carattere», ma qualcosa da combattere!

Ripeto per l’ennesima volta: non si tratta di far finta che vada tutto bene…

…né voglio mancare di empatia verso chi soffre emotivamente, psicologicamente o per una ferita dovuta all’affettività.

Se qualcuno soffre, bisogna stargli accanto, ascoltarlo, non farlo sentire solo.

Ma se una persona tende ad avere una certa mentalità tristanzuola, bisogna aiutarla a non identificarsi con la propria emotività (cfr. FABIO ROSINI, L’arte della buona battaglia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2023, p.95).

~

Nell’anno in cui ho seguito il percorso delle Dieci Parole, sono stato lasciato (abbastanza in malo modo) da una ragazza.

Se avete intuito quando io sia una pippa fracica a combattere la tristezza, potete immaginare come mi sentivo in quel periodo.

Bene.

Si da il “caso” che – al termine delle catechesi sulla terza parola – don Fabio ci abbia fatto stare per un’oretta in silenzio a meditare su questo brano di Paolo di Tarso:

Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi.
La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino!
Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù.

(Fil 4,4-7)

rallegratevi nel signore

Al termine di quella scrutatio don Fabio ci ha spiegato perché Paolo ha usato l’imperativo…

…purtroppo però, quel giorno ero talmente incazzato che non ho preso appunti…

…e, come sapete, ho una pessima memoria…

…per fortuna però, nel suo ultimo libro uscito qualche mese fa, don Fabio ha ripreso quel passaggio della lettera ai Filippesi e lo ha spiegato per bene:

C’è un problema: i verbi che Paolo rivolge ai Filippesi sono tutti all’imperativo.
Come si può dire a uno di rallegrarsi con indicazione tassativa?
Come si può ordinare la gioia?
Questo va di pari passo con un altro ordine, dato da Gesù stesso:
«Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 15,17).
Come si può comandare l’amore?
Come si può imporre la gioia?
Noi abbiamo delle idee discutibili su cose come la gioia e l’amore, come di stati impulsivi, spontanei, che capitano; se mi piglia, mi piglia; sennò…
Uno ce l’ha, poi gli passa, poi gli torna… siamo all’evanescenza delle relazioni, in pieno impero dei bioritmi.
Però al lavoro ci vai, ti giri o non ti giri.
Hai più organicità con il lavoro che con cose tanto importanti come l’amore o la felicità.
Ma può essere?
Cominciamo col dire che lo spontaneo… non esiste!
L’atto che chiamiamo spontaneo è in realtà la più meccanica delle azioni; le cose che facciamo così, perché ci vengono, sono le cose che operiamo automaticamente.
Proprio ciò che facciamo spontaneamente è ciò che rivela le nostre abitudini – lo faccio perché mi viene di farlo così.
Quindi dietro un atto spontaneo non c’è l’eruzione di una sorprendente creatività, ma proprio la sua mancanza, ossia l’automatismo; si è “portati” perché si è abituati.
Noi confondiamo lo spontaneo con l’autentico.
Chi l’ha detto che ti venga spontanea la reazione più autentica?
Ti verrà quella automatica, quella meno consapevole, quella che indica l’inclinazione abitudinale.
[…]
Non sono le parti più vere di noi, ma quelle più meccaniche e irriflesse.

(FABIO ROSINI, L’arte della buona battaglia : la libertà interiore e gli otto pensieri maligni secondo Evagrio Pontico, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2023, p.255-256)

Poche righe dopo, don Fabio prosegue così:

Ma come si può intendere quell’imperativo, quel rallegratevi?
Se la tristezza è qualcosa che un giorno ha chiesto il permesso di entrare e gli abbiamo aperto la porta, questo è assai più vero con la gioia e con l’amore.
L’amore come la gioia sono opzioni profonde dell’animo: si scelgono, ci si apre alla gioia, ci si apre all’amore; non siamo condannati alla tristezza, perché possiamo abbandonarci alle ispirazioni, dischiudere il cuore allo Spirito Santo.
L’amore di Dio può spingere il nostro essere: è il Suo amore ma diventa nostro perché uno asseconda una luce che sta lì, gentile e rispettosa a dire, piano ma nitido, che possiamo fidarci e aprirci.
Anche il più involuto dei tristanzuoli ha questo gentile mendicante in fondo al cuore che gli chiede di ascoltarlo, che gli dice, sorridendo, cose del tipo: «Quante storie che fai. Che piagnone che sei. Lo sai che te la stai raccontando. Non è vero tutto quel che dici, dài. Gli altri li puoi pure ingannare, ma non me…».
E uno o si irrighidisce o si lascia andare.
Ma è libero, profondamente libero davanti a quella gentile ironia che sa essere vera e gli dà un po’ fastidio…
E quel fastidio – l’antipatia per la gioia – non è robetta.
[…]
La gioia è un’attitudine conseguente a una serie di scelte.
È uno stile.
Di per sé, secondo Paolo (cfr. Gal 5,22), è un frutto dello Spirito Santo, quindi non è un punto di partenza ma di arrivo.
Appare al termine di un processo.
È il risultato di un percorso.

(FABIO ROSINI, L’arte della buona battaglia : la libertà interiore e gli otto pensieri maligni secondo Evagrio Pontico, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2023, p.256-258)

Paolo di Tarso usa l’imperativo – «rallégrati!» – perché la felicità non è una cosa che mi cade addosso se «mi dice culo»

Per rallegrarmi devo:

  • obbedire alle intuizioni costruttive suscitati da Dio
  • disobbedire ai pensieri piagnoni e tristanzuoli suscitati dal Nemico

E per fare queste due cose, occorre:

  • usare la ragione
  • orientare la volontà nella giusta direzione
  • smettere di seguire il “filo nero” dei pensieri

Insomma: per smettere di essere triste, c’è di mezzo la mia libertà.

C’è di mezzo la mia responsabilità.

C’è di mezzo il libero arbitrio.

Si può fare qualche esempio?

Certo!

Don Fabio nel libro elenca una serie di suggerimenti per combattere la tristezza…

…tra i tanti, io qui ve ne riporto solo due (però date retta a me: compratevi il libro e leggetelo per intero!).

5.1 • Fare beneficenza

In una sua celebre opera, Evagrio Pontico dice che:

[La gioia è] contentezza nel fare beneficenza.

(EVAGRIO PONTICO, A Eulogio, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2006, p.129)

Commentando questo breve passaggio, don Fabio scrive queste righe:

Non c’è niente che dia più gioia di fare del bene a qualcuno.
Si chiama amore.
Se uno non prova gioia da un po’ – anziché sprofondare nell’autoanalisi – magari si chieda se c’è qualcuno dalle sue parti a cui fare un servizio.
Vuoi spezzare con la tristezza? Va’ a trovare un malato, vedrai come ti passa!

(FABIO ROSINI, L’arte della buona battaglia : la libertà interiore e gli otto pensieri maligni secondo Evagrio Pontico, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2023, p.266)

5.2 • Rendere grazie nelle avversità

(Disclaimer: questo secondo metodo vale sono per chi crede in Dio)

Nella stessa opera citata sopra, Evagrio scrive:

La gioia è distruzione della tristezza e rendimento di grazie nelle avversità.

(EVAGRIO PONTICO, A Eulogio, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2006, p.129)

Ecco il commento di don Fabio:

Il giorno che, come dice Evagrio, si rende grazie in un’avversità, è il giorno che si distrugge la tristezza.
Ed è il giorno in cui si esce dall’infantilismo.

(FABIO ROSINI, L’arte della buona battaglia : la libertà interiore e gli otto pensieri maligni secondo Evagrio Pontico, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2023, p.265)

Ovviamente, non si tratta di «mettercela tutta» per vedere il bicchiere mezzo pieno.

Il rendimento di grazie non è uno sforzo della volontà, ma un rimettersi nelle mani di Dio – che vede più lontano di me.

«Rendere grazie in un’avversità» significa abbandonarsi alla Provvidenza.

Significa fare un atto di fede nel fatto che anche l’evento più doloroso della mia vita – misteriosamente – è ricapitolato in Cristo e nella sua bontà nei miei confronti.

Se non hai incontrato Dio, non sforzarti di credere questa cosa.

Non è questione di “training autogeno” o di “mental coaching”.

È questione di aver fatto un’esperienza reale della presenza di Dio.

O di non averla (ancora) fatta.

Conclusione

Ripeto un’ultima volta: «combattere la tristezza» non significa fingere che non mi sia capitato qualcosa di brutto.

Provare dolore di fronte a un evento triste, è una cosa normale, buona, sana, segno di sanità mentale.

Però.

Un conto è il dolore di fronte ad un evento doloroso…

…altro paio di maniche è quella lente deformante color blu, che mi porta a interpretare la realtà con il mood tristanzuolo del «piagnone maledetto dalla sorte».

E niente.

Vi lascio con uno spezzone di video di don Fabio.

Vedetevelo.

Dura 2 minuti.

Non siate pigri.

sale

(Primavera 2023)

Fonti/approfondimenti

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