1 • «Guardatemi, spolliciatemi, ricondividetemi!»
Tre mesi fa è morto papa Francesco.
La Santa Sede non ha fatto in tempo a comunicare la notizia, che buona parte del mondo cattolico ha sentito l’impellente bisogno di condividere sui social una propria foto con il pontefice:
- quel mio amico che sta facendo il seminario;
- quella ragazza che conosco che ha studiato teologia;
- il parroco della parrocchia di San Fracicone;
- il presidente dell’associazione cattolica degli Scapocchioni;
- la presidentessa del Coordinamento delle Fedelesse che vogliono le donne prete (anche se papa Francesco ha detto di no);
- la giornalista del quotidiano di ispirazione cristiana Fuffarella;

Vedendo questa carrellata di foto mi è venuta in mente la canzone Annunciatemi al Pubblico di Caparezza.
Non so se la conoscete – è un po’ vecchiotta (e anche quando era appena uscita, non è mai stata famosissima).
Nella canzone, il rapper italiano (classe ’73) immagina di essere morto, e descrive la scena del passaggio del suo feretro tra la folla.
Nella strofa iniziale, canta queste parole:
Passa la cassa da morto con me stesso a bordo e sotto battibecchi da beccamorto,
del tipo «Io la porto!»,
«No no no, io la porto!»,
«Oh oh oh Gordon, scatta un flash, che voglio una foto ricordo!»,
«Io lo conosco dall’Oratorio Don Bosco»,
«Io ho le ultime lettere stile l’Ortis di Foscolo»,
«Piacere sono il barbiere che ne ha curato il boccolo»,
«Spostati sciocco! Fermo che lo vedo col binocolo»
(CAPAREZZA, dalla canzone Annunciatemi al Pubblico, tratta dall’album Habemus Capa del 2006)
Avete presente il termine «virtue signalling»?
Con questa espressione, ci si riferisce all’atteggiamento – molto diffuso tra politici ed influencer (ma non solo tra loro) – di pubblicare contenuti nei quali si vuole mostrare di essere bravi, buoni e belli… del tipo:
- «Guardate questa foto in cui io – cittadino modello – faccio beneficenza!»
- «Osservate me – cittadina esemplare – che faccio la differenziata!»
- «Contemplate come io – paladin* della pac* – metto il filtro arcobaleno sul profilo!»
- «Io – attivist🏳️🌈 impeccabil🏳️🌈 – firmo petizioni, compro vestiti usati, vado in giro in bicicletta!»
- «Io – cattolic✝️ eseplar✝️ – condivido foto in cui stringo la mano al Papa defunto per far vedere che sono “dalla parte dei buoni”!»
Cosa non si fa per un like o un cuoricino…
A tal proposito, vorrei leggervi uno stralcio di Franco Nembrini – insegnante, saggista e pedagogista italiano (classe ’55).
Lo stralcio è tratto dal suo commento all’Inferno di Dante – nello specifico, da un passaggio del canto XXXI.
In questo canto, Dante incontra i giganti Nembrot, Fialte ed Anteo; la riflessione implicita – contenuta nel testo – è quella di diffidare della propria forza, del desiderio di dominio e del proprio orgoglio.
Volendo attualizzare il discorso – per trarne uno spunto spendibile ai nostri giorni – Nembrini ha parlato del desiderio di grandezza «nell’era dei social»:
Da che cosa si misura oggi, nell’era di Facebook, il valore di una persona?
Dal numero dei followers che ha, dei like che raccoglie.
E pur di raccogliere consensi ci si piega a tutto, si mette in rete quel che gli altri si aspettano di trovare.
[…]
La parabole della cultura moderna è la parabola della ribellione dell’uomo a Dio, della “liberazione” dell’uomo da un Dio sentito come nemico della libertà.
Qual è il punto di arrivo? Una dipendenza più totale e più feroce dal mondo, una ricerca affannosa di un briciolo di “fama” che confermi il nostro valore.
(FRANCO NEMBRINI, dal suo commento a DANTE ALIGHIERI, Inferno, Mondadori, Milano 2018, p.621)
2 • È sbagliato cercare la gloria?
Posso dire una cosa un po’ antipatica?
Secondo me, (quasi) tutte le persone che condividono contenuti sui social lo fanno per motivi narcisistici.
Provate a pensarci: perché condividiamo…
- …foto in palestra (meglio se un po’ svestiti, in modo che gli altri possano ammirare i risultati della nostra fatica e del nostro sudore)?
- …foto della tavola piena di sushi (se non si pubblica una foto piena di uramaki, nigiri e sashimi, non si è veramente stati in un ristorante giapponese)?
- …foto della gita fuori porta?
- …foto del biglietto aereo per una destinazione particolare (meglio se costosa)?
- …foto della pila di libri letti nell’ultimo anno (meglio se hanno titoli complicati, così sembro intelligente)?
- …foto di noi che facciamo volontariato in Africa?
- …foto della nostra famiglia?
- …foto dei figli piccoli che sgambettano («che bravo genitore che sono!»)?
- etc.
Nove volte su dieci, la risposta è la stessa: per ricevere un like, un «mi piace», un commento, una ricondivisione, un apprezzamento.
Come cantano i Coma_Cose:
Ma dove scappi senza cuoricini, cuoricini
Per l’autostima cuoricini, cuoricini
Che medicina cuoricini, cuoricini
[…]
(COMA_COSE, Cuoricini, dall’album Vita fusa, pubblicato il 7 marzo 2025)
E qual è il messaggio non verbale che riceviamo ogni volta che otteniamo questi feedback? (oltre ad innescare il ciclo di feedback della dopamina, di cui avevo parlato a suo tempo)
A lume di naso, mi verrebbe da dire che il messaggio è (quasi) sempre uno di questi:
- «Come sei bello!»
- «Come sei brava!»
- «Che cose buone che mangi!»
- «Come sei intelligente!»
- «Che bel fisico!»
- «Che bella vacanza!»
- «Che bella vita!»
- «Come ti invidio!»
- «Come è desiderabile la tua esistenza!»
- «Beato te che sei te!»
- «Vorrei essere come te!»
- etc.

Il discorso che ho fatto fin qui potrebbe sembrare moralistico.
Consentitemi dunque di fare l’avvocato del diavolo: è sbagliato essere apprezzati?
È sbagliato essere riconosciuti da qualcun altro?
È sbagliato desiderare la gloria?
La domanda non è per nulla banale.
Per rispondere, cedo la parola a don Fabio Rosini:
La domanda che ci dobbiamo fare è: è un errore cercare la gloria?
La risposta è obbligata: no, non è un errore, è una esigenza essenziale.
Siamo poveri ed inconsistenti, abbiamo veramente bisogno di una dignità e di un peso specifico perché sentiamo l’evanescenza della nostra esistenza fragile.
[…] Ogni uomo ed ogni donna devono cercare la gloria, quella vera, quella che dia loro valore, sostanza, solidità.
Il problema è quale sia la gloria vera.
(FABIO ROSINI, L’arte della buona battaglia : la libertà interiore e gli otto pensieri maligni secondo Evagrio Pontico, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2023, p.314-315)
Qual è la «gloria vera»?
Se è vero quel che dice don Fabio (ed è vero), c’è una gloria che è vera.
Ma c’è anche una gloria che è falsa.
Che è vana.
Che è vana-gloria.
Che differenza c’è tra la gloria e la vanagloria?
Come si distingue tra l’una e l’altra?
In un passaggio tratto dal discorso «Del cammino del creatore», il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche (1844-1900) fa dire al suo Zarathustra:
Ahimè, vi sono molti grandi pensieri, che non fanno niente di più di un mantice: gonfiano e rendono sempre più vuoti.
(FRIEDRICH NIETZSCHE , Così parlò Zarathustra: Un libro per tutti e per nessuno, Mondadori, Milano 2013, versione Kindle, 25%)
Un altro personaggio discretamente famoso – millenovecento anni prima dello Zarathustra di Nietzsche – diceva qualcosa di simile:
State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
(Matteo 6,1-4)
Commentando questo passaggio del discorso della Montagna, don Fabio ha scritto queste parole:
Il testo [va] avanti, ripetendo, per preghiera e digiuno, lo stesso ritornello: avere gloria dagli uomini oppure riceverla dal Padre celeste.
E si oppone sempre apparenza a segreto, essere visti dagli uomini oppure nascosti nel Padre che vede nel segreto.
La sola idea di non comunicare a nessuno qualcosa di buono che si è fatto mette nell’animo di molti sedicenti uomini di Dio una frustrazione insostenibile, reggono poco tempo e poi devono dire a qualcuno che hanno fatto qualcosina.
(FABIO ROSINI, L’arte della buona battaglia : la libertà interiore e gli otto pensieri maligni secondo Evagrio Pontico, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2023, p.314-315)
La vera gloria è quella che viene da Dio.
La vana-gloria è quella che chiediamo agli altri – nella vita reale o sui social.
Tra gli esempî di vanagloria che ho menzionato più sopra, ho elencato cose abbastanza banali: essere apprezzati per…
- …una foto in cui sto particolarmente bene;
- …una foto di cose buone che sto mangiando;
- …una foto di un posto figo che ho visitato;
- …una foto dei libri che ho letto;
- etc.
Tutti questi sono esempî di vanagloria mondana – basata cioè su aspetti legati all’apparenza, al successo, all’instagrammabilità della mia vita.
Esiste però anche una forma di vanagloria spirituale – che riguarda specificamente le persone cristiane… ed è molto più sottile.
Cioè?
In che consiste?
Consiste nel vantarsi davanti agli altri di «cose spirituali»:
- «Io – pio cristiano – che vado alla Caritas e aiuto i poveri!»
- «Io – pia cristiana – che non mi perdo una messa feriale e vado a tutti i ritiri!»
- «Io – pio sagrestano – che preparo con meticolosità e precisione l’altare e i paramenti per ogni messa!»
- «Io – pia teologa – che ho studiato a fondo le Scritture e le spiego al volgo ignorante!»
- «Io – pia religiosa – che oggi ho pregato sette rosarî di fila!»
- «Io – pio sacerdote – che sono tanto bravo a fare le omelie! Guarda quanto è piena la Chiesa quando celebro io!»
In questi casi, il motivo per il quale ci si vanta è certamente strano: nessun Fedez o Achille Lauro o Elodie o Myss Keta si vanterebbe mai di cose del genere.
Tra l’altro, le cose per le quali ci si pavoneggia non so neanche un male in sé:
- aiutare i poveri è un’opera di misericordia corporale;
- insegnare la teologia è un’opera di misericordia spirituale;
- pregare il rosario è un modo per stare cuore a cuore con Dio.
Però – pur essendo buono l’oggetto delle nostre azioni – ad essere cattivo è l’atteggiamento con cui le mettiamo in atto.
Strumentalizziamo cose buone, “spirituali”, per ricevere gloria dagli uomini.
Peccato che – come scriveva don Fabio poche righe dopo:
Vantarsi del bene fatto è da stupidi, vuol dire che il bene non ha bellezza sua propria, è solo perdita, richiede una compensazione, altrimenti è un esborso insostenibile.
Quando uno deve far sapere se va a trovare un malato o deve far trapelare l’informazione ogni volta che fa un’elemosina, vuol dire che non si è mosso per amore, perché vive queste cose come faticose, pesanti.
[…] La vanagloria fa agire per ricompense di cui non resta niente, per questo, molto spesso, prelude alla tristezza.
(FABIO ROSINI, L’arte della buona battaglia : la libertà interiore e gli otto pensieri maligni secondo Evagrio Pontico, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2023, p.316)
3 • Il «demone» della vanagloria
Nel IV secolo, il monaco ed asceta cristiano Evagrio Pontico (345-399), parlando della vanagloria, scriveva queste righe:
La vanagloria è una fantasia di incontri, simulazione di operosità, il contrario della verità, principio di eresie, aspirazione a occupare i primi posti, esasperazione degli appellativi, schiavitù delle lodi, spirito multiforme, belva dai molti denti.
(EVAGRIO PONTICO, A Eulogio, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2006, p.131)
Mi piace molto il modo in cui Evagrio Pontico parla dei peccati capitali (o meglio, dei pensieri malvagi).
Usa immagini evocative.
Inquietanti.
Lovecraftiane.
Se si chiudono gli occhi, ci si può quasi figurare davanti i demoni di cui sta parlando.
Evagrio dice che il «demone» della vanagloria è uno «spirito multiforme» ed una «belva dai molti denti».
Maaa… in che senso?
Che significa?

Per spiegare le parole di Evagrio, torno a citarvi don Fabio Rosini (non l’avevo ancora scritto in pagina, ma se potete – vi prego – fatevi un regalo e compratevi il libro di don Fabio, e leggetelo per intero!):
Vediamo il testo di Evagrio ad Eulogio.
«La vanagloria è una fantasia di incontri» – Il pensiero del vanaglorioso fantastica, ipotizza, ha intraprendenza e dice: «Potrei incontrare questo o quell’altro, potrei muovere le cose…», mentre racconta a sé stesso che è a buon fine, che serve il bene, la famiglia, la Chiesa, il mondo… tutto falso.
«Simulazione di operosità» – È fare le cose simulando, l’importante non è operare ma esser visti operare.
«Il contrario della verità» – La vanagloria, essendo un problema di opinione, non è la verità, perché la verità non ha bisogno dell’opinione, la verità si autoimpone ed è profonda. La verità è l’amore, e la vanagloria non è compatibile con questo.
«Principio di eresie» – Molte scissioni partono dall’ego che, siccome è al centro, inizia a far girare anche la teologia e la Parola di Dio nella propria orbita, e, strumentalizzando pretestuosamente le cose sante, crea faziosità e spaccature; infatti una verità che viene ritenuta più importante dell’amore fraterno diventa una menzogna bella e buona. Ricordiamo che l’eresia, di per sé, non è una cosa falsa ma una parte della verità isolata dal contesto, e fa diventare menzzogna quel che in origine era verità. Perché è una verità incompleta.
«Aspirazione a occupare i primi posti» – Questo vuol dire stare nei varî luoghi del mondo non per incontrare gli altri ma per superarli. Iniziamo così a vedere comparire l’invidia; la vanagloria diviene naturalmente invidia, perché scivola di suo nella competizione.
«Esasperazione degli appellativi» – Sotto il punto di vista comunicativo questa definizione è intrigante. Chi comunica in modo manipolativo esagera gli aggettivi. Possiamo fare la prova con un testo scritto: se al testo togliamo gli aggettivi senza perdere il significato compiuto della comunicazione vuol dire che quegli aggettivi sono un’operazione di suggestione del senso delle informazioni. Quando appaiono comunicazioni scritte o verbali ridondanti di aggettivi ed attributi si capisce, anche istintivamente, che chi parla ci sta manipolando. Le comunicazioni di chi intende entrare in relazione onestamente sono asciutte ed efficaci.
«Schiavitù delle lodi» – Cosa non si fa per un apprezzamento…
«Spirito multiforme» – Cosa vuol dire? Che è uno spirito doppio, camaleontico. Il demone della vanagloria ama mischiare le pulsioni, ama confondere i fini, ama far coesistere il bene con il male, e alla fine opera anche il bene, ma con spirito tortuoso, non lineare, non semplice.
«Belva dai molti denti» – La vanagloria è vorace e si appropria di tutto con forza. Non è un gattino che fa le fusa, è una tigre che sbrana.
(FABIO ROSINI, L’arte della buona battaglia : la libertà interiore e gli otto pensieri maligni secondo Evagrio Pontico, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2023, p.319-320)
Non ho fatto in tempo a scrivervi le spiegazioni di don Fabio, che mi è venuto il timore che tra voi che state leggendo ci sia una persona scrupolosa, che si analizza in modo esageratamente severo.
Vorrei fare dunque un disclaimer: non c’è nulla di male – quando compiamo una buona azione – nel sentire un desiderio inconscio di riconoscimento e/o di approvazione.
Il problema è quando l’obiettivo non è più il bene «in sé» che voglio compiere, ma l’immagine di me che voglio restituire agli altri.
Per attirarmi fino a questo livello di alienazione, il «demone» della vanagloria procede per passaggi.
All’inizio mi sussurra all’orecchio cose apparentemente innocue:
- «Posta quella foto!»
- «Racconta agli altri quanto sei stato bravo!»
- «Fai vedere quanto sei generoso con quel gesto!»
- «Condividi quel successo, gli altri meritano di saperlo!»
Poi, però, col passare del tempo, la morsa si stringe e l’idolo che ha le fattezze del me stesso idealizzato esige sempre più attenzione, sempre più incenso, sempre più sacrifici.
Come scrive Evagrio:
L’edera si attorciglia all’albero e quando raggiunge la cima dissecca la radice. La vanagloria cresce accanto alle virtù e non se ne separa finché non ne abbia fiaccato il vigore.
(EVAGRIO PONTICO, Sentenze. Gli otto spiriti della malvagità, Città Nuova, Roma 2010, p.92)
Commentando le parole di Evagrio, don Fabio ha scritto:
È raro rendersi conto sulle prime che si sta facendo il bene per il proprio ego; all’inizio la stima degli altri sembra solo un indotto secondario del bene fatto e, invece, alla fine si scopre che la vanagloria è divenuta pian piano il vero, inconfessabile, movente.
(FABIO ROSINI, L’arte della buona battaglia : la libertà interiore e gli otto pensieri maligni secondo Evagrio Pontico, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2023, p.307)
~
Stavo per chiudere qui questo paragrafo.
La pagina che state leggendo però riguarda in modo specifico il rapporto tra i cristiani e i social… quindi, consentitemi di togliermi un sassolino dalla scarpa.
In particolare, vorrei spendere qualche parola in più su una delle definizioni della vanagloria di Evagrio: «principio di eresie».
Che c’entrano le eresie con la vanagloria?
Le eresie hanno a che fare con il rifiuto degli insegnamenti della Chiesa, la vanagloria ha a che fare con l’eccessivo compiacimento di sé.
Come si collegano le due cose?
Nella Chiesa ci sono sempre state persone con idee eterodosse… così come ci sono stati eretici conclamati.
Nella nostra epoca però, la Chiesa si sta confrontando per la prima volta con due novità:
- un relativismo sempre più dilagante, come denunciava con forza Benedetto XVI (1927-2022) – relativismo che erode il concetto di «verità oggettiva» in favore di un «tutto va bene» dettato da capricci personali e da un complesso di inferiorità nei confronti del mondo;
- una notevole presenza sui social network, che amplificano ogni voce, anche la più stridente.
In un contesto simile, spesso accade che individui «teoricamente» cristiani («in pratica», però, non so), sfruttino le piattaforme social per dar sfogo a pensieri eterodossi o superficiali, spacciandoli per «riflessioni della Chiesa sui tempi moderni» o «risposte pastorali coerenti con l’epoca in cui viviamo»:
- preti con manie di protagonismo che fanno i balletti su TikTok;
- teologi youtuber che pontificano su tutto – morale, politica, geopolitica, economia, sociologia – e che hanno dimenticato il Vangelo;
- influencer che vendono «spiritualità prêt-à-porter» su Instagram – tra superficialità, sincretismo e luoghi comuni sulla Chiesa;
- teologhe femministe irrancidite – col complesso del «volevo fare il prete ma non posso» – che pubblicano su Facebook interventi «illuminanti» sulla misoginia della Chiesa, il maschilismo del Vangelo o sull’utilizzo dello schwa nella liturgia;
- leader di movimenti ecclesiali e di comunità monastiche ecumeniche che si atteggiano a profeti su Twitter;
- etc.
Senza fare nomi e cognomi (ciascuno può attingere allo spaccato di Chiesa cattolica che conosce) a me sembra che molti di questi personaggi siano semplicemente dei tromboni narcisisti: si ergono a influencer o a maestri di dottrina, proponendo idee che rispecchiano più i loro gusti personali o le mode del momento piuttosto che ciò che insegna la Chiesa, contribuendo così a un pericoloso fraintendimento della fede cristiana.
Perché fanno tutto questo?
La risposta è molto semplice.
Per un like.
Per un «mi piace».
Per una ricondivisione.
Per compiacere i lettori di Repubblica.
Per sentirsi «speciali».
Per far parlare di sé.
In una parola: per vanagloria.
(Per chi volesse approfondire ulteriormente la questione, lo rimando alla pagina del blog «Teologi buoni e teologi cazzari»)
4 • L’evangelizzazione online
Negli ultimi anni, con il dilagare dei social, si sono moltiplicate le iniziative di sacerdoti, suore, laici che – in un modo o nell’altro – hanno cercato di fare «evangelizzazione online»:
- chi carica video su YouTube per condividere riflessioni spirituali;
- chi condivide le proprie omelie su SoundCloud;
- chi fa Reel su Instagram in cui propone brevi messaggi ispirazionali;
- chi fa balletti su TikTok con i parameti liturgici, sperando di ottenere un sussidio da parte dei servizi sociali.
Ogni tanto, qualcuno di voi mi gira il link di uno di questi contenuti chiedendomi un parere…

Ora.
Scherzi a parte.
Non nego di essere un precisino cacacazzi…
…ma cos’è che mi fa storcere il naso di fronte ad alcuni contenuti “cattolici” online?
Tagliando con l’accetta, direi la banalizzazione della fede cristiana (*).
(*) (Mi riferisco a quei creatori di contenuti che sono in buonafede – come i preti che fanno i balletti… ce ne sono altri invece – non voglio nominarli qui per non fare pubblicità gratuita – che ingannano le persone presentandosi come «creator cattolici», ma i loro contenuti sono imbevuti di eresie e ideologie varie – tra relativismo morale, sincretismo religioso, reinterpretazioni arbitrarie del Magistero della Chiesa, transfemminismo, e gli altri esempî che ho fatto nel precedente paragrafo)
Vedere la fede cristiana impoverita, svuotata della sua profondità, ridotta a slogan superficiali come «Dio ama tutti!», «Gesù ti vuole bene», «Volemosebbene», mi suscita sempre tanta tristezza.
Sembra la versione fast food del cristianesimo: pronta in due minuti per chi ha fretta di sentirsi spirituale.
La versione discount.
La versione low-cost.
La versione Zymil, ad alta digeribilità.
~
Osservando il modo in cui tante volte la fede viene testimoniata sui social da alcuni “creatori di contenuti”, mi viene in mente una distinzione che spesso viene fatta nell’ambito della comunicazione e della dialettica.
La distinzione tra «sedurre» e «condurre».
Per chi non masticasse il latino, entrambi i verbi sono composti del verbo «ducĕre» – che significa «guidare, trarre» – preceduto da due prefissi con significati diversi:
- il prefisso «se-» di «sedurre», in latino, indica separazione o allontanamento (come in «separare», «segregare», «sequestrare», «selezionare»)… quindi il verbo si potrebbe tradurre come «condurre via» o «portare fuori strada»;
- invece il prefisso «con-» di «condurre», in latino, significa «insieme, con»… quindi il verbo si potrebbe tradurre con «guidare insieme».
Ebbene.
Sicuramente io sarò un malpensante.
Un giudicatore seriale.
Un fariseo dell’ebraismo del Secondo Tempio medaglia d’oro nel vendere mitzvot tarocche.
…ma a volte, guardando certi contenuti online, mi chiedo quale sia lo scopo di alcuni creator.
Condurre… o sedurre?
Mettere al centro Dio… o sé stessi?
Scrivendo queste cose, mi viene in mente l’ammonizione di papa Leone XIV (1955-…) nella Messa Pro Ecclesia celebrata insieme ai cardinali nella Cappella Sistina venerdì 9 maggio 2025:
[Occorre] sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato (cfr. Giovanni 3,30).
(LEONE XIV, dall’omelia nella Messa Pro Ecclesia, venerdì 9 maggio 2025)
Che sia online o offline, io penso che chi porta il Vangelo deve svolgere la stessa funzione di un acquedotto o un impianto di tubature: il suo scopo è quello di portare l’acqua (cioè Cristo).
E come dice un mio caro amico, «l’acqua non deve sapere di tubo».
5 • E io che sto scrivendo questa pagina?
Arrivati a questo punto, qualcuno potrebbe domandare:
- «Ma scusami, Sale… quando sei tu a pubblicare contenuti, non lo fai per motivi narcisistici?»
- «Tutto il discorso che hai fatto prima sul “sedurre/condurre” e sull’acqua che “non deve sapere di tubo” non vale anche per te?»
- «Fai tanto il moralista che critichi gli altri… perché non pensi a te stesso?»
- «Critichi tanto i social, ma a me risulta che tu per Salesalato utilizzi Instagram e Facebook…»
Sapete…
Negli ultimi anni mi sono posto molte volte queste domande.
Io in realtà non ho mai avuto un mio profilo personale di Instagram.
E quello di Facebook l’avevo chiuso quando facevo l’università (*).
(*) (Mi sono trovato costretto a riattivarlo per gestire la pagina pubblica di Salesalato; non so se lo sapete, ma su Instagram è possibile gestire una pagina come quella di Salesalato senza avere un account personale… su Facebook invece, per gestire una pagina pubblica, il sistema richiede che si abbia un profilo privato attivo)
Insomma, io non uso i social privatamente (da questo punto di vista, penso che siano una fogna a cielo aperto e una piaga endemica dell’umanità)…
…però sì, per diffondere le cose di Salesalato – blog, podcast ed attività varie – utilizzo le rispettive pagine social su Instagram e Facebook (più un canale pubblico su Telegram, per chi non avesse i social).
Man mano che le pagine social di Salesalato crescevano, ed aumentavano le interazioni e l’engagement, mi sono interrogato molto su tutto questo.
Nel precedente paragrafo ho scritto che «non c’è nulla di male – quando compiamo una buona azione – nel sentire un desiderio inconscio di riconoscimento e/o di approvazione»…
…eppure, tante volte, dopo aver pubblicato un contenuto e aver ricevuto un qualche tipo di apprezzamento («mi piace», ricondivisioni, messaggi, note audio, etc.), mi sono sentito in colpa.
Man mano che i follower o i feedback positivi aumentavano mi chiedevo:
- «Qual è il reale motivo per cui faccio le cose di Salesalato?»
- «Perché disegno i fumetti, registro il podcast, leggo, studio, etc.?»
- «Queste cose fanno bene agli altri? O lo faccio solo per me?»
Come dice il detto: «Quando punti un dito contro qualcuno, ricordati che tre dita sono puntate contro di te».
Tradotto in italiano: i pericoli che ho descritto nei precedenti paragrafi a proposito del demone della vanagloria, sono battaglie che devo combattere io per primo tutti i giorni.
Quello contro la vanagloria, è un combattimento spirituale senza esclusione di colpi.
Un combattimento dal quale spesso mi sento schiacciare e sopraffare.
Tante volte mi sono chiesto:
- «Se le cose che faccio col blog alimentano il mio narcisismo, non sarebbe meglio chiudere tutto?»
- «Ammettiamo anche che queste cose facciano del bene a qualcuno… ma se oltre al bene passa anche questo male che inquina il mio cuore, non sarebbe meglio non farlo?»
- «Non potrei trovare un modo per servire il Signore più sobrio, più defilato, più lontano “dai riflettori”?»
Ogni volta che ricevo apprezzamenti per le cose di Salesalato, una parte del mio cuore è felice…
…c’è però un’altra parte di cuore che si sente in colpa per questo “gongolamento”.
Che non vorrebbe ricevere feedback positivi o elogi.
Che vorrebbe fare tutto questo ancor più di nascosto.
Anzi, che vorrebbe chiudere tutto e sparire…

Forse penserete che io stia scherzando, ma ho posto questa domanda a più di un sacerdote: «Secondo te, se con il blog/podcast faccio del bene, ma mescolati a quel bene ci sono anche narcisismo e filautia, mi fa bene continuare a lavorare alle cose di Salesalato?».
Ho posto questa domanda a fra Alessio, quando ho iniziato a fare direzione spirituale con lui (sarà stata la fine del 2020).
Ho posto questa domanda nel 2022 anche a don Fabio Fasciani.
Ho posto questa domanda al mio parroco.
Parola più parola meno, mi hanno risposto tutti allo stesso modo.
Dato che – neanche a farlo apposta – anche don Fabio Rosini ha scritto la stessa cosa nel suo libro, per pigrizia vi riporto quello che ha detto lui:
Un aspetto del combattimento contro la vanagloria, è che la vanagloria spinge per sé stessa a combattere sé stessa con l’astensione dal bene.
Siccome sono vanitoso e faccio anche il bene per vanità, smetto di fare il bene perché così non foraggio più la vanità; questa è una trappola proprio della vanagloria perché si è schiavi a tal punto della nostra immagine da non accettare di essere vanitosi e imperfetti.
Invece: mai smettere di fare il bene a motivo della vanagloria.
Meglio servire male che non servire per niente; se anche facciamo le cose per vanità, comunque il servizio è servizio, comunque il bene ha una sua forza intima.
(FABIO ROSINI, L’arte della buona battaglia : la libertà interiore e gli otto pensieri maligni secondo Evagrio Pontico, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2023, p.333-334)
Il punto non è smettere di digiunare o pregare o fare elemosina, ma di farlo al cospetto di Dio.
(FABIO ROSINI, L’arte della buona battaglia : la libertà interiore e gli otto pensieri maligni secondo Evagrio Pontico, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2023, p.335)
Forse qualcuno di voi dirà: «Sale, a me sembra un pensiero molto razionale… cosa altro pensavi che ti potessero rispondere?».
Non lo so.
Sarà che sono molto orgoglioso, ma a me fa talmente tanta rabbia scoprire di avere pensieri vanagloriosi connessi alle cose di Salesalato, che – se fossimo in Matrix – vorrei fare un trasferimento dati dalla mia testa a quella di qualcun altro, e far portare avanti a quest’altra persona il blog, il podcast, etc… e cancellare queste cose dalla mia memoria.
Dato che però questa cosa è impossibile, ad oggi mi fido del mio padre spirituale, e porto avanti le cose che faccio, facendomi carico del combattimento contro il narcisismo e la filautia…
…se però al termine della mia vita finirò all’inferno per colpa di questa scelta, impugnerò la sentenza e farò ricorso alla Corte di Cassazione Celeste citando il mio padre spirituale per danni morali e spirituali.
…
Scherzi a parte.
Ora l’ho buttata sul ridere, ma la questione è molto seria.
Come ho detto varie altre volte qui sul blog, i peccati riguardano tre ambiti:
- corporale/carnale
- psicologico
- spirituale
Nonostante tutti noi crediamo che i peccati carnali siano i peggiori di tutti – pornografia e smucinamenti varî – in realtà i peccati peggiori sono quelli che riguardano la dimensione spirituale dell’uomo, cioè quelli che coinvolgono direttamente il rapporto con Dio, la fede e la vita interiore:
- la superbia;
- l’idolatria (che non significa pregare le statuette degli dei pagani, ma chiedere la vita ai beni materiali, ai soldi, ai social, alla carriera lavorativa, alla cultura… invece che a Dio);
- l’akedìa (cioè l’indifferenza e la trascuratezza verso la vita spirituale);
- la presunzione (cioè credere di potersi salvare senza il bisogno della grazia di Dio);
- etc.
I peccati di àmbito spirituale infatti sono i peccati più vicini alla radice del male: la filautia, l’amore smodato per sé stessi (cfr. FABIO ROSINI, Ibidem, p.306).
Come raccontavo in quest’altra pagina del blog, l’attaccamento narcisistico al proprio ego può nascondersi anche in idee e progetti buoni, giusti, “santi”.
È per questo che è necessario, fondamentale, indispensabile, chiedere continuamente a Dio che mi tenga sempre una mano sulla testa.
Chiedere a Lui di purificare la mia volontà, i miei desiderî, i miei progetti.
Chiedere a Lui di orientare il mio cuore, in modo che Lui sia sempre il fine, e mai un mezzo per ottenere cose mondane.
A tal proposito, vorrei chiudere il paragrafo con un messaggio che mi ha scritto il mio padre spirituale nel 2021.
In quel periodo, mi stavo confrontando con fra Alessio su questi dubbi e dilemmi esistenziali… e lui mi ha dato questo suggerimento:
L’intuizione di consegnare a Dio il blog mi pare una cosa bella.
Io lo esprimerei così: «Signore, il blog è tuo e non mio. Se è utile fa che continui. Se mi è di inciampo fa che riesca a metterlo da parte. Se vuoi qualcos’altro da me, chiedi pure».
6 • Il combattimento contro il «demone» della vanagloria
Stando a quel che ho scritto fin qui, la vanagloria sembrerebbe un nemico:
- molto pericoloso… e infatti lo è!
- insidioso… e infatti lo è!
- pervasivo… e infatti lo è!
- corrosivo… e infatti lo è!
Sorge spontanea la domanda: come si combatte questo demone?
Che armi abbiamo?
Se – come tutti – sento la tentazione di stare sotto i riflettori (sui social o nella vita vera), come la contrasto?
Come posso vincere questo combattimento spirituale?

Cedo nuovamente la parola a don Fabio Rosini:
Come si combatte la vanagloria?
La strada della libertà dalla vanagloria e dalle sue trappole, come già accennato, è una discrezione assoluta: mettere il raccolto delle fatiche sotto il sigillo del silenzio.
Ecco una domanda che ho dovuto fare tante volte ai vanitosi e quindi anche a me stesso: quando è l’ultima volta che hai fatto qualcosa di buono e non l’hai detto a nessuno? E l’hai offerto solamente a Dio, alla verità, per amore e basta?
Qual è l’ultima cosa buona che hai fatto senza che nessuno se ne sia reso conto?
(FABIO ROSINI, L’arte della buona battaglia : la libertà interiore e gli otto pensieri maligni secondo Evagrio Pontico, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2023, p.329)
Stare in silenzio.
Fare tutto di nascosto.
Non dire niente a nessuno.
Non postare.
Non condividere.
Rimanere nell’ombra.
Gustare lo sguardo di Dio – e solo il Suo – su di me.
La vita cristiana è fatta di opere nascoste.
La preghiera è nascosta, l’elemosina deve essere nascosta, il digiuno deve essere nascosto.
(FABIO ROSINI, L’arte della buona battaglia : la libertà interiore e gli otto pensieri maligni secondo Evagrio Pontico, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2023, p.331)
Qualche anno fa ho avuto modo di approfondire un po’ meglio la vita e gli scritti del sacerdote e missionario francese Charles de Foucauld (1858-1916).
Per chi non lo conoscesse, Charles è nato in una famiglia aristocratica.
Dopo un’adolescenza “ribelle” e un periodo della sua vita in cui ha fatto l’ufficiale nell’esercito francese, in un momento di “crisi spirituale” è rimasto folgorato dalla religiosità dei musulmani in Marocco.
Tornato in Francia, ha riscoperto la fede cristiana nel 1886 e si è convertito al cattolicesimo.
Da lì in poi, ha vissuto la sua vita tra povertà, preghiera e nascondimento, vivendo tra i Tuareg nel Sahara algerino.
Ebbene.
In uno dei suoi colloqui interiori con Gesù – di cui ha tenuto traccia nel proprio diario – Charles sente rivolgersi queste parole dal Maestro:
Non lasciarti trascinare in lunghe discussioni su tale o talaltro dettaglio […]; non lasciarti inquietare dalle infinite piccolezze che non valgono il tempo di pensarle e ti distraggono da me spingendoti a fare regole di vita che cambierai continuamente e che, in fondo, sono solo materiali e valgono l’una allo stesso modo dell’altra…
Vivi bene, invece, quel che ti dice l’Abate, cerca di imitarmi dentro e fuori, e credi fermamente che la mia vita esteriore non fu di nessun valore, benché perfetta, a paragone con quella interiore; così anche la tua vita deve essere tutta rivolta verso il cielo, tutta di preghiera; questo è il tuo grande compito, il resto è una scorza destinata a nasconderti, a darti pace; la tua vita di orazione, di preghiera: questo è il cuore, il fondo della tua vita; lì è il frutto più puro e profumato dell’amore e l’amore è il primo comandamento.
Questa, per ora, è la tua vita: imitarmi interiormente ed esteriormente nella mia vita nascosta di Nazaret…
(CHARLES DE FOUCAULD, da una meditazione durante gli eserizi spirituali a Nazaret, 8 novembre 1897, in Pagine da Nazaret. Gli scritti spirituali del santo che amò il deserto, Terra Santa, Milano 2020, p.60-61)
Ora.
Non voglio fare l’esame di coscienza a nessuno, quindi parlerò per me stesso: se ricordassi più spesso quanti frutti spirituali porta il nascondimento, penso che questo sarebbe un grandissimo aiuto per combattere la vanagloria 9 volte su 10.
Perché dico «9 volte su 10»?
Perché questo combattimento spirituale è molto insidioso – e non possiamo abbassare la guardia solo perché viviamo “lontano dai riflettori” o dai social.
In relazione a questo, il monaco ed asceta Giovanni Cassiano (360 ca – 435) scriveva queste righe sulla vanagloria:
Se non le è riuscito di far insuperbire il monaco per il vanto di un parlare forbito, la vanagloria lo abbatte con il prestigio che gli conferisce il suo silenzio.
Se egli digiuna pubblicamente, sarà tentato di gloriarsene; se lo fa di nascosto per disprezzo della gloria che potrebbe ricavarne, cadrà ugualmente nell’orgoglio.
Per non essere contagiato dalla vanagloria, egli evita di fare lunghe preghiere alla presenza dei fratelli; ma per il fatto che prega di nascosto e nessuno ne è testimone, non per questo sfugge agli aculei della vanità.
(GIOVANNI CASSIANO, Istruzioni cenobitiche 11,4)
Parafrasando le parole di Giovanni Cassiano: se io faccio le cose nel nascondimento, ma nel farle mi sento migliore «di quei narcisisti dimmerda che stanno sempre a condividere foto su Facebook e Instagram», sono ricaduto nella vanagloria con tutte le scarpe 😅
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Arrivati fin qui, qualcuno potrebbe dire:
- «Sale, ma non se ne esce!»
- «O di riffa o di raffa, si ricade sempre nella vanagloria!»
- «Mi sembra una faticaccia contrastare queste tentazioni e questi pensieri!»
- «Per puntare a cosa, poi? Alla perfezione?»
Beh, non sarebbe male.
Lo stesso Paolo di Tarso esortava i Corinzi in questo modo: «fratelli, siate gioiosi, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda» (2 Corinzi 13,11).
Non è questione di «essere» perfetti – rischieremo solo di nascondere la polvere sotto al tappeto.
Però bisogna aver chiara la mèta.
Bisogna aver chiaro l’obiettivo verso il quale si tende.
La direzione verso la quale camminare.
Chiamare il male «male» e il bene «bene».
Avendo nel cuore la certezza che Dio è buono.
Che ha sempre uno sguardo dolce e benevolente su di noi.
Che sa che siamo delle pippe.
Come scriveva il il vescovo francese Francesco di Sales (1567-1622):
Dio si contenta di poco poiché sa bene che non abbiamo che poco.
Sappiate, figlia cara, che nostro Signore è chiamato principe della pace nelle Scritture e che nonostante sia padrone di tutto, tiene tutto nella pace.
Nondimeno è vero che prima di stabilire la pace in un luogo vi procura la guerra, separando l’anima da ciò che le è più caro e abituale, vale a dire dall’amore smisurato per sé stessa, dall’autocompiacimento ed altri simili.
Orbene, quando nostro Signore ci separa da queste passioni così graziose e care, sembra scorticare vivo il nostro cuore.
Si provano sentimenti molto amari.
Non possiamo evitare di dibatterci con tutta l’anima, perché questa separazione è molto dolorosa.
Ma tutto questo dibattersi ci lascerà nella pace se alla fine non smettiamo di tenere la nostra volontà rassegnata a quella di nostro Signore lasciandocela inchiodare a suo buon piacere: così facendo non tralasceremo affatto i nostri incarichi e il loro svolgimento, ma li eseguiremo coraggiosamente.
(FRANCESCO DI SALES, dalla «Lettera alla Badessa del Puy d’Orbe», citata in JACQUES PHILIPPE, La pace del cuore, EDB, Bologna 2020, p.61)
Giunti al termine del discorso, mi scuserete se ripeto per l’ennesima volta la solita cosa.
Il combattimento contro la vanagloria (così come quello contro la superbia, la tristezza, la gola, gli scrupoli, etc.) non è una prova di forza personale, ma un cammino di affidamento alla grazia di Dio.
Non si tratta di mostrare i muscoli o di contare sulle proprie capacità, ma di arrendersi con umiltà all’azione dello Spirito Santo in noi.
Lasciare che Dio operi in noi e attraverso di noi.
Abbandonarsi alla Sua forza.
Essere docili.
Pregare.
CercarLo.
Accogliere la Sua grazia nei Sacramenti.
Come scriveva il matematico, fisico, filosofo e teologo francese Blaise Pascal (1623-1662):
Per fare di un uomo un santo, ci vuol la grazia; e chi ne dubita non sa che cosa sia un santo, né che cosa sia un uomo.
(BLAISE PASCAL, Pensieri, Rusconi, Sant’Arcangelo di Romagna (RN) 2014, p.118)
Conclusione
Maria di Nazareth viene menzionata poche volte nei Vangeli.
In due di queste occasioni, l’evangelista Luca scrive queste parole:
Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
(Luca 2,19)
Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore.
(Luca 2,51)
Maria custodisce nel silenzio.
Contempla il Mistero.
Dà gloria a Dio, e non a sé stessa… come dice il salmo:
Non a noi, Signore, non a noi,
ma al tuo nome da’ gloria,
per il tuo amore, per la tua fedeltà.
(Salmo 115,1)
Che significa l’espressione del salmo?
Provo a spiegarla così.
Tutti noi conosciamo Francesco d’Assisi (1182-1226).
Quasi nessuno, invece, conosce Angelo d’Assisi – il fratello di Francesco.
Angelo era più ricco, più ammanicato, più immerso “nel mondo”, più «sotto i riflettori»…
….eppure, nella storia, non c’è quasi traccia della sua esistenza.
Passa la gloria di questo mondo (cfr. 1 Giovanni 2,17).
Passa la vanagloria.
Passano i like.
Passano i follower sui social.
Resta solo quello che seminiamo in Dio.
sale
(Estate 2025)
- FABIO ROSINI, L'arte della buona battaglia : la libertà interiore e gli otto pensieri maligni secondo Evagrio Pontico, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2023
- DANTE ALIGHIERI, Inferno (commentato da Franco Nembrini, illustrato da Gabriele dell'Otto), Mondadori, Milano 2018
- CHARLES DE FOUCAULD, Pagine da Nazaret. Gli scritti spirituali del santo che amò il deserto, Terra Santa, Milano 2020